N° 10 - Novembre 2018
LE GRAFFIATURE
di Antonio Ratti

           

                                                   UMILTA’: MERCE RARA

Cos’è la Chiesa? Una Istituzione divina, perché espressamente voluta e fondata da Gesù, gestita da uomini che liberamente si impegnano di porsi al suo servizio. I problemi insorgono quando qualcuno di costoro, ritenendo di saper masticare perfettamente le cose di Dio, si sente straconvinto di poter esprimere con certezza sempre il pensiero di Lui, ovviamente, su preciso suggerimento dello Spirito Santo che sotto forma di Colomba vive - in permanenza! - sulla sua spalla destra. E’ l’ennesimo dramma dell’autoreferenzialità che sfocia nell’infallibilità. Quando un uomo si ritiene infallibile è il più fallibile degli esseri umani, solo per averlo pensato.
Fatta questa premessa, ho cercato di riflettere sulle cause delle forti turbative che fuoriescono dal di dentro di alcuni alti burocrati ecclesiastici ( si ricordino dal Vangelo di Marco le parole di Gesù sulla provenienza  delle impurità ).
Mi sono tornati in mente i bui e torbidi anni del papato avignonese e del pseudo concilio di Pisa, durante i quali abbiamo avuto anche due papi e due antipapi contemporaneamente a conferma dell’esistenza di partiti contrapposti che, nel nome del Signore, senza esclusione di colpi miravano a conquistare il potere religioso e temporale attraverso la Chiesa.     
Altro che porsi al suo servizio!!!

Come un auto con 75 – 80 mila Km può non essere più in grado di frenare in modo adeguato, così anche l’uomo di pari età può trovare una certa difficoltà con i freni di autocontrollo, ma prendere carta e penna per chiedere pubblicamente e reiteratamente le dimissioni di papa Francesco, asserendo, per il principio del “silenzio - assenso”, la validità delle proprie argomentazioni, mi impone una domanda. Ha guardato attentamente se sulla sua spalla destra c’era la Colomba che gli suggeriva il da fare o ha equivocato col banale piccione della sua frustrata ambizione di ulteriore carriera che non è arrivata?

Si ripresenta alla mia mente una convinzione, ora, ancora più certa, che già più volte ho espresso.

Per innumerevoli anni quotidianamente ha recitato – e, ritengo, continui a farlo - con le labbra il Padre Nostro e l’espressione cardine “non c’indurre in tentazione” senza meditarne il senso, benché ne abbia sempre avuto il dovere.

Il buon Dio non può indurre in tentazione la sua amata creatura, è quest’ultima che, sentendosi chiamata specificatamente  a differenza del laico  e avendo per tanti anni parlottato con sicumèra delle cose di Dio, si impregna di autoreferenzialità fino ad autoconvincersi di avere il dovere di parlare e scrivere a nome e per conto di Dio, cioè di rappresentare a pieno titolo la Verità. Purtroppo non è un caso isolato. La perniciosa autoreferenzialità, che il “non c’indurre in tentazione” condanna senza eccezioni e mezzi termini, è un vizietto che, più di talvolta, affiora a tutti i livelli dei credenti non laici e laici. 

Spero che il mio ragionare non rientri in questa devianza.
Se si valutasse con serietà il male che si fa alla Chiesa ben oltre ai singoli episodi e a quei cristiani, per varie ragioni, più fragili nella fede, forse emergerebbe il bisogno di una maggiore cautela. Anche in questo Gesù è stato durissimo: chi fa scandalo si procuri una macina da mulino e trovi la dignità di autoeliminarsi.
Quando ero ragazzo mi è stato insegnato che prima di parlare è meglio contare fino a dieci. Con la maturità suggerisco: si prenda un foglio di carta da dividere in due colonne, quella dei pro e quella dei contro. Solo alla fine di una scrupolosa analisi, magari ripetuta più volte, si prenda la decisione.
Ma per applicare questo metodo occorre umiltà. Purtroppo è un cibo per la mente e per lo spirito rarissimo da reperire, specie quando prevale l’Io.
Ripropongo il quesito iniziale: cos’è la Chiesa? E’ la libera e totale condivisione del progetto e del cammino indicatici da Gesù, quindi condividere esclude la prima persona singolare, cioè l’Io egoistico e richiede la prima persona plurale, cioè il Noi della condivisione. Quando quest’ultima raggiunge il top, non si chiama più condivisione, ma amore. Ci è sempre chiaro questo concetto? O fa comodo farlo scivolare via, proprio da parte di chi dovrebbe sentirlo come la regola assoluta per poterlo rendere partecipe agli altri?




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