N° 10 - Novembre 2018
THOMAS SANKARA, UN SOGNO CHE NON FINISCE
di Egidio Banti


Il Comune di Luni, presente con l’assessore Carola Baruzzo, ha partecipato a fine agosto, insieme ai Comuni di Arcola e di Castelnuovo Magra, ad una iniziativa culturale svoltasi al Piano di Arcola e promossa da due associazioni, gli Amici di padre Damarco e “Voltalacarta”, impegnate da tempo nel campo dell’accoglienza e dell’integrazione delle persone non italiane. Si è trattato di una rappresentazione musicale, “Sparato, (s)concerto per Sankara”, dedicata al ricordo di una figura molto importante nell’Africa degli anni Ottanta, ma purtroppo molto poco conosciuta in Occidente.
Lo spettacolo, assai semplice e quindi molto efficace nella sua immediatezza, è stato allestito dal gruppo “Replicante Teatro” di Aosta, su testi di Andrea Damarco, anche nella veste di voce narrante, e musiche dal vivo di Matteo Cosentino. Andrea Damarco, detto per inciso, è il nipote di padre Vincenzo Damarco, del quale più volte abbiamo parlato su queste pagine ed al cui insegnamento si ispira una delle associazioni promotrici. La serata arcolana, ospitata dal Comune nel parco dei Giardini di via Valentini, è stata inoltre arricchita dalla presenza di Silvestro Montanaro: giornalista d’inchiesta in forza per vari anni alla Rai, Montanaro è stato allontanato dalla tv di Stato ed ora opera in forma autonoma nel denunciare situazioni di violenza e di ingiustizia a livello internazionale, dallo sfruttamento delle popolazioni di molti stati africani alla vergogna del cosiddetto “turismo sessuale” nell’Asia sudorientale. Sono situazioni molto gravi, sulle quali troppe volte, anche in Italia, l’informazione cosiddetta “ufficiale” preferisce il silenzio. Proprio a Sankara, Montanaro aveva dedicato un importante reportage televisivo
Ma chi era Thomas Sankara ? La sua vita, svoltasi in soli trentasette anni tra il 1949 e il 1987, si colloca nello stato africano del Burkina Faso, già colonia francese dell’Alto Volta. Si tratta di uno degli stati più poveri del mondo, la cui produzione principale è quella del cotone. Ma il paese è anche ricco di materie prime, tra cui l’oro, il cui sfruttamento è sempre stato obiettivo primario della Francia, di cui l’Alto Volta era appunto colonia, e poi nel periodo cosiddetto post coloniale anche di altre potenze mondiali. Proprio per queste pesanti interferenze di ordine economico, la giovane democrazia “burkinabe” ha sempre stentato ad affermarsi, e il Paese, dopo il 1960, è stato quasi sempre governato in forma dittatoriale o comunque autoritaria.
L’unico vero periodo di autentica democrazia fu proprio, tra il 1983 e il 1987, quello caratterizzato dalla presidenza di Sankara. Il giovanissimo capitano dell’esercito divenne presidente in seguito all’ennesimo colpo di stato, ma, al contrario di chi lo aveva preceduto e di chi lo avrebbe seguito, almeno sino al 2014, egli comprese che in un Paese così povero e giovane come l’Alto Volta l’unica speranza reale per la popolazione era l’avvio di un vasto processo di partecipazione democratica.
Uno dei primi gesti significativi della sua presidenza fu quindi il cambiamento del nome allo Stato, da Alto Volta, nome coloniale a suo tempo assegnato dai francesi, a Burkina Faso, che nella lingua del luogo significa “terra dei veri uomini”. Ma Thomas Sankara non si limitò ad avviare in Burkina riforme economiche e sociali di notevole rilevanza, bensì comprese che il futuro del suo Paese, come in genere dell’Africa, stava in una diversa politica internazionale, capace di assicurare al continente dal quale la stessa specie umana potrebbe avere avuto inizio, un futuro di giustizia e di benessere. Tanto più in quell’epoca globale che, se negli anni di Sankara non era ancora iniziata, per lo meno già si poteva intravvedere all’orizzonte del mondo.
Sotto questo profilo, egli pronunciò uno storico discorso all’assemblea generale dell’Onu, a New York, il 4 ottobre 1984. Molti studiosi giudicano quell’intervento uno dei più importanti discorsi politici del Novecento a livello internazionale. Ma molti ritengono anche che proprio quel discorso abbia segnato per così dire la sua condanna a morte. Nel senso che si cominciò a comprendere come di fronte alla platea più importante della politica mondiale aveva parlato quel giorno non il semplice presidente di uno dei Paesi più piccoli e poveri del mondo, bensì un leader di statura mondiale.
Il discorso di Sankara fu un discorso di “rottura”, nel senso che rivendicò con forza il diritto del suo popolo, e di tutti i popoli africani, a non considerarsi più dipendenti dal mondo cosiddetto sviluppato, bensì a prendere in mano davvero il proprio destino: “Affermiamo la nostra consapevolezza di appartenere a un insieme tricontinentale, convinti che una solidarietà speciale unisca i tre continenti, Asia, America Latina e Africa, in una lotta contro gli stessi banditi politici e gli stessi sfruttatori economici”.
Come si vede, era un vero e proprio guanto di sfida lanciato all’Occidente.
Che a suo modo, e sottotraccia, un po’ come sempre, non tardò a rispondere: il 15 ottobre 1987, trentuno anni fa, un colpo di stato guidato dal suo “vice” (e sino a quel momento amico fraterno) Blaise Compaoré depose Sankarà, che venne subito passato per le armi. Compaoré divenne il dittatore del Burkina Faso restando in carica quasi trent’anni ed annullando di fatto ogni ambizione di riforma avviata dal suo predecessore. Non solo: di una figura come quella di Thomas Sankara gran parte dell’opinione pubblica internazionale non seppe praticamente mai nulla. Il colpo di stato del 1987 venne “liquidato” dai grandi giornali italiani ed europei con poche righe di cronaca, quasi uno notizia come tante altre nel contesto africano.
Oggi che, in piena epoca globale, i fenomeni delle migrazioni, che tanto ci riguardano da vicino, ma anche quelli dell’espansione cinese (che guarda caso ha proprio l’Africa come uno degli obiettivi primari) e del cosiddetto “mercato comune africano” richiamano in modo rilevante la nostra attenzione, forse si comincia a comprendere quante ragioni avesse Sankara nel rivendicare una battaglia di giustizia per il suo popolo, ma anche per il mondo intero. Alla radice di tutto, come dice Montanaro nei suoi testi e interventi dedicati all’argomento, ci sono “le vere ragioni delle tragedie e dell’emigrazione africana”. Purtroppo quel sogno del giovane capitano burkinabe si è interrotto presto, ma lo spettacolo di Arcola, molto affollato di persone, ci ha detto, in qualche modo, che può anche ravvivarsi, come accade talvolta per il fuoco che cova sotto la cenere. Partendo dal basso, e dall’onestà intellettuale di chi non si ferma alla superficie, ma cerca di andare alla radice dei fatti.


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