N° 6 - Giugno 2018
Maria, Madre della chiesa, prima discepola di Gesù
di Giuliana Rossini


 

È volato via anche il mese di maggio, quest’anno un mese strano, per niente primaverile, freddo e piovoso che ha bruciato tutti i fiori che si erano appena dischiusi: la mia magnolia bianca, dalle foglie caduche, era come una sposa pronta a risplendere in tutta la sua bellezza e improvvisamente… è diventata tutta marrone. E tuttavia maggio è il mese mariano per eccellenza, per questo papa Francesco aveva fissato in quel periodo incontri importanti che avevano al centro Maria, Madre della chiesa.
Il primo riguardava l’arrivo a Roma, per il cinquantesimo della loro fondazione, di 150 mila Neocatecumeni. Il papa li ha ricevuti con tanto affetto, ringraziandoli per la loro azione evangelizzatrice. Poi ci sono state le visite a due “cittadelle sul monte”: Nomadelfia, fondata da don Zeno e Loppiano, in Incisa Val d’Arno (FI), la prima delle 25 cittadelle di Focolari. Esse sono la testimonianza tangibile di come si possa vivere insieme in armonia, pur essendo di diverse provenienze e culture, avendo come legge basilare quella dell’amore reciproco.
Il papa, sottolineando in particolare che nella cittadella di Loppiano ciascuno si sente a casa, ha ben ricordato come l’unica ispiratrice di essa (e di tutti i movimenti laici ecclesiali) fosse Maria, la prima discepola di Gesù.
Già il grande papa Giovanni Paolo II, insieme all’allora cardinale Ratzinger, che aveva chiamato i movimenti ecclesiali “primavera della chiesa”, aveva per primo riconosciuto e sottolineato l’importanza di questa fioritura che rendeva la chiesa un giardino, con tanti fiori belli e variegati, ciascuno diverso dagli altri con un proprio colore e profumo e perciò insostituibile.
Egli sosteneva che nella chiesa si potevano individuare due grandi filoni: quello istituzionale, guidato da uomini e quello mariano che derivava direttamente da Maria, sua ispiratrice laica e donna che aveva vissuto il vangelo parola per parola, con spirito di servizio, dicendo prontamente il suo sì all’invito dello Spirito Santo. Questo indirizzo, che aveva profuso doni e carismi in abbondanza, veniva riconosciuto ed approvato dal papa alla vigilia della Pentecoste del 1998. Che meraviglia quel giorno! Io c’ero! Ricordo piazza San Pietro e via della Conciliazione gremitissima (si parlava di circa 500 mila presenze) e, nonostante il caldo e un impianto sonoro che lasciava alquanto a desiderare, sentivo dentro di me un’emozione fortissima: ero testimone di un evento epocale, noi laici (un po’ accantonati fino ad allora) eravamo rimessi al centro della chiesa, partecipi di un suo rinnovamento ispirato ai fondatori dei vari movimenti dello Spirito e che, perciò, avrebbe dato buoni frutti.
Il giorno dopo, con una piazza molto meno gremita, poiché la maggioranza dei partecipanti era partita la sera precedente, durante la messa di Pentecoste, abbiamo vissuto un’altra esperienza profondissima: lo Spirito del Consolatore sembrava aleggiare sopra di noi e confermarci nel nostro cammino all’interno e per un cambiamento innovativo della chiesa, guidati dai nostri pastori e soprattutto dal papa e ci fortificava nel nostro impegno ed entusiasmo donandoci una grande gioia. Oggi papa Francesco si muove sulla stessa linea, non solo riconosce la bellezza dei movimenti, ma li considera come un dono per la chiesa e ne apprezza lo spirito di rinnovamento personale e comunitario che ne scaturisce. Egli consegna a tutti un grande compito: vivere e costruire la civiltà del “noi”, considerandoci tutti figli di un solo Padre, per costituire un’unica grande famiglia umana aperta ed inclusiva, unico rimedio ai grandi mali dell’umanità contemporanea, derivanti dal predominio dell’io e dalla sopraffazione del più forte.
Sostiene che il carisma dell’unità è uno stimolo potente al raggiungimento di questo scopo. A tale proposito mi piace ricordare un aneddoto raccontato dal papa stesso. Quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires, un suo sacerdote gli pose una domanda a bruciapelo su cosa fosse l’opposto dell’io. “Il tu” rispose Bergoglio. “No eccellenza, corresse l’altro, ma il noi”. Il futuro papa riconobbe il proprio errore e non lo dimenticò più.
“Siamo chiamati a vivere gli uni contro gli altri, per gli altri, negli altri” a modello della Trinità, dice Francesco e per costruire una società simile, non solo occorre il dono dell’umorismo, che si avvicina alla grazia di Dio, ma anche avere il coraggio della verità, credere nell’amore del Padre, testimoniare e sopportare le difficoltà nel portare avanti la testimonianza, proprio come ha fatto Maria attenta a riconoscere il soffio dello Spirito.
Il discorso del nostro amatissimo papa terminava con un importante appuntamento. Egli richiamava alla memoria come papa Paolo VI avesse insignito Maria del titolo di Madre della chiesa e di come lui avrebbe reso ufficiale questo fatto stabilendo il giorno 21 maggio di ogni anno per ricordare questa festa e importante avvenimento.



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