N° 6 - Giugno 2018
SETTANTADUE ANNI DI REPUBBLICA
di Egidio Banti


Il 2 giugno 1946, nel comune (allora) di Ortonovo, andarono a votare per il referendum costituzionale 2817 elettori. Per la prima volta in una consultazione nazionale votavano anche le donne. I voti validi furono 2498, e di essi la stragrande maggioranza, 2029, pari all’81,2 per cento, furono per la Repubblica, lasciando ai nostalgici della Monarchia soltanto il 18,8 per cento. Fu una percentuale davvero alta, che del resto avvicinava Ortonovo alla contigua Carrara, terra di cavatori per antica tradizione repubblicani e anarchici. Nel comune di Carrara i voti per la Repubblica arrivarono infatti all’88.60 per cento, mentre nell’intera provincia di Massa Carrara, in forza di più consolidate tradizioni monarchiche in alta Lunigiana, furono soltanto il 74,91 per cento e in provincia della Spezia, città legata alla Regia Marina, il 69,05 per cento.
Ortonovo, dunque – oggi Luni -, affermò quel giorno con notevole forza la propria scelta repubblicana. Da allora sono passati settantadue anni. Anche nel territorio di Ortonovo coloro che votarono in quella circostanza (bisognava avere ventuno anni per averne diritto) sono rimasti in pochi, ma è lecito comunque chiedersi non tanto se quella scelta oggi sarebbe ripetuta, dal momento che i rappresentanti della casa allora regnante dei Savoia non sembrano davvero avere riacquistato popolarità, quanto se le vicende di oltre un settantennio abbiano corrisposto alle attese e, viste le percentuali, agli entusiasmi di quanti si espressero in quel senso.
Dalla scelta repubblicana, che in quel 2 giugno 1946 fu accompagnata dalle elezioni per l’Assemblea Costituente, è derivata come si sa la Costituzione della Repubblica, che proprio quest’anno ha compiuto i settant’anni dalla sua entrata in vigore, il primo gennaio 1948. La festa del 2 giugno non è quindi solo la festa della Repubblica, ma anche, a buon diritto, la festa della Costituzione, un testo che – se anche non fosse la più bella del mondo, come peraltro talora si dice con un po’ di retorica e nessuna prova oggettiva – è certamente frutto di un lavoro molto accurato e di una grande sensibilità istituzionale e democratica.
E’ la Costituzione che ha accompagnato, e in certo modo tenuto per mano l’Italia in tutto questo tempo, motivo per il quale appare comunque riduttivo parlare, come invece si fa sovente, di “prima”, di “seconda” e oggi addirittura di “terza” Repubblica. Queste espressioni sono infatti riprese dall’esperienza francese di ben cinque forme repubblicane in meno di duecento anni, ma bisogna ricordare che, oltralpe, ognuna delle cinque “Repubbliche” ha avuto una Costituzione ben diversa dalle altre, oltre che dai periodi monarchici o imperiali. In Italia, a cambiare sono state le leggi elettorali, mentre la Costituzione è stata modificata, per ora, soltanto in aspetti limitati, mantenendo solido l’impianto originario. Sono dunque cambiati i governi, con le loro variegate maggioranze, non le “Repubbliche”.
Da un lato questo è positivo: vuol dire che l’impianto costituzionale ha retto a una serie di cambiamenti sociali, economici e politici di grande rilevanza, come quelli che si sono succeduti dalla fine della guerra ad oggi. Il che è un po’ come avvenuto negli Stati Uniti d’America, la cui Costituzione è ancora quella del 1787, al cui testo sono stati portati soltanto “emendamenti”, non varianti di fondo.
Dall’altro però, la sostanziale tenuta della Costituzione – e quindi della scelta repubblicana del 2 giugno 1946 – risulta per certi aspetti ancora più impietosa, perché mette a nudo difficoltà e contraddizioni che hanno visto la classe politica troppe volte incapace, anche molto di recente, nel dare voce ma anche e soprattutto nel guidare davvero il popolo italiano.
Cambiamenti, ovviamente in meglio, a parole, in settantadue anni, ne sono stati promessi tanti, e molti, a onestà del vero, sono stati perseguiti, da una forte politica di pace – ben diversa da quella dei secoli precedenti – al boom economico, dal sistema delle garanzie sociali a quello delle comunicazioni. Ma in tante altre cose sentire i politici, e non solo loro, che parlano di “cambiamento” può forse con una certa ironia lasciar pensare che, alla fin fine, l’Italia è pur sempre il paese del mitico Tancredi, nipote del principe di Salina, il protagonista del “Gattopardo”, per il quale, a fronte dell’arrivo dei garibaldini in Sicilia, “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
Forse non è sempre stato così, e men che meno è detto che lo sia ancora, ma il rischio, in qualche modo, potrebbe esserci. Allora, a maggior ragione, sembra importante rendere omaggio anche oggi a quelle italiane e a quegli italiani, un po’ coraggiosi, un po’ entusiasti e un po’ forse anche disincantati, che settantadue anni fa, come ieri, andarono a votare e misero una croce sul simbolo della Repubblica.  Nella consapevolezza che indietro, giustamente, non si può tornare. E che andare avanti spetta anzitutto alla responsabilità e alle scelte di ciascuno di noi. Senza deleghe in bianco.



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