N° 2 - Febbraio 2017
DON RENZO E LA SUA CHIESA “OSPEDALE DA CAMPO”
di Egidio Banti


Ha fatto epoca, si fa per dire, una delle prime espressioni usate da Papa Francesco dopo l’elezione per sintetizzare il suo programma pastorale: quella della Chiesa “ospedale da campo” verso le attese, le sofferenze, le angustie dell’umanità di oggi. Che sembra, all’apparenza, o crede di essere sempre più sicura e padrona di sé, ed invece ricorda sempre di più i celebri versi di Ungaretti: “Si sta come d’autunno/ sugli alberi le foglie”.
Papa Francesco voleva dire, come poi non si è stancato e non si stanca di ripetere quasi ogni giorno, che la Chiesa e gli uomini di Chiesa non possono e non devono restare tranquilli nelle loro attività “ufficiali”, bensì devono scendere in mezzo alla gente, rimboccandosi le maniche sin quasi al limite del consentito (dalle leggi, oberate di burocrazia, o anche solo dalle consuetudini) per incontrare chi cerca una parola di speranza, ma anche, in primo luogo, una mano tesa, che senza porsi troppi problemi – proprio come il samaritano della parabola -, lo aiuti, lo curi, gli rimbocchi le coperte …
Intendiamoci, una Chiesa così c’è sempre stata, specie nella vita quotidiana delle nostre parrocchie, ed anche a Ortonovo e dintorni, ogni giorno, è possibile sperimentarla, vederla all’opera. Nondimeno, nell’epoca delle esposizioni mediatiche, spesso la bontà e la fatica quotidiana della pastorale dell’accoglienza e della sofferenza stentano ad essere riconosciute.
Così ci vengono incontro, proprio come nelle parole di Gesù ai suoi discepoli, quelle che potremmo chiamare le “parabole” dei nostri tempi: esempi non esclusivi, ma significativi di quello che il Papa raccomanda ai suoi figli, consacrati o laici che siano.
E’ stato il caso che si è visto a Sarzana, poche settimane or sono, quando un anziano parroco, don Renzo Cortese, ha lasciato il suo incarico dietro l’avanzare dell’età e di una salute ormai malferma. La sua chiesa di San Francesco, una delle più antiche della Val di Magra – costruita verosimilmente quando il poverello di Assisi era ancora in vita, quindi all’inizio del Duecento -, era affollata come non mai in occasione dell’ultima Messa che una domenica di gennaio vi ha celebrato da parroco.
Commozione, rimpianto per la sua peraltro inevitabile decisione, ma soprattutto attestazione di un impegno ed espressione di gratitudine. Per che cosa ? Per una cosa molto semplice e forse proprio per questo “rivoluzionaria”: aver fatto di quella chiesa, così antica e così impegnativa nel nome, quello che il Francesco dei giorni nostri non si stanca di raccomandare, appunto un “ospedale da campo”, aperto ed attivo ventiquattr’ore su ventiquattro, dodici mesi all’anno, per venti anni.
Quando venne parroco a Sarzana nel 1997, sostituendo i frati francescani costretti a rinunciare per la scarsità di vocazioni, don Renzo, fosse stato un laico, era già quasi in … età da pensione: sessantacinque anni, e alle spalle una esperienza sacerdotale e pastorale molto intensa. Da giovane fu parroco a Madrignano, in Val di Vara, ed ancora oggi lo si ricorda per aver guidato di persona il trattore che aprì una strada attesa da decenni, quella per la frazione di Usurana. Poi, per molti anni, guidò il santuario – parrocchia delle Grazie, il che volle dire fare del bene ma anche tante conversioni. E fu poi anche a lungo direttore diocesano della Caritas, ed ancora parroco a Fossitermi (in un’altra parrocchia dedicata a Francesco) e poi cappellano ospedaliero alla Spezia. Non si fece mancare la testimonianza missionaria, non in modo permanente – per lui la vera “missione” era proprio qui da noi, e in questo anticipava i tempi -, ma certo efficace, proprio, per così dire, da “pronto soccorso” internazionale: così lo vediamo in Croazia e in Bosnia durante la furibonda guerra balcanica degli anni Novanta, ed ancora in Ruanda, rischiando la vita a portare generi di soccorso, medicinali e quant’altro proprio nelle settimane della grande carneficina …
Arrivato a Sarzana, ricominciò con lo slancio di un ragazzo. Sotto gli archi silenziosi di quella chiesa antica, le sue omelie, e insieme i suoi gesti di generosità hanno richiamato per due decenni sarzanesi e non sarzanesi. Non si saprà mai, e forse neanche lui è in grado di ricordarlo tutto, il bene che don Renzo ha seminato in questi vent’anni. Un po’ testardo, incurante delle difficoltà e degli ostacoli, specie se imposti da burocrazie occhiute (fece clamore la protesta contro le multe per divieto di sosta elevate dai vigili alle auto di chi era alla Messa), fiducioso nella provvidenza ogni volta che, un po’ come in una versione moderna dei “Miserabili”, qualcuno che magari aveva appena beneficato gli rubava il denaro restante in qualche cassetto … Questo è stato don Renzo nei suoi vent’anni a Sarzana, e la folla presente al suo saluto di commiato, sindaco in testa, qualcosa ha voluto pur dire.
Che cosa ? Che ci sono tanti preti che ogni giorno, spesso in silenzio, ma con la “loro” gente che li sa “riconoscere” anche e proprio per questo, realizzano in concreto quell’”ospedale da campo” che è sembrato un richiamo nuovo, ma che nuovo, specie in alcuni casi, non lo è mai stato.
Grazie, dunque, don Renzo, grazie anche di questa testimonianza. E resta nostro amico nel periodo – che tutti ti auguriamo molto lungo – del tuo meritato riposo. Che però, probabilmente, proprio riposo pensiamo non sarà …

 



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