N° 11 - Dicembre 2016
Walter il corista
di Renato Bruschi


 

Di Walter, amico, confidente, cantore fedele, vorrei raccontare «qualcosa» circa il suo impegno nel Coro della parrocchia. Altri hanno già scritto di lui splendidi ritratti che ne disegnano la natura,  il carattere, l’attività sociale e religiosa, da cui si ricava l’immagine di un uomo generoso e umile, che si è speso per il prossimo in tanti modi. Io, invece, mi limiterò a ricordarlo come un corista, uno di quelli che tutti i direttori vorrebbero avere nel proprio coro.
Quando sono venuto ad Ortonovo, chiamato dal parroco di allora, don Mario Rinaldi, degli Orionini, per dare vita ad una «Schola cantorum», non avrei mai pensato che la mia vita si sarebbe legata a questo paese per oltre trent’anni. Che avrei suonato e cantato ai matrimoni di coristi e dei loro figli e nipoti e avrei accompagnato, con la musica, alcuni di essi all’ultimo addio. 
Nell’estate del millenovecentottantaquattro, si erano ritrovati, nel Santuario del Mirteto, alcuni volenterosi, in verità non molti: di questi, gli uomini erano davvero pochi, cinque o sei. Questo fu il primo nucleo del futuro coro. Poi ci fu l’occasione del giubileo sacerdotale di padre Placido Franciosi. Allora il  numero dei coristi crebbe. Arrivarono rinforzi anche dalle località vicine, attratti dalla voglia di cantare e dalla novità del «coro di Ortonovo».
E giunse anche Walter che, all’epoca, viveva in via delle Rose a Casano e quindi, come molti altri colleghi, doveva «salire» in paese per partecipare alle prove.
Ricordo bene l’entusiasmo, la forza e i sacrifici di quegli esordi, mentre si muovevano i primi passi nella polifonia nel canto gregoriano.
Padre Placido prima e, in seguito, padre Oriano, religiosi carmelitani e zii di Walter, iniziarono ad organizzare pellegrinaggi e visite in città d’arte. Walter, da corista, essendo a loro legato da ammirazione e affetto, ne divenne prezioso collaboratore e sposò in pieno il progetto del «volontariato cristiano» (il copyright di questa espressione è di padre Oriano e traduce benissimo quello che oggi si definisce «impegno laicale a servizio dell’evangelizzazione»).  Non appena maturava qualche idea su un possibile «viaggio della fede», Walter, con spirito collaborativo, mi contattava,  per chiedere, rispettosamente, se si poteva coinvolgere tutto il Coro.
Da lì, da queste proposte, sorprendenti e originali, che poi si precisavano in qualche conversazione o telefonata,  sono nate le trasferte corali a Lourdes, Parigi, Ars, Nevers, a Firenze, Siena, Arenzano. Una domenica o più giorni. Non importa. Ciò che conta è che al canto si univano momenti di svago e di preghiera per crescere tutti nella fede.
Davvero anni indimenticabili  e benedetti. Che hanno trasformato un gruppo variegato di appassionati cantori, in una compagnia di amici.
Da quel momento, nell’ultratrentennale storia del Coro, Walter è rimasto al suo posto: ha sempre cantato da «basso», e lo ha fatto con convinzione. Il «basso», nel coro, è la sezione che sostiene tutte le altre voci e deve infondere calore e sicurezza.  È quasi una figura mitica e paterna, un punto di riferimento indispensabile cui aggrapparsi, se si vuole salire fino nelle zone più acute della partitura. Ebbene la voce di Walter, grazie alla costante pratica corale, era diventata, nel corso degli anni, ferma, decisa e bronzea: non era potente, ma aveva la qualità non comune di legare i suoni, smussando le differenze timbriche. Ciò accresceva la sicurezza di tutti e trasmetteva un senso di stabilità.
Corista assai intonato e scrupoloso nell’imparare le parti, non tollerava le perdite di tempo in chiacchere o distrazioni.  Posizionato sempre dietro tutti, faceva giungere le sue note scure e profonde alle voci femminili che ne traevano soddisfazione e agevolazioni per le loro acrobazie vocali.
Aveva un po’ di allergia alle pagine musicali stampate, e quindi alla cartella che le conteneva, poiché riusciva a memorizzare tutto. Ciò, nondimeno, determinava un sicuro vantaggio: senza avere l’occhio incollato sulla partitura, poteva concentrarsi interamente sui gesti del direttore e rispondervi all'istante.  So, per sua confidenza, che alcune volte, a casa, riguardava le parti, per non dimenticarne neanche una sillaba.
In privato,  mi sollecitava a spiegare bene oltre che la linea melodica, anche il contesto storico e liturgico, e il significato delle parole latine usate nel canto. «Se sappiamo cosa vogliono dire – puntualizzava – si canta meglio». E quando coglieva nel mio sguardo una qualche delusione o sgomento di fronte alla difficoltà dell’esecuzione, non esitava a dirmi «insisti, bisogna insistere…».
Nel Coro la sua voce ha risuonato per oltre trent’anni, fino a che le forze glielo hanno consentito. L’ultima volta è stato per la festa di San Lorenzo, lo scorso 10 agosto.
Di quella sera ne ha fatto, come sua abitudine, un appassionato resoconto nella rubrica «Diario di un parrocchiano», pubblicato sul «Sentiero» di Agosto 2016. Purtroppo il 7 e l’8 settembre, con la malattia e il dolore in progressione, ha dovuto ascoltarci, da sotto,  in mezzo all’assemblea.  Chissà che struggimento, non poter salire fino in cantoria e unirsi al gruppo.
Posso, infatti, testimoniare che Walter, in più occasioni, anche sofferente, febbricitante, dolente, ha avuto la forza di cantare e di adempiere con serietà e abnegazione a quello che considerava un suo impegno primario nell’ambito della liturgia.
Caro Walter, ci mancherà la tua voce, ci mancheranno le belle, serie, stimolanti conversazioni a fine prova sul sagrato della chiesa. Siamo però sicuri che adesso il tuo canto potrà unirsi alle schiere del cielo, laddove «in sempiterno si loda» e che un giorno ancora potremo cantare insieme, e per sempre.

                                                                                                           


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