N° 11 - Dicembre 2016
Storie dei lettori
  Davanti a Gesù bisogna decidersi
di Domenico Lavaggi Prete e vostro conterraneo



 

Ognuno di noi può avvicinare una persona in tanti modi: come amico o come avversario, per interesse o per curiosità, per indifferenza o per sapere se in essa vi è qualcosa di positivo.
Luca nel Capitolo 7° del Vangelo scrive così: " A Cafarnao  un capitano romano (centurione) aveva un servo che stimava moltissimo che era così ammalato che stava per morire. Udì parlare di Gesù,  Maestro e medico, e gli inviò alcuni anziani, dei Giudei (forse il Rabbino e gli abituali frequentatori della sinagoga) a dirgli di venire a salvare il suo servo.
Il capitano romano udì parlare di Gesù.
Questo è il pensiero di Luca: non lo conosceva ma ne udì parlare.
(Anche noi cristiani udiamo parlare di Gesù non conoscendolo di persona e siamo nelle condizioni  del capitano romano).
Manda a Gesù un gruppo di anziani e giudei per chiedere la guarigione del servo. Ma essi non dicono a Gesù  "vieni perché il capitano lo merita, è nostro amico e ci ha ricostruito anche la sinagoga".  Noi potremmo dire a Gesù : " Vede bene i cristiani e ci ha anche rifatto il tetto della chiesa".
Luca , nel suo Vangelo ha un' intenzione diversa da quella degli anziani e dei giudei.
In Luca c' è un annunzio: sapere quello che Gesù ha fatto provoca l'agire del capitano che poi manda un'altra delegazione da Gesù per dirgli di non venire a casa sua perché non è degno di riceverlo.
Fa dire alla seconda delegazione: " Anch' io devo ubbidire a chi mi comanda ed ho sotto di me altri servi e quando dico loro "fate questo", mi ubbidiscono. Se la mia parola di capitano ha questo potere quanto più deve averne la parola di Gesù".
Per questo gli fa dire dalla seconda delegazione: "Comanda alla Tua parola che venga a guarire il mio servo" (Luca scrive il Vangelo nella lingua greca e scrive proprio così:
"Comanda alla parola che viene a casa mia a guarire il mio servo". San Gerolamo traducendo dal greco il Vangelo di Luca in latino dice così: " Sic tantum dic verbo"- comanda alla parola che viene a casa mia a guarire il servo).
Luca scrive il Vangelo per una comunità fatta da non ebrei (siriani, greci e latini) e la comunità di Luca  vi riconosce la sua esperienza: per la sua fede e non perché lo merita è popolo di Dio.
Siamo cristiani non per merito ma per fede che è stata data a noi nel battesimo.

 


  C’ERA UNA VOLTA……
di Millene Lazzoni Puglia



 

C’erano una volta……. cinque bambine.   Non è una favola! Eravamo noi: Ania, Millene, Graziella, Mariuccia, Maria. Tutte nate sul finire degli anni trenta del secolo scorso, quando l’Italia era molto povera e arretrata.
C’era il fascismo e all’orizzonte si profilava la seconda guerra mondiale.
L’antica via Novella era solo una mulattiera con il fondo di ciottoli sconnessi.
Il “ traffico” consisteva in muli o asini che portavano some di frumento al mulino o di olive al frantoio vicino al torrente Isolone, oppure merci di vario genere. Passavano lungo quella mulattiera anche molte persone a piedi, spesso portando a spalla o sul capo legna, erba per le bestie o altri prodotti dei campi; non mancavano certo le donne con i panni da lavare al torrente o a prendere con il secchio  l’acqua alla fontana, che si trovava a circa metà della via. Molte famiglie, che avevano il pozzo a cielo aperto e ne usavano l’acqua tirata su con la catena e il secchio, spesso anche per loro la fonte era preferita, perché era un piacevole punto d’incontro per scambiare quattro chiacchiere. 
Quell’antica mulattiera, detta “Scurton,” oggi, Via Novella di sopra, è stato il teatro della nostra infanzia, tranne che per una di noi, Mariuccia, che abitava poco lontano dove nei primi anni cinquanta fu costruita via Fravizzola. Tutte e cinque avevamo in comune lo stesso stile di vita: una povertà molto dignitosa, con famiglie laboriose, unite, tenaci, che, neanche durante la guerra, ci fecero mancare lo stretto necessario. La televisione non era stata ancora inventata, non esisteva per noi neppure la radio, né giocattoli; le nostre bambole erano di pezza fatte in casa ed una bambola vera a malapena sapevamo com’era fatta. Per noi è, però, indimenticabile il ricordo dei giochi nei campi, a contatto con la natura e gli animali: il profumo dei fiori, dell’erba appena tagliata, del bosco e quello acre della stalla.
Nei campi si facevano anche piccoli lavori, come tagliare l’erba con la falce per dare da mangiare alle pecore e ai conigli; di ogni specie se ne conosceva il nome e si sapeva se a loro piaceva oppure no.
Si cercavano gli “erbi” da cuocere e la legna per il focolare che ci avrebbe scaldato d’inverno. A quel tempo il fuoco era la vita, sostituiva la televisione di oggi. Le storie che ci raccontavano intorno al focolare si animavano nella fiamma, i cibi che sul fuoco venivano cucinati avevano un sapore unico ( di fumo?) e, stranamente, piacevano a tutti, grandi e piccini. E’ indimenticabile anche il clima della guerra vissuto da bambine: “il nemico”, che erano i tedeschi, ci incuteva timore e paura, altrettanto lo scoppio delle bombe ed i racconti delle imprese partigiane. Però tutte noi avevamo una famiglia unita dentro la quale ci sentivamo sicure e protette anche dalla fame, allora molto diffusa.
Purtroppo, anche dopo la fine delle ostilità, spesso ci mancavano le scarpe o il vestito adatto alla stagione e il giusto confort nelle nostre case. In compenso vivevamo anche grandi emozioni, come quella di vedere arrivare nelle nostre umili dimore la luce elettrica, andare al cinema, anche se dovevamo fare alcuni chilometri a piedi e andare al mare.
La prima volta…. che scoperta!!  Arrivarono gli anni cinquanta, gli anni della nostra giovinezza, che ci sorpresero ancora a contatto della natura: l’erba e il fieno da tagliare con la falce, le olive da raccogliere una ad una, anche al freddo, i panni da lavare al torrente, il fuoco da accendere…..ma il fornello a gas stava arrivando… e ci voleva!! 
Un insieme di tante cose piccole e grandi che ci fecero diventare un poco più emancipate delle nostre madri, vere eroine nell’affrontare le varie difficoltà. Il mondo nuovo e moderno stava avanzando, ma soltanto piccoli segnali arrivavano sino a noi. Uno di questi fu la televisione che ci faceva andare a piedi fino al centro storico di Caniparola nelle serate dei programmi di grande successo.
In quegli anni arrivò anche la motocicletta per i giovani sotto forma di “Vespa e Lambretta”; certamente, non per tutti, tantomeno per noi, come non lo fu l’indirizzo alla scuola o ad un lavoro che ci avrebbe dato l’indipendenza ( o almeno era per poche ).  Il femminismo era ancora lontano.
Ci consolavamo andando a ballare nei giorni di festa, specialmente nelle serate, sempre accompagnate dalle rispettive madri che “vigilavano come usava allora.” Ciascuna di noi aspettava con impazienza l’amore per dare una svolta alle nostre vite. Graziella, vivace, laboriosa, sentimentale e coraggiosa, era nata in una antica casa di un rosa scolorito, con le scale esterne per andare dalla cucina alle camere da letto.
Ania, intelligente, simpatica e lungimirante, era nata nella casa costruita dai nonni paterni pietra su pietra all’inizio del novecento.
Mariuccia, bionda, dolce, solare, ma dentro tanta forza, era nata nella casa paterna costruita a fine ottocento da un certo “Grillo”.
Maria, laboriosa in modo non comune, determinata  ma generosa, era nata nella vecchia casa mulino dei trisnonni sull’Isolone.
Millene, timida, sognatrice, ma tenace, era nata nella casa di pietra costruita dai bisnonni materni nella seconda metà dell’ottocento.
L’amore “per tutta la vita” arrivò per tutte cinque  : il nostro ragazzo di allora è ancora vicino ad ognuna di noi.  Il cammino della vita ci portò su percorsi diversi e non sempre facili, però ancora oggi nell’anno duemila qualcosa ci unisce come quando eravamo le bambine degli anni quaranta e poi le ragazze degli anni cinquanta. Ciò non riguarda soltanto il fatto di essere rimaste  tutte nella “nostra terra”, ma ad accumunarci sono stati gli stessi valori della cultura contadina, la gioia di vivere apprezzando le piccole cose del nostro quotidiano e, non ultimi, le gioie e i dolori di essere diventate madri e poi nonne.

                                                                


  Scegliamo la parola più bella
di La redazione



 

Alcuni mesi fa il nostro compaesano e scrittore Romano Parodi ha lanciato un’interessante  iniziativa su Facebook per invogliare anche i giovani ad interessarsi al dialetto e a riscoprire l’origine delle parole.

Romano fra le centinaia di parole pervenute  ha scelto queste:

 

Arman (ieri). ‘nco (oggi). Guarkèto (cencio). Bogia (tasca), Fit fito (svelto), Armi (spalle), Brishin, (briciolino), Liskinin (pochino). Arm’stin (cattivo odore). Apieto (alla rinfusa). Mezet’ma (mezza settimana mercoledì). Stramulira (accasciarsi, svenire).
Strom’non (per terra). Strafota (esclamazione di stupore). Bruskola (piovigina). Trog’rsa (sdraiarsi). Mandido (fazolettone). Gr’nd’non (capelli non curati). Sicutero (morto, g’iè ndà al sicutero: sicut era in principio ora e sempre nei secoli seculorum). Trogo, Trogheda: i ,magna com’ n trogo). Remolo (crusca). Scoso (grembo). Ramotoli (corbezzoli). Limoro (“i bisci frustin g’ien ‘n limoro”). Figareto (fegato). Grignon (magro, I grignon sono le castagne senza frutto all’interno). Burioli, Burita (un gruppo di ragazzini, un gruppo di funghi). Potriolo (piccolo bimbo). Bagascio (uno che sbaglia sempre, era anche l’apprendista). D’surpo (uno che sfascia tutto). Lok kom’do (cesso). Ar’ns’rag’io (piccolo spazio recintato). Bindolon (inaffidabile). Guindolo (attrezzo per cardare la lana, “G’iè svelto com ‘n guindolo”). Kanapug’io (locale dove c’era il kanicio: “G’iè nero com ‘n kanapug’io”). Kap’storno (malattia di vacche e pecore. La mucca pazza?). Gorpa (volpe), Scuroto (donnola). Butiro (burro). Bagaron (soldi), Scito (terreno coltivato). Sosk’io (riparato dalla pioggia). Motrignon (persona sempre immusata, impassibile al dolore e alla gioia, come i motri, cioè i bisci). Schinzanibolo (astuccio di canna con un buco e uno stantuffo, per schiacciare le more). Skacin (sagrestano addetto a scacciare i cani dalla chiesa: (“T’ sen malvisto, com i can ‘n k’iesha”). Carnero (contenitore per la cerca delle olive). K’iodenda (siepe che recintava il scito). M’shora (falce sottile per il grano).
Matalufi (polenta incatenata con coli e fasholi). Limìo (pena, “aiò ‘n limìo al coro”).
Gronk’io (infreddolito, “a son gronk’io”). Gianculoti (braghe per bimbi). Mutatura (vestito nuovo). Furin (passa da tutti i buchi: ladro). Paranculo (lucciola: s’infilava una paglia nel didietro e si faceva volare dicendo: “paranculo va’ p’r salo che tu ma a d’à malo”).
Skort’co (terreno di scarso valore). Shignorina (libellula). Smandrag’io (senza controllo, le pecore al pascolo). Spera (una spera d’olio, una spera d solo). Spicodarsa (sporgersi).
Sciolgo (bagnato). Guaimo (erbetta). Gaig’ia (malora: “g’iè ndà ‘n gaig’ia”). Lamp’nin (lunga canna per accendere i ceri). Falaski, Calok’i, legna, più o meno consistente).
Batilonza (gonna pendente: sgraziata). Barbatola (farfalla). Spers’co (pesco). Kaestro (corda). Kaorbo, Kaorbissa (giuramento). Scafodara (calpestare il seminato). Kagnada (cestone rotondo a doghe larghe).
Le persone iscritte al gruppo “Sei di Ortronovo se…” in questo periodo hanno avuto la possibilità di votare la loro parola “preferita”, così da farla vincere come parola “più bella del dialetto ortonovese”. Al momento è iniziato su facebook la selezione, dato che questo particolare concorso sta volgendo al termine.                            
Lo stesso Romano si rivolge ai nostri lettori per dare le indicazioni su come si svolge la votazione:
“Votate tre preferenze, poi faremo la conta. Votate e fate votare perché la vincente deve avere almeno venti voti per essere eletta, se no, non se ne farà niente, e mettete il vostro nome. a Bebè1967@alice.it  a Antonella, a Romano, a Emiliana.
Es. Romano: - Arman (la più bella) - Kanapug’io (la più antica) – Skacin (la più curiosa). Mirella: - Carnero – Sicutero – Stròlga.
(ad oggi: kaorbo 6, arman 5, sicutero, apieto, guaimo ed altre…3..)”

 

Cerchiamo quindi di partecipare e contribuire alla buona riuscita di questa iniziativa, ringraziando Romano per la bella e originale idea

 

                                                                                                


  Lettera a Walter
di Claudia



Ciao Walter,

mi scuserai se voglio iniziare questa lettera ringraziando i miei genitori per quella scelta che fecero scegliendoti come mio padrino, mai scelta fu più azzeccata…
Non mi dilungherò a ricordare il tuo impegno nel sociale, nell’AVIS (dove tu mi hai convinto a diventare donatrice) o nella chiesa, ma come testimonianza mi è sufficiente ricordare il tuo modo e la tua dignità nell’accettare  e convivere con il dolore.
Quella malattia che comparve tanti anni fa e che mi fece approfondire l’amicizia con Elena che, giovanissima, usciva da scuola e veniva a mangiare da noi durante i tuoi ricoveri.
Guardavo questa ragazza con ammirazione e tenerezza per come viveva quel momento.
Non potrò mai dimenticare quando tutti i giorni alle 12:00 ci portavi il pane preso in un forno d’Avenza, tanto che parecchi anni dopo, quando al gatto che si presentava puntuale alle ore 12:00 per mangiare gli affibbiammo il nome Walter.
Poi ecco gli ultimi ricordi, l’incontro a Roma, noi in gita con Don Andrea, tu con Fiorenza e Emma ; lo spettro di quello che sarebbe successo da lì a poco era ancora impensabile.
Vi uniste al nostro piccolo gruppo, e vederti partire lentamente e poi piano piano raggiungere la testa del gruppo, fu per me uno spettacolo. Abbiamo mangiato all’ombra del Colosseo, poi ci hai guidato, espertissimo, nella metropolitana per raggiungere il resto del gruppo.
Ma il ricordo più caro che ho è di quest’estate, in un giorno di mare. Elena e Laura dovevano fare delle commissioni e ti affidarono i nipoti. Si parlava del più e del meno quando il tempo iniziò a cambiare; decidemmo di andare via, ci guardammo intorno… eravamo circondati dai giochi e da vari oggetti, iniziai a riordinare ma tu mi dicesti che avresti rimesso a posto e mi chiedesti di fare la doccia ai bimbi.
Ci raggiungesti lentamente e stracolmo di borse, io affidai i bimbi a Damiano e venni verso di te immaginando già la tua risposta negativa al mio aiuto e invece… mi allungasti le borse e mi ringraziasti.
In quel preciso istante abbassai lo sguardo perché nei tuoi occhi vidi un velo di tristezza che prima non avevo mai visto. Forse percepivi che il tuo fisico iniziava ad essere stanco.
Voglio ricordarti così, come in quel frangente, un uomo pieno di voglia di vivere per se e per i suoi cari, ma che con estrema dignità aveva già accettato il disegno che Dio aveva deciso per lui.
Ciao Walter un abbraccio e un grazie per tutto.



  Ciao Walter,
di Vittorio G.


Ciao Walter,

sono qui a scriverti quello che non sono riuscito a dirti il giorno in cui ti abbiamo salutato, il giorno del tuo funerale. Io come tante persone che ti volevano bene, ero vinto dalla commozione, gli occhi lucidi, ed un nodo alla gola che ricacciava indietro le parole.
Ci siamo conosciuti grazie all’amore sbocciato tra i nostri figli, Laura e Gabriele. Eravamo diversi, la religione, la politica, lo sport, pensieri differenti, ma una unica grande sintonia di noi, tra le nostre famiglie. Parlavamo di tutto, ogni volta che ci si vedeva, al centro c’erano sempre i nostri cari, i figli, i nipoti, la famiglia.
Caro Walter, ho sempre ammirato la tua profonda fede, la dedizione al tuo credere, che ti ha accompagnato e dato forza durante la tua lunga malattia.
Avevi sempre tempo ed un pensiero per il prossimo, la dolcezza e l’impegno, le mille attenzioni che dedicavi ai tuoi cinque nipoti, erano permeati dall’amore che donavi ad ognuno di loro.
Sei stato una persona speciale, amico mio, un buon uomo, ed il giorno del tuo funerale la chiesa era stracolma, amici e conoscenti a riempire il sagrato, tutti a testimoniare la vicinanza e l’affetto per te.
Mancherai tanto a tutti, ma il ricordo di te resterà vivo nei miei pensieri.
Ciao Walter                                                                                         


  Questo Natale
di Marta



 

Gli occhi fissi, sbarrati nel vuoto, la polvere e i detriti coprivano quello che era il loro paese, increduli ma nello stesso tempo non accettavano che potesse essere successa una cosa del genere, non c’era rimasto più nulla ma, per ironia della sorte, solo un piccolo terrazzino, a bella vista, stava lì! Con i suoi vasi di gerani rossi, belli, ancora fiorenti malgrado i primi freddi, ostentando la loro voglia di scaldarsi agli ultimi raggi di sole.
Con quanta cura erano  stati annaffiati, concimati, curati, con quanta cura questa gente ha lavorato nelle proprie abitazioni, con quanta cura si sono prodigati per mantenere la bellezza, la cultura del loro paese.
Ora! ...c’è rimasta in ogni persona solo la memoria storica. Certamente ora!!! Con tutto il coraggio che un essere umano può avere, si deve pensare al domani, la vita è un dono divino, la vita va vissuta, malgrado tutto la vita continua, c’è la famiglia, ci sono i figli, i genitori con i problemi e le varie esigenze quotidiane.
Tra poco sarà Natale, un Bambinello è nato in una stalla, povero, al freddo e al gelo, ma quanto amore ha portato nei cuori della gente.
Questo Bambinello ci rende pieni di tenerezza e ci fa rivivere tutti gli anni con l’Avvento del Santo Natale, regalandoci una bontà infinita; ci fa sentire più buoni, più misericordiosi, più aperti  verso il prossimo.
Come vorrei che questo Natale portasse a tutti, specialmente ai terremotati, la sicurezza del domani, per tornare alla normalità, una normalità fatta di un a lavoro e di un futuro, per dare un senso alla propria vita.
Un Santo Natale a tutti, con il Bambinello che ci sorride e ci tende le manine.

                                                                                                 


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  NICOLA GLI ERBI ED ALTRO
di Carlo Lorenzini


Carissima

 

Come ringraziarti della telefonata di qualche tempo fa. Un fiume in piena di affetto e di elogi nei nostri confronti, per come  scriviamo e per quanto siamo bravi.. Elogi a non finire, senza la possibilità di poterti fermare. Se fosse per te, già da quel dì ci avrebbero insigniti di premio Nobel per la letteratura. Poi concludi la calorosa telefonata invitandoci a scriverti, ‘specialmente tu, Carlo, mi devi scrivere, Perché tu quando scrivi e parli di Nicola, ne parli in modo che a me si strugge il cuore’.
Eri  così lanciata, che reagire agli elogi è stato difficile, per cui alla fine sono diventato complice di quel tripudio di esaltazioni, in cui far vincere il pudore non è stata cosa possibile.
Marta! Marta! Sta scritto ‘non indurre in tentazione’. E tu sembra che ti ci diverta a stuzzicare la vanità degli altri.

Sei pericolosa! E non solo per gli elogi, che distribuisci a piene mani, ma anche per gli argomenti che proponi. Nicola sotto le stelle. Nicola e i suoi panorami, Nicola al lume di candela, nell’epoca, in cui mia madre, per non consumarla, pretendeva di fare lume con la candela spenta: ‘e smorzla questa candela, ntvede cla s consume tuta’.
E poi ora gli erbetti di collina, con quella scarica di nomi, (i raperonzoli in testa, che noi ragazzi mangiavamo, dolci e saporiti, anche se un po’ sporchi di terra), ogni nome un ricordo, ogni ‘erbo’ un profumo, e, tutti insieme, quando poi alla sera cuocevano nel  loro paiolo, appeso per la catena sopra la fiamma del focolare, un’armonia di profumi, che, odori di terra buona, sembravano venir su dal cuore della nostra collina.

Quei tuoi erbi, quei loro profumi, quei loro sapori, quelle serate accanto al fuoco, mentre loro bollivano e mentre ‘la fugacina’ arrostiva nella  graticola sopra le braci.
E leggendo i tuoi articoli, la memoria mi riporta indietro, in un tempo in cui non ho più ottanta anni, ma…

Ho solo  otto anni e anche meno. E sono un ragazzo errabondo in cerca di nidi, in mezzo agli ulivi, lungo le pendici della mia collina... E' sul mezzogiorno e fa già caldo. Io sono al fresco di un ciuffo di pioppi che, giù nel fondo valle, dividono l'oliveto dal bosco. Il sole, un limpido sole di giugno, risplende tremulo fra il luccichio delle foglie su in alto. Non ho preso nessun uccello. Sono accaldato e ho sete.... Poco distante da dove mi sono un momento seduto odo bruire un rivolo d’acqua che scorre tra l’erba.
Mi appresso e vedo  che il  rivolo d’acqua fa una pozza nel terreno e poi, minuscolo ruscello, si perde oltre il coltivo, nel bosco. Al mio arrivo una rana fugge, piombando con un tonfo sordo nel bruno silenzio dell'acqua... Mi inginocchio ai margini del minuscolo stagno... Poi, prima di bere, mi segno…
Quindi mi chino e .avvicino la bocca al pelo dell'acqua, bevo... e facendo conca con la destra, mi bagno la fronte e le guance. E' un'acqua fresca, limpida, leggera, profumata... E' un’acqua che nasce dal cuore della mia collina; ed è un'acqua magica, che, lo sento mentre bevo e mentre mi bagno, mi toglie per sempre la sete e mi rende immortale.. E infatti, io, da quel momento, non sono più cresciuto.
Sono rimasto per sempre un ragazzo, fermo a l’età di tanti anni fa, nell'oliveto... in cerca di nidi, scalzo, vestito solo di un paio di calzoncini corti e dotato di un cuore che non .ebbe mai cuore di sciupare indifesi nidi di uccelli…

 

PS Di Walter e della sua morte è stato detto tutto. Le mie parole sarebbero una semplice ripetizione di sentimenti già espressi da altri. Dico solo questo: mentre lui stava morendo, noi leggevamo l’ultimo suo diario rimasto incompiuto. Poi, dopo, ho riflettuto: non so di nessuna altra morte annunciata con parole più serene, Walter aveva in sé la grandezza dell’antico Socrate. Un abbraccio, anche da parte di mia moglie: Carlo


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