N° 6 - giugno 2016
I mulini ad acqua sull'Isolone (prima parte)
di Millene Lazzoni Puglia

I primi sorsero dopo la costruzione della villa Malaspina e nell’800 i mulini ad acqua sul torrente Isolone erano famosi e importanti; frequentatissimi dai contadini dei dintorni per macinare i loro sudati raccolti di vari cereali, ma anche castagne che allora abbondavano nei boschi delle colline dell’Alto Isolone, lato nord-est.
Gli antichi mulini ad acqua che per oltre un secolo hanno caratterizzato il territorio erano sei: i primi tre si trovavano più in alto, sul greto del torrente, e l’acqua alimentava direttamente le grandi ruote di legno per far girare le macine dei mulini. Il primo era detto dei “Piston”, come il nome dell’ultimo proprietario, ed è stato il più longevo dei tre, perché ha funzionato fino a metà del ‘900. Un nipote, discendente, gestisce ancora oggi con la famiglia un mulino a Caniparola. Un poco più in basso c’era il mulino di “Meo”, e si trovava sotto la casa di “Nocé”, di Via Fravizzola: ci sono ancora tracce delle antiche mura, sebbene sia stato abbandonato negli anni ’30 a causa di una frana che fece diventare pericoloso quel luogo. L’altro mulino, forse abbandonato ancora in precedenza, si trovava di poco più avanti, era detto della “Polveriera”, perché fino al ‘600 lì esisteva una fabbrica di polvere da sparo per il castello dei marchesi Malaspina. Oggi quell’antico mulino è un rudere sommerso dalle piante ed è ricordato anche come “Mulin d’ Pollo”, dal nome dell’ultimo mugnaio che lo ebbe in gestione. In quel luogo, oggi abbandonato e inselvatichito, fino a oltre metà del ‘900 c’era vita: ortaggi freschissimi, animali domestici, persone che lavoravano… Lo testimonia una vecchia casa, ormai ricoperta di edera, sulla sponda sinistra del torrente Isolone, detta “Ca’ d’ Mazzon”, soprannome della grande famiglia dei Masetti che in quella casa abitò per generazioni. Un figlio morì partigiano nel ’44, Carlin.
Ho un ricordo degli anni ’50, quando un giovanissimo discendente di quella famiglia andava da solo alla scuola elementare di Caniparola percorrendo la mulattiera fra il torrente e il bosco della “Trina”. Naturalmente a piedi, con attraversamento del torrente medesimo sopra un traballante ponticello.
Prima di parlare degli altri tre mulini più a valle, è indispensabile ricordare che nei pressi di quel luogo c’è una presa d’acqua del torrente Isolone, non direttamente come i precedenti, ma con il sistema del “botazo”, che consisteva in un grande invaso che si trovava al di sopra del mulino e si riempiva con l’acqua proveniente dalla “l’vada”. Al momento opportuno il mugnaio arriva alle chiuse liberando l’acqua che, cadendo con forza sulla grande ruota di legno esterna, la  faceva girare vorticosamente con un rumore caratteristico, trasmettendo l’energia alle pesanti macine interne del mulino che riducevano in preziosa farina i vari cereali. Quell’antico corso d’acqua chiamato “l’vada” scorreva lungo l’alta sponda destra del torrente, dirimpetto al bosco della “Trina” (unico tratto ancora esistente), portava la preziosa acqua fino a Caniparola (tre chilometri circa) ed era affiancato da un sentiero molto frequentato dai mugnai, ma anche dai contadini mezzadri della fattoria dei Malaspina e altri piccoli proprietari di orti che, lungo il suo percorso, beneficiavano di quell’acqua. La “l’vada” aveva bisogno costante di manutenzione, così uomini volenterosi si alternavano lungo quel sentiero armati di zappa per tamponare quel corso d’acqua (largo dai 50 agli 80 cm. circa) dalle perdite provocate dai granchi che scavavano le loro tane nelle sponde laterali; ed erano numerosi perché, essendo quell’acqua priva d’inquinamento, trovavano lì il loro habitat naturale; e come lo era il torrente dove abbondavano non solo granchi, ma anche anguille e altre specie di pesci.
A quel tempo era cosa frequente fare un giro lungo i corsi d’acqua per rimediare un pasto più proteico del solito. Durante la stagione invernale i mugnai si ritrovavano soli a curare la “l’vada” dove, oltre alle perdite d’acqua provocate dai granchi, c’erano le varie ostruzioni dovute alla pioggia e alle piene del torrente ed era frequente che lungo quel sentiero c’era chi andava a piedi nudi anche d’inverno per la mancanza di calzature adeguate, come stivali di gomma o scarponi.

 

Il mulino “della Novella”

Il primo di quei mulini funzionanti con l’acqua della “l’vada” era una casa-mulino (oggi l’abitazione della famiglia Zuzzolo); anche questo vicino all’Isolone, in fondo a Via Novella di Sotto, che fino a metà del ‘900 era una mulattiera che attraversava il torrente con saltuari ponticelli di legno per le persone, mentre i muli o asini addetti al trasporto di cereali, olive o altro guadavano il corso d’acqua. Oggi, ingiustamente, non è più possibile accedere al torrente in quel punto e, di conseguenza, nemmeno alla via sulla sponda sinistra che porta verso Castelnuovo (che è rimasta mulattiera). Quel mulino, detto “della Novella”, funzionava con il sistema del “botazo”; l’acqua che arrivava dalla “l’vada” riempiva il grande invaso e, all’apertura delle chiuse scendeva sulla grande ruota di legno che faceva andare il mulino. All’occorrenza quell’energia veniva indirizzata alle macine del frantoio che si trovava al piano di sotto che  lavorava nei mesi invernali. Ai bordi delle finestre del frantoio arrivò la piena dell’Isolone nel 1941: la più grande a memoria d’uomo.
Anche questo mulino apparteneva ai Malaspina ed è stato gestito per quasi un secolo dalla famiglia Tusini, ben cinque generazioni. E’ per me un’emozione avere fra le mani un contratto d’affitto (in fotocopia) del 1886 fra il marchese Alfonso Malaspina e Michele Tusini, firmato con una piccola croce, perché era il mio bisnonno materno. Il prezzo annuale di affitto era di 550 lire, due capponi a Natale e metà dell’olio ricavato dal frantoio e dei prodotti dell’orto.  Tutto questo e altro scritto su carta bollata.
Dei sei mulini ad acqua sull’Isolone, quello “della Novella” è stato il più longevo, ed è stato l’unico che, a fine anni ’30, si è “incontrato” col progresso, perché ha iniziato a funzionare con l’energia elettrica, così anche il frantoio, pur mantenendo attiva anche quella derivata dall’acqua. Quel mulino e frantoio, dopo i Malaspina, ha avuto diversi proprietari: Corona, Piccioli, Fontana di Sarzana e, infine, il Moro, che ancora oggi gestisce con la famiglia mulino e frantoio a Caniparola (dagli anni ’70). Con “lui” è finita l’era dei mulini sull’isolone: erano gli anni ’70, ed è stato l’unico che è diventato una casa privata, dove ancora c’è vita. (fine prima parte)




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