N° 4 - Aprile 2016
1° Aprile ovvero il “Pesce d’aprile”
di Antonio Ratti


Per non perdere l’abitudine e l’allenamento alle graffiature, avrei voluto (anche per confermare che non sono il  solo ad avere certe idee) riportare l’articolo  che don Antonio Mazzi ha pubblicato su ”Gente” del 15-3-2016 dal titolo “L’Oscar al film ‘Il caso spotlight’ conferma che è tempo di cambiare”, dove si sottolineano alcune cose che, nonostante le permanenti pulizie – non le rituali pulizie pasquali – introdotte da papa Francesco, continuano ad essere causa di muffa, di stantio e di  polvere allergizzante anche per chi non soffre di patologie correlate agli acari o ai pollini. Con la certezza che Walter mi avrebbe “licenziato in tronco”  dopo 25 anni di dignitoso servizio al “Sentiero”, ho cambiato rotta e ho deciso di parlare dell’origine del Pesce d’aprile, però quei concetti sacrosanti restano tali anche col mio silenzio e, magari, stuzzicheranno un po’ di curiosità in chi mi sta leggendo. Ma parliamo di cose amene.
Più che di origine, è preferibile parlare di origini di questa tradizione festaiola e buffonesca che, sebbene sia diffusa in tanti paesi del mondo o forse proprio per questo, ha origini molto incerte. Una delle ipotesi più accreditate ci porta alla Roma repubblicana, cioè nei secoli precedenti la nascita di Cristo, quando il 1° aprile segnava l’inizio del nuovo anno che, come succede anche ai nostri giorni, veniva accolto con molta  allegria e festeggiamenti senza limiti. La Chiesa, appena ha avuto la possibilità di farlo, ha soppresso le festività pagane sostituendole con altre più consone alla nuova fede.
Le comunità rimaste pagane non rinunciarono alla vecchia tradizione festaiola e per questa ragione venivano derise e subivano scherzi e burle. Un’altra ipotesi ci porta ai riti pagani legati al Calendario lunare giuliano, introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C., quando il 1° aprile, connesso all’equinozio di primavera, segnava l’inizio del nuovo anno. L’inverno era terminato – allora le quattro stagioni funzionavano perfettamente, perché non c’era l’effetto serra – e l’avvento della tiepida stagione primaverile segnava  concretamente l’inizio di un nuovo ciclo con il risveglio della natura e il ritorno alla vita: quale occasione migliore per festeggiare il capodanno e offrire doni e sacrifici agli dei per chiedere loro buoni raccolti, salute e protezione?  Così i giorni tra il 25 marzo e il 1° aprile erano dedicati all’allegria per il ritorno  della bella stagione in massima libertà con lazzi, burle, buffonerie e lauti banchetti. Anche senza i pericolosi botti, si divertivano abbondantemente.
E’ comprensibile che il cristianesimo per far scomparire tradizioni e usi pagani in palese conflitto con la nuova fede, si sia posto l’obiettivo di sostituirli  con  festività religiose.
Questo destino tocca anche alla festa del 1° aprile, sostituito dal ciclo pasquale.
Coloro che ostinatamente continuavano a festeggiare il vecchio rito pagano vengono ridicolizzati e fatti oggetto di scherzi e burle di ogni tipo. Entrambe le ipotesi confermano l’origine pagana e buffonesca della festa, che ancor oggi  resta viva, pur con sfumature diverse, in gran parte del mondo. Nel 1564 il re di Francia, Carlo IX,  con il decreto di Roussillon, riconosce ufficialmente il Calendario gregoriano. Nel 1582 l’adozione anche da parte dell’Europa e del nuovo mondo del più preciso Calendario gregoriano (voluto da papa Gregorio XIII) sposta il capodanno dalla vecchia data legata all’equinozio di primavera (25 marzo) al primo di gennaio. La tradizione vuole che non tutti abbiano accettato subito il cambiamento, quindi coloro che trovavano difficoltà ad abituarsi alla nuova realtà o ne erano contrari, venivano additati come gli “sciocchi d’aprile” e sottoposti a scherzi vari come quello di vedersi consegnare pacchi regalo vuoti o con contenuti assurdi e bizzarri, a simboleggiare che la festività ormai non aveva più giustificazione.
I reali francesi e la loro foltissima corte, che dovevano in qualche modo riempire le giornate, si fanno carico di diffondere questa consuetudine anche presso gli Asburgo e i reali inglesi. Il regalo quasi sempre conteneva un biglietto con scritto Poisson d’Avril, ovvero, Pesce d’Aprile. Questa espressione sarebbe nata tra i pescatori. Dopo la sosta invernale, spesso le prime partite di pesca primaverili si concludevano con un insuccesso, in quanto i pesci sono ancora nei loro “ricoveri” invernali, quindi i pescatori che tornavano in porto a mani vuote erano oggetto di ilarità e ricevevano dei pesci di carta dai compaesani. Lo scherzo è l’elemento comune che caratterizza la festa del 1° aprile, ma ogni paese ha un suo modo di chiamarla. Italia e Francia usano l’espressione del Pesce d’Aprile. Nei paesi anglofoni (Regno Unito e USA) si chiama April fool’s day (il giorno dello sciocco d’aprile) con chiaro riferimento al giullare (fool) delle corti medievali. In Scozia la ricorrenza è nota come Gowkie Day (giorno del cuculo), e pare che lo scherzo popolare di attaccare un biglietto sulla schiena della vittima  con la scritta  kick me (scalciami) sia nato proprio qui. Per i germanici, molto seri, il giorno si chiama semplicemente Aprilscherz (scherzo d’aprile).
La fantasia dei burloni nell’inventare scherzi è enorme: i fiorentini dell’età medicea e boccaccesca  erano degli specialisti  famosi. Negli ultimi giorni di marzo del 1878 la Gazzetta d’Italia annuncia che il 1° aprile, nel Parco delle Cascine a Firenze sarebbe avvenuta la cremazione di un mahrajà indiano. La curiosità è grande, un’enorme folla attende pazientemente l’arrivo del carro funebre con la salma. Dopo ore di inutile attesa, all’improvviso da un cespuglio esce un gruppetto di ragazzi che gridano: “Pesci d’Arno fritti”.
 Il famoso regista Orson Welles nel 1938 confeziona uno scherzo veramente pesante per i danni materiali involontariamente provocati. Non potendolo trasmettere per motivi tecnici il 1° aprile, lo fa il 30 ottobre, quindi in una data non sospetta. La radio annuncia “La guerra dei Mondi”: radiocronaca dello sbarco dei marziani. Il tono solenne dello speaker crea panico tra la popolazione. I centralini delle stazioni di polizia e dei giornali sono presi d’assalto: gli americani vogliono sapere cosa sta succedendo. All’epoca la radio era considerata uno strumento di massima fiducia e credibilità, quindi il terrore invade migliaia di persone che si riversano nelle strade non sapendo cosa fare. L’incubo termina il giorno dopo, quando appare chiaro che Orson Welles con il suo programma radiofonico aveva beffato alla grande gli americani mostrando la loro fragilità ed emotività.




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