N° 1 - Gennaio 2016
La Misericordia secondo la Bibbia
di Antonio Ratti


Nelle lingue semitiche mediorientali come l’aramaico, l’ebraico e l’arabo, la pietàs latina, ovvero la misericordia di Dio, è espressa dalla radice r-h-m;  da questa trae origine il termine ebraico rehem, il cui significato è “utero” o “seno materno”, mentre il suo plurale o accrescitivo, rahamin, significa uteri o, meglio, “grande utero” a indicare l’unione infinita di tanti uteri materni. Lo stesso Isaia (Es 49, 15) ci conferma l’identità del carnale legame materno con quello di Dio: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”.
 Purtroppo oggi di madri che si dimenticano dei figli, li abortiscono, li abbandonano, li sopprimono, li trascurano per “cose più importanti”, li sacrificano alla carriera, al successo, ecc., ne abbiamo anche troppi esempi. Chiusa la parentesi, torniamo a capire il senso della parola misericordia e della sua centralità nella vita del cristiano, ma non guasterebbe anche in quella del non-cristiano, perché la realtà cruda del mondo in cui viviamo cambierebbe radicalmente. Il Dio biblico, misericordioso, cioè uterino o materno, ama, dunque, la sua creatura di quell’amore tipico della madre verso il figlio; amore di madre fatto di tenerezza e di protezione totale che solo nelle viscere della propria carne può essere garantito. Nella Bibbia l’aggettivo più comunemente accostato a Dio non è tov, buono, ma rachum, normalmente tradotto in modo traslato con misericordioso. Nella celebre epifania sul monte Sinai, Dio si presenta a Mosè come “il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione” (Es 34, 6-7) se non c’è la disponibilità sincera al pentimento e alla reciprocità del dono verso il nostro prossimo (“Siate misericordiosi come il Padre è misericordioso con noi”. Così papa Francesco all’ Angelus dell’Immacolata). 
Gli episodi del figliol prodigo e del buon samaritano sono gli esempi più calzanti del pentimento e della reciprocità. Definendosi misericordioso Dio si attribuisce la caratteristica distintiva e cardine del femminile, cioè si presenta come madre. In sostanza, il  Dio della Bibbia si propone con un ossìmoro (due concetti contrapposti), come  “madre-padre”  o “padre-madre”. Inoltre, Dio è buono soltanto perché la sua bontà coincide con la sua misericordia proprio come la parola latina miseri-cordis,* che mirabilmente esprime il portare nel proprio cuore la miseria del  prossimo.  Ricordo, a suo tempo, lo stupore suscitato da Giovanni Paolo I (il pio Albino Luciani)quando si rivolse al Creatore chiamandolo Madre. Ora papa Francesco ci ripropone con forza  la medesima immagine di Dio: ecco il senso del Giubileo della Misericordia.
A noi, poveri umani, la certezza della volontà di Dio al perdono misericordioso, dovrebbe sollecitare la voglia di non peccare e di essere a nostra volta misericordiosi verso il vicino in difficoltà, ma non credo che questi siano i pensieri primari dell’uomo moderno. La conclusione sta nell’ invito pressante, sempre, di papa Francesco: “ Lasciamoci sorprendere da Dio”,perché la sua misericordia è tenerezza, poco importa se paterna o materna, mentre ciò che conta è la nostra voglia di tenerezza filiale come segno di risposta positiva.

                                                                                                                        

* Misericordis dal verbo latino miserèo, ho pietà e cordis, cuore: sentimento per il quale la miseria altrui tocca il mio cuore.

                                                                                        


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