N° 3 - Marzo 2015
Il Papa e la comunicazione
di Egidio Banti


Negli ultimi giorni due editoriali di altrettanti quotidiani, certo molto diversi tra loro, si sono soffermati su un aspetto del pontificato di Francesco, la comunicazione. Mi riferisco all’articolo di don Maurizio Patriciello su “Avvenire”, che fa riferimento alla “Fantasia di Dio”, e a quello di Peppino Ortoleva, noto esperto di mass media, che in prima pagina sul “Secolo XIX” definisce quello del Papa un “linguaggio da popolano”. Non c’è dubbio che su questo tema si concentri ormai da quasi due anni, cioè dal giorno dell’inattesa elezione di Jorge Bergoglio, l’attenzione un po’ di tutti, degli esperti ma anche delle persone comuni, e dunque questo suggerisce più di una riflessione a noi operatori della comunicazione sociale, oggi riuniti dal nostro vescovo in occasione della festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti.
Il rapporto tra i Papi e i mass media è un tema importante almeno da un secolo a questa parte. Ogni pontefice lo ha interpretato in maniera propria, apportando delle innovazioni, sempre in linea – e qualche volta in anticipo – con l’evoluzione formidabile dei mezzi della comunicazione sociale. Quando nel pomeriggio del 12 febbraio 1931 Guglielmo Marconi pronunciò il suo saluto a Pio XI in occasione dell’inaugurazione della Radio Vaticana, egli disse tra l’altro: “Per circa venti secoli il Pontefice Romano ha fatto sentire la parola del suo di­vino magistero nel mondo; ma questa è la prima volta che la sua viva voce può essere percepita simultanea­mente su tutta la superficie della Terra”. L’insegnamento del Papa, dunque, restava il medesimo da venti secoli a questa parte, ma la novità, che divenne via via più poderosa (pensiamo che quel giorno Pio XI, rispondendo a Marconi, parlò in latino !), era rappresentata dalla forma con cui quel magistero veniva comunicato a masse sempre più grandi di popolazione. Ogni successore di Pietro interpretò quell’opportunità alla luce dei tempi in evoluzione. Pio XII, ad esempio, non prigioniero in Vaticano, ma certo impedito a causa della guerra ad esercitare appieno il suo ministero, utilizzò la radio per i celebri messaggi natalizi, vere e proprie mini-encicliche nelle quali non solo si chiedeva la pace, ma si delineava la struttura di un nuovo ordine mondiale. Paolo VI, a partire dal luglio 1963, primo anno di pontificato, avviò la consuetudine di pronunciare un breve pensiero in occasione dell’Angelus domenicale (prima c’era solo la preghiera), pensiero diffuso in simultanea nel mondo da radio e televisioni. Giovanni Paolo I, al suo primo Angelus, il giorno seguente alla sua elezione, stupì il mondo parlando di se stesso in prima persona singolare (“Ieri, mentre andavo alla Sistina …”), e non con il tradizionale “noi”. Giovanni Paolo II, che doveva far capire subito ai romani e al mondo di che pasta fosse fatto, innovò ancora: non solo confermò l’”io” al posto del “noi”, ma pronunciò la sera stessa dell’elezione (anche questa una prima volta in assoluto !), la frase passata alla storia: “Se sbaglio, mi corrigerete”. Benedetto XVI confermò quelle innovazioni, e fece pronunciare l’”Habemus Papam” del cardinale protodiacono con l’introduzione nelle principali lingue moderne. E poi fu il primo Papa ad utilizzare Twitter. Infine, il 13 marzo 2013, siamo arrivati allo straordinario “Buonasera !” di Papa Francesco: un cammino lento, dunque, ma continuo, con innovazioni sempre in linea con i tempi, ma sempre anche in linea con le esperienze che le avevano precedute.
Anche i successivi e ripetuti interventi di Francesco, specie nei dialoghi diretti con i giornalisti, vanno interpretati in questo modo, un modo innovativo, a volte forse persino rischioso (per i sempre possibili fraintendimenti), ma capace di fare tanto bene, nel senso di rendere il messaggio alla portata davvero di tutti. Del resto, non faceva così anche il Gesù dei Vangeli ? Pensiamo ad un episodio che, al giorno d’oggi, sarebbe stato una ghiotta occasione di cronaca, quello della mancata lapidazione dell’adultera, raccontato da Giovanni. Quando coloro che dovevano processarla, uno dopo l’altro, si allontanano, Gesù le chiede se nessuno l’avesse condannata. Alla risposta negativa della donna, egli risponde: “Neanche io ti condanno”. Ma poi subito aggiunge: “Va e non peccare più”.
Ecco, fosse stato presente il cronista di un quotidiano di Gerusalemme vicino alle posizioni del Sinedrio (niente di più facile, al giorno d’oggi), avrebbe potuto titolare, come in uno scoop: “Gesù Cristo difende un’adultera”. Ma le frasi di Gesù sono state due, e la seconda è complementare alla prima, e già propone la distinzione, cui la Chiesa è stata sempre fedele, tra peccato e peccatore. Il peccato c’è e rimane tale, il peccatore può fare tesoro di un gesto di misericordia. Bene, non è diverso quello che a volte accade a proposito di interviste o prese di posizione del Papa e della Chiesa, e questo richiama alla grande responsabilità di chi fa comunicazione.
Nelle parole del Papa non c'è cambio di dottrina, ma dialogo e interazione con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione. I media cambiano la comunicazione del Papa, ma è anche il Papa che indica ai media la strada del cambiamento nella responsabilità. In questo modo egli fa crescere il mondo della comunicazione, e questo mondo, quale che sia il suo orientamento, gliene deve essere grato.


(Sintesi dell’intervento tenuto alla Spezia il 23 gennaio u. s. in occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti)



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