N° 3 - Marzo 2015
Spiritualità

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  Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi


 

Cenere

 

Quaresima di nuovo. Il rischio è pensare all’anno liturgico, quaresima compresa, come un tran-tran anziché come a vento impetuoso dello Spirito da far sbattere le porte.
Vale anche per questo “tempo quaresimale”: viene per scuoterci, con l’aiuto dei “segni” che si fanno segnali. La cenere, intanto. Il rito appare un po’ strano con quelle teste da porgere perché sopra ci cada un pizzico di polvere grigia. Ma se scaviamo, ce n’è da imparare. Per esempio, che siamo provvisori. Che un giorno somiglieremo a quella cenere che ci facciamo mettere sul capo con un po’ di fastidio, specie se pelati, e che diventa maestra.
Vien da ridere quando sentiamo in un alterco: “Lei non sa chi sono io!”. Già, chi sei? Uno importante, un ricco, un dirigente che fa il bello e il brutto?  Al Papa, dopo l’incoronazione, come usava una volta, mentre incedeva sulla sedia gestatoria, gli si avvicinava un cerimoniere con una stoppa che si consumava bruciando e gli proclamava in latino: “Così passa la gloria del mondo”.
Totò, nella celebre “A livella” dirà: “a morte o ssaje chd’è?..è una livella”. Come a dire: ma di che ti vanti? Benedetta la cenere, allora; ci racconta il momento provvisorio, ci annunzia che siamo “nell’attesa della beata speranza”, ci fa realisti e umili come, del resto, Dio ci sogna.

 

 

Come le rondini

 

Convegni ecclesiali a raffica in questo periodo. Una benedizione e un pericolo. Il pericolo è che rimangano solo parole. La benedizione: che siano una seminagione piena. La riuscita di questi eventi è legata a diversi fattori: preghiera, preparazione, coinvolgimento delle realtà pastorali. Anche il tema ha da essere bruciante, per avviare rivoluzioni di amore.
Papa Francesco è stato chiaro, aprendo il Convegno della diocesi di Roma: “Un cristiano se non è rivoluzionario, non è un cristiano”. Tali riunioni dovrebbero essere un mettersi insieme per ascoltare “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Apocalisse 2, 1-7) con confronti a più voci nella libertà dei figli di Dio. Le comunità parrocchiali ne raccoglieranno i “semi”, verificando poi i cammini compiuti. Così i Convegni daranno frutto.
La Pira diceva: “I giovani sono come le rondini, vanno verso la primavera”. Allargando l’immagine, sarebbe bello pensare a cristiani, arricchiti dal fuoco di questi incontri, che si impegnano a rendere la Chiesa il più vicina possibile al Vangelo: “leggera, danzante, povera, libera, sorridente, coraggiosa, sottomessa solo a Gesù” (C.M.Martini). Ne annuncerebbero la primavera. Come le rondini.



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  (4 ) IL CONCILIO DI ARLES
di Ratti Antonio




Secondo le disposizioni (Apostolica sollecitudo) di Paolo VI (vedi 1° puntata) quello di Arles non è un Concilio, perché locale, ma un Sinodo speciale; infatti si affronta un problema urgente della Chiesa africana (diocesi di Cartagine e suffraganee), della Chiesa romana e delle diocesi del sud-est della Gallia (Francia), cioè, interessava una parte della Chiesa latina. Appena un anno dopo l’editto di tolleranza e di liberalizzazione del cristianesimo (Editto di Milano, feb. 313, che fa seguito a quello di Galerio del 311 con il quale venivano sospese le persecuzioni  ordinate da Diocleziano) l’imperatore Costantino interviene decisamente nella disputa che dilaniava le comunità cristiane citate.
 Molti cristiani terrorizzati dalla morte violenta per le persecuzioni volute da diversi imperatori (es.,Decio nel 250 e Diocleziano dal 303 al 311) avevano sacrificato agli dei e all’imperatore, ponendosi fuori dalla comunità cristiana. Costoro sono chiamati lapsi, cioè caduti in errore. (Ancora oggi si dice “ è stato un lapsus” per indicare un errore compiuto per disattenzione o per timore.)
Passato il momento della paura, si pone il problema di come ricucire lo strappo e rientrare in seno alla Chiesa da parte di questi fragili confratelli.
Donato, presbitero africano, e i suoi seguaci, ostinatamente contrari a ogni forma di perdono e di reintegro, anche dopo un adeguato periodo di riflessione e di penitenza, occupano chiese, denunciano di tradimento alcuni vescovi, colpevoli solo di tentare di spegnere l’incendio mediatico e di far valere il principio del perdono dopo un serio ravvedimento. In questa disputa tutta interna alla Chiesa, anche se ha riflessi nella società civile, cosa c’entra Costantino? A causa della vastità dell’Impero e delle oggettive difficoltà di tenere sotto controllo i confini sui quali premono agguerrite popolazioni che intendono entrare nei ricchi e progrediti territori romani, Diocleziano divide nel 305 l’Impero in due parti, Oriente e Occidente, governate da due Augusti, che gestiscono il potere con un Cesare ciascuno: in pratica, l’Impero è diviso in quattro.
Costantino, succedendo al padre Costanzo Cloro, è uno dei quattro, ma, per ambizione, progetta di rimanere l’unico padrone. Il famoso sogno della croce sormontata dalla scritta “In hoc signo vinces” lo avrebbe avuto la vigilia dello scontro finale (battaglia di Ponte Milvio, 28,10,312) contro l’usurpatore Massenzio, penultimo degli antagonisti.
Rimaneva Licinio a Oriente, con il quale resta alleato fino al 324, quando lo costringe con la forza ad abbandonare il potere. Oltre che un grande stratega militare, Costantino è anche uno smaliziato politico. Dopo gli eventi spregiudicati e traumatici che gli hanno dato il potere assoluto in Occidente, ha bisogno di un periodo di pace interna e di tranquillità sociale. Solo così si spiega l’Editto di Milano, scritto con Licinio, e l’impegno a favorire il cristianesimo che, con lungimirante opportunismo, ha compreso essere la forza nascente in grado di dare linfa nuova, vigore e unità all’Impero in difficoltà.
 Torniamo ai donatisti. Per Costantino, che, per le sue esigenze di governo, voleva una Chiesa forte, coesa e concorde, la disputa tra le varie posizioni e fazioni e le iniziative violente e destabilizzanti di Donato e dei seguaci hanno superato il limite di guardia, così convoca il Concilio di Arles, obbligando tutti i vescovi interessati a presenziare, perché nel 313 a Roma si era tenuto un analogo Concilio che i donatisti non riconoscono a causa dell’esiguo numero di vescovi presenti, solo 19. I vescovi si riuniscono ad Arles dal 1 agosto del 314. Per facilitare il viaggio dei partecipanti e del loro seguito, l’imperatore mette a disposizione i mezzi di trasporto della posta imperiale (cursus publicus). Alle sedute conciliari sono presenti 44 sedi episcopali: 16 della Gallia, 8 dell’Africa, 10 dell’Italia, 6 della Spagna, 3 della Britannia, 1 della Dalmazia. Il vescovo di Roma, papa Silvestro (314-335), non è personalmente presente, ma è rappresentato da due presbiteri e due diaconi. La presidenza è affidata al vescovo locale, Marino. Sono, altresì, presenti Ceciliano, vescovo di Cartagine e i suoi accusatori, compreso Donato.
 Intenzione di Costantino è che il Concilio si comporti come una specie di tribunale ecclesiastico incaricato di affrontare ed emettere un giudizio risolutivo che ponga fine per sempre alla questione all’ordine del giorno, ma non ha fatto i conti con la testardaggine di Donato e i suoi. Vengono confermate le decisioni del Sinodo romano del 313 e ribadita l’innocenza di Ceciliano. I vescovi approfittano della riunione colleggiale per decidere su altre questioni riguardanti la disciplina ecclesiastica. Il risultato finale è la stesura di 22 canoni  che offrono un panorama esauriente delle problematiche pastorali e disciplinari ricorrenti. Alcuni ci riguardano ancora oggi, come i matrimoni misti, cioè tra persone di diversa religione.
Gli argomenti trattati nei singoli canoni si possono così riassumere: la data unica della Pasqua (uno die et uno tempore per omnenorbem); interdizione ai chierici di cambiare, senza autorizzazione, la chiesa nella quale sono stati ordinati; minaccia di scomunica per chi rifiuta o diserta il servizio militare ( Costantino non faceva niente per niente!!); interdizione ai laici di compiere il mestiere dell’auriga e il mestiere dell’attore; interdizione ai laici di esercitare funzioni municipali o pubbliche senza il controllo del vescovo di competenza (cura episcopi); validità del battesimo conferito dagli eretici se conferito correttamente nel nome della Trinità (manus ei tamen imponatur ut accipiat Spiritum sanctum); invito ai mariti (quantum possit), abbandonati ancora giovani dalle mogli, a non risposarsi, vivente la sposa, anche se adultera; scomunica temporanea (aliquanto tempore) per le donne che sposano uomini pagani; validità delle ordinazioni conferite dai traditores. (Nei 22 canoni non si fanno nomi di persone, solo di confessores e traditores), ma i traditores (i donatisti) devono essere deposti; scomunica per i falsi accusatori ( riferimento esplicito ai donatisti); proibizione assoluta ai diaconi di celebrare l’Eucarestia (è la prima volta che compare il preciso distinguo tra presbitero e diacono); imposizione di sette, ma almeno tre, vescovi per procedere ad una consacrazione episcopale; condizioni per il perdono e la riconciliazione degli apostati e dei lapsi. Anche Arles non è sufficiente a tacitare Donato, tanto che Costantino convoca davanti al suo tribunale civile di Milano i due vescovi competitori: nessuno dei due recede dalle proprie posizioni. Costantino decide a favore di Ceciliano, ordina la restituzione delle chiese e dei beni usurpati e condanna gli scismatici all’esilio. Neppure questi provvedimenti hanno effetto e dopo cinque anni Costantino decide di tollerare gli scismatici e suggerisce ai cattolici che la cosa migliore è lasciare che il tempo e il cambio generazionale facciano esaurire il muro contro muro. Conclusione. Si tratta del primo Concilio convocato dalla massima autorità civile e del primo pesante intervento del potere civile su quello religioso. In sostanza, Arles rappresenta l’inizio di quel rapporto di sinergia tra Chiesa e Impero o potere civile, che, nel bene e nel male (molto di più per la voglia di non ricercare una giusta reciprocità, ma solo di prevalere), per tanti secoli è stato una costante, direi, decisamente negativa, anche se, è bene ricordare, che, senza Costantino, il Concilio di Nicea avrebbe consegnato la Chiesa ad Ario. Ma di questo si parlerà nella prossima puntata. (4)



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