N° 5 - Maggio 2021
Spiritualità
  LA VIA CRUCIS DEI BAMBINI
di Le catechiste di San Lorenzo



Quest’anno noi catechiste d’accordo con il nostro parroco Padre Domingo, abbiamo coinvolto i bambini nella lettura della Via Crucis. Tutti i bambini hanno accettato con molto entusiasmo. Ogni venerdì si ritrovavano in anticipo davanti alla chiesa per accordarsi tra di loro su quale stazione leggere e in caso di assenza di qualcuno già c’era pronto chi sostituiva l’amichetto.
Dato che nella parrocchia San Lorenzo non ci sono tanti bambini, abbiamo coinvolto anche alcuni bambini di altre parrocchie che avendo i nonni  qui, sono spesso a Ortonovo .
I bambini, tutti con la loro mascherina, seduti con il rispetto della distanza, seguivano sul libretto la funzione e quando era il loro turno si alzavano e leggevano la stazione.
Il venerdì Santo tutte le stazioni sono state lette dai bambini avendo presente dei bambini di Casano che hanno partecipato molto volentieri a questa Via Crucis dei bambini.
Visto questa bella esperienza e l’entusiasmo mostrato dai bambini, abbiamo pensato di coinvolgere i bambini nella recita del Santo Rosario nel Santuario del Mirteto nel mese di Maggio. Tutti i bambini sono invitati, anche i bambini delle altre parrocchie, in modo particolare i bambini che a breve riceveranno i Sacramenti della Comunione e della Cresima.



  Lettera a Don Domenico Lavaggi
di Giuliana Rossini



Carissimo Don ci manchi tanto.
Tu per noi eri una roccia in cui trovare riparo, anzi, come è stato detto, con una bellissima immagine, un albero diritto, svettante verso il cielo (fino a sfiorarlo con la cima) forte e con radici solide.
Ci hai lasciato una fede adamantina che metteva Dio al centro di tutto, una fede in grado di superare le inevitabili debolezze umane. Sì, sei stato un vero uomo di Dio vivendo il Vangelo alla lettera: amavi tutti indistintamente.

In questo avevi avuto una buona scuola già nella tua famiglia. Tuo padre, lo zio Attilio, chiamato Attì, ottimo falegname, amato e rispettato da tutti, era un uomo di profonda fede. Non aveva mai voluto prendere la tessere del partito fascista.
Un simpatico aneddoto racconta che, terminato il duro lavoro quotidiano, egli talvolta aveva desiderio di bere un goccetto di vino, anche per fare due chiacchiere con gli amici. Ma il circolo ricreativo di allora l’ENAL, era gestito dal partito fascista.

Presentandosi alla mescita, gli dissero che lui non poteva bere perché non era iscritto al partito fascista. Caduto il regime, il circolo venne preso in gestione dalle sinistre. Attì si presento gongolante ma, ahimè, non poté bere neppure in questo caso perché nemmeno era socio del circolo. Alquanto seccato, lungo la via del ritorno esclamò:"prima i fascisti mo’ i comunisti e me quando a bevo e onde?"
Amavi tutti indistintamente, ma non nascondevi il tuo affetto per tutti i tuoi parenti, anche per me tua cugina acquistata.

Tra noi non facevi differenze, eravamo tutti tuoi fratelli e sorelle. Sei sempre stato presente nella vita di ognuno: hai unito in matrimonio la mia secondogenita e battezzato i miei nipoti, benché nati a Bruxelles.
Però non dimenticavi mai gli ultimi, i piccoli, i deboli, i malati (come fa fede la costruzione di Casa Marta proprio come Gesù di cui incarnavi il vangelo).

Ricordi quando stavi ancora al Limone? Allora data la minore distanza, era più facile vederci. Come è già stato detto, partecipavi con la tonaca alle manifestazioni per le vie cittadine di coloro che erano ingiustamente sfruttati.
Ma non eri soltanto un “prete operaio”, amavi le arti in particolare la musica e la pittura ed eri amico di numerosi artisti. Conservo gelosamente sopra il letto, sulla parete della mia camera, una Madonna col Bambino del pittore spezzino Rosa, che tu mi hai regalato; è datata 1975. Ogni volta che la guardo, il pensiero vola a te e a quei tempi giovanili.

Trasferito a Levanto, ci siamo frequentati un po’ meno, ma eravamo sempre presenti nelle grandi occasioni, come quando hai festeggiato i tuoi 50 anni di sacerdozio.
Hai sempre amato i giovani e con loro eri molto impegnato; organizzavi incontri, gite e dibattiti che, ne sono sicura hanno dato e continuano a dare i loro frutti.

Poi la roccia ha cominciato a sgretolarsi, ma, tu, con una forza sorprendente, riuscivi a superare tutto. Circa 10 anni fa, i medici avevano emesso una diagnosi infausta, eppure sei riuscito ad andare avanti, sia pure con tanta fatica.
Ero presente quando il patriarca di Venezia Mons. Francesco Moraglia già Vescovo di La Spezia ti telefonò per informarsi delle tue condizioni di salute. Che gioia per te e per noi! Per te fu come aver preso una potente medicina. Certo i tuoi ultimi 10 anni non sono stati facili né per te né per i tuoi familiari che ti hanno curato con tanto amore, ma tu non ti lamentavi mai, accoglievi tutto con pazienza, sempre attento, come potevi alle vicissitudini dei tuoi parrocchiani e di noi tuoi parenti.

Caro Don nella tua lunga vita hai bussato a parecchie porte per cercare di risolvere i problemi dei più bisognosi, ma adesso non ho dubbi, che, giunto in Paradiso, hai trovato tutte le porte spalancate e, anzi, gli Angeli i Santi e la nostra Madre Celeste festanti ad accoglierti.

Prega per noi.

  Cenni sulla settimana santa
di Enzo Mazzini


 La Settimana Santa rappresenta sicuramente il momento più elevato che la cristianità si trova a vivere e rinnovare ogni anno. Infatti i numerosi e commoventi riti, che vengono celebrati, ci fanno vivere i momenti più alti e partecipati del nostro essere cristiani.
Partiamo dal Giovedì Santo, allorché si celebra l'ultima cena di Gesù con gli Apostoli, per rievocare la Pasqua Ebraica, ma soprattutto è la cena "In Coena Domini" che Gesù consuma insieme ai suoi Apostoli  prima di essere tradito, arrestato e condannato a morte. Ma si tratta di un incontro davvero straordinario ed irripetibile per il susseguirsi di riti sempre più commoventi e coinvolgenti: la lavanda dei piedi, l'annuncio del tradimento da parte di Giuda, l'istituzione dell'Eucaristia e dell'Ordine Sacro e cioè del Sacerdozio Cristiano.
Le chiese vengono oscurate in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù, le campane tacciono, l'altare diventa disadorno, il Tabernacolo vuoto con la porticina aperta ed i Crocifissi vengono coperti.
Si arriva quindi al Venerdì Santo, il giorno del grande dolore perché rievoca la morte, sulla Croce, di Nostro Signore sul monte Calvario. È l'unico giorno in cui non si celebra l'Eucaristia mentre c’è la commemorazione della Passione e Morte di Gesù Cristo, seguita dalla Via Crucis. La Chiesa infatti in quel giorno celebra solo la liturgia della Passione di Nostro Signore, che è composta dalla Liturgia della Parola, dall'Adorazione della Croce e dai riti di Comunione.
In molte parrocchie, nelle ore serali, si svolge la tradizionale "Via Crucis" per le strade degli abitati.
Il Sabato Santo è invece il giorno in cui il corpo di Gesù è nella tomba, sigillata da una grande pietra, i discepoli sono pieni di paura e si sono rinchiusi in casa e la comunità è smarrita ed impaurita. Solo le donne che hanno seguito e servito Gesù non hanno paura e sono in trepidante attesa: passato il sabato, giorno in cui non era possibile fare acquisti, devono recarsi alla tomba di Gesù, ma prima dovevano procurarsi gli oli aromatici per andare a imbalsamarLo (Marco 15, 41 - 16, 2).
Il Sabato Santo è il giorno del grande silenzio, raccoglimento e della meditazione perché ci fa provare una grande sofferenza rivivendo la morte di Gesù per poi arrivare all 'esplosione di gioia nell'annuncio della Resurrezione, durante la Veglia Pasquale. Infatti tutta la giornata del Sabato Santo è destinata alla preghiera ed alla penitenza, ma non vengono fatte celebrazioni liturgiche e quindi non vengono celebrate le Sante Messe. Significativo è il fatto che in quel giorno non si può ricevere neppure la Santa Comunione, ad eccezione del Viatico che può essere somministrato agli ammalati gravi.
Tutto è  silenzio ed attesa per rievocare la morte e sepoltura di Gesù a partire dal Venerdì pomeriggio.
La Resurrezione di Gesù Cristo è sempre stata rievocata con solenni funzioni nella tardissima serata del Sabato, generalmente alle ore 22, ma quest'anno si è reso necessario anticiparle a causa delle restrizioni di legge, imposte per il Covid, che vietano ogni movimento e funzioni dopo le ore 22.
Molto significativa questa veglia! Io ho ancora presenti quei momenti di intensa commozione vissuti negli scorsi anni nella Chiesa di Isola dove io mi ritrovavo in quanto componente del coro. Durante la solenne Veglia vengono infatti benedetti il fuoco e il cero pasquale e commovente è il momento del canto del Gloria, allorché nell'aria si diffonde il suono delle campane che erano state in doloroso silenzio dal Venerdì Santo.
Quindi si arriva al giorno tanto atteso: la Pasqua di Resurrezione! È il giorno della sconfitta della morte da parte di Gesù: "Cristo è risorto, è davvero risorto". Gesù passa dalla morte alla vita e la morte è sconfitta per sempre!
Io ho assistito alla solenne S. Messa celebrata da Papa Francesco nella Basilica di S. Pietro. Davvero commovente! Il Santo Padre ha anche ringraziato tutti i fedeli che hanno lavorato per rendere le celebrazioni della Settimana Santa veramente degne e belle ed ha ricordato che: "ogni domenica con il Credo rinnoviamo la professione di fede nella Resurrezione di Cristo …. Tutta la liturgia del tempo pasquale canta la certezza e la gioia della Resurrezione di Cristo". Anche noi ci uniamo a Lui nell’augurare una buona e santa Pasqua a tutti i lettori del "Sentiero".


  Le Missioni
di Egidio Banti


Riportiamo la seconda ed ultima parte della relazione storica di Egidio Banti sulla presenza in Val di Magra dei religiosi Vincenziani, ai quali apparteneva il padre Vincenzo Damarco.

Alla Casa della Missione è legato un episodio della vita del cardinale Giuseppe Spina, il sarzanese più autorevole nella storia dopo Niccolò V: la sua ordinazione sacerdotale. Spina era già a Roma, alla Segnatura Apostolica, quando nel 1796, in seguito all’arrivo delle truppe francesi, aveva dovuto tornare in fretta a Sarzana. Non era ancora sacerdote, e ad ordinarlo fu così il vescovo Vincenzo Maria Maggiolo, motivo per il quale egli risultò ascritto al clero della diocesi di Luni – Sarzana. L’ordinazione avvenne nella cappella interna della Casa della Missione, il che indica l’importanza che essa aveva in quel periodo, sessant’anni dopo l’arrivo dei vincenziani. Anche la Casa subì però nuove traversie nel periodo napoleonico. Già nell'ottobre 1797 i missionari vennero allontanati con il pretesto di dare alloggio alle truppe, ed essi, in linea con le disposizioni post-rivoluzionarie, ricevettero anche l’ordine di separarsi l'uno dall'altro. Nel 1802, peraltro, una supplica di importanti famiglie sarzanesi ottenne che il convitto potesse riaprire. Non è da escludere che per tale decisione siano valsi proprio i buoni uffici di Giuseppe Spina, che, divenuto cardinale, aveva negoziato a Parigi con Napoleone in persona il difficile concordato tra Francia e Santa Sede. Così i missionari, nel 1809, ebbero l'incarico di tenere anche le scuole comunali e di officiare la chiesa di San Francesco, essendo stati i frati francescani a loro volta allontanati da Sarzana. Dopo la Restaurazione, la Santa Sede riconobbe in qualche modo il loro ruolo a Sarzana quando, nell’ottobre 1820, vi inviò come nuovo vescovo proprio un vincenziano, il padre Pio Luigi Scarabelli, nativo di Castelnuovo Scrivia e già superiore a Torino negli anni napoleonici. A Sarzana Scarabelli rimase vescovo sino al 1836, quando, gravemente malato, si ritirò proprio nella Casa della Missione, restandovi sino alla morte, nel 1843. Egli fu anche il vescovo che si adoperò per la venuta a Sarzana di un primo nucleo di religiose di matrice vincenziana, le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, tuttora presenti nella scuola del “Pavone”. Non solo: il vescovo potenziò l’Opera Pia Lercari con una propria cospicua donazione, per cui, da quel momento, si chiamò “Opera Pia Imperiale Lercari – Scarabelli”, rimasta attiva sino al 1974, quando venne assorbita dalla fondazione “Cardinal Maffi” per la gestione della villa dell’Olmarello, al confine tra Castelnuovo e (oggi) Luni. Nell’Ottocento la comunità vincenziana affrontò spesso difficoltà e contrasti, sempre però superati. Curioso è l’episodio del maggio 1859, quando un corpo di truppe francesi, comandate dal principe Girolamo Napoleone, sbarcato a Spezia, transitò per Sarzana. Il superiore si offrì di ospitare alle Missioni un certo numero di ufficiali, compreso il principe, e così avvenne. La Casa per una legge del 13 novembre 1859, continuò a tenere aperte al pubblico le sue scuole interne ginnasiali, dalla prima Grammatica alla Rettorica, e tali scuole ebbero il titolo, il privilegio e la qualità di Ginnasio Municipale. Nel 1866 una legge del Regno d’Italia impose alle varie congregazioni di sciogliersi. Alla Casa di Sarzana fu però di grande aiuto la citata “Opera Pia”, la quale aveva la facoltà di mantenere propri amministratori che furono, in quel frangente, cinque missionari, che poterono così restare uniti. Si arrivò così all’inizio del Novecento, quando le scuole elementari erano ormai alla portata di tutti ma le superiori erano ancora riservate a pochi. Il Collegio arrivò così ad ospitare sino ad oltre 150 alunni, di diverse età.

L’attività dei Vincenziani non si chiudeva però tra le mura della Casa. Il 15 aprile 1924, martedì santo, risulta registrata a Sarzana la costituzione del primo reparto scout della città. Presidente è un giovane industriale del settore dei marmi, Libero Cerri, mentre assistente risulta don Domenico Abbo, prete della Missione. Don Abbo, nativo di Borgomaro (Imperia), era un giovane sacerdote, di 36 anni, che già aveva rilevato da don Frontelmo Beggi la cura spirituale dell’associazione Pro Sarzana, dedicata ai giovani della città. Gli scout rappresentavano un modo innovativo di aggregazione giovanile, anche se presto sarebbero stati sciolti dal regime. In effetti, Sarzana guardò sempre con simpatia e con collaborazione al Collegio, ed anche la triste vicenda dei delitti Vizzardelli, compiuti nel 1937 per il tralignare della mente malata di un povero giovane (che finì per togliersi la vita molti anni dopo, poco dopo essere uscito dal carcere), non scalfì per nulla quei sentimenti, ed anzi se possibile li rafforzò, essendo stati i sacerdoti e i loro collaboratori le prime vittime di quella follia: il superiore Giorgio Bernardelli e il custode del collegio, fratel Andrea Bruno.
Sul piano giuridico, pur nell’avvicendarsi di molte amministrazioni pubbliche, la congregazione riuscì sempre a poter disporre della Casa.
Il 30 settembre 1926, presenti il padre generale padre François Verdier fu ad esempio inaugurato un nuovo edificio (attuale sede della Guardia di finanza), destinato anch’esso ad attività scolastiche pubbliche. Nel periodo dell’episcopato di Giovanni Costantini (1929 – 1943), diviene poi intenso il collegamento con il seminario. Il vescovo firmò infatti una convenzione in base alla quale le classi del Liceo e della Teologia venivano trasferite alla Missione, un cui sacerdote, il padre Pietro Usai, fu nominato direttore spirituale del seminario stesso. Il padre Usai, nativo di Sassari, rimase a Sarzana sino alla morte, nel 1957, e proprio in sua sostituzione, fu trasferito dalla Sardegna, dove si trovava, il padre Damarco. Dal 1939 al 1946 i Missionari accolsero nel Collegio oltre trecento sfollati dalla Spezia, da Massa e da altre località, continuando però anche le attività scolastiche, benché ridotte. Dopo lunga trattativa con il Comune di Sarzana, grazie all’impegno giuridico ed alla collaborazione del segretario generale Eugenio Gari, i Missionari il 27 ottobre 1959 riscattarono il Collegio, ridiventandone i proprietari. Nel dopoguerra – mentre i preti della Missione collaboravano con diverse parrocchie della città di Sarzana e della vallata (per esempio a Molicciara), ed in attività quali la Fuci, i circoli culturali, i gruppi di Mani tese – l’aumento della popolazione scolastica e la mancanza di adeguate strutture pubbliche portarono all’utilizzo di ulteriore parte dei locali per le attività scolastiche, in particolare della scuola media “Carducci” e dell’avviamento professionale “Bertoloni”. Tutte queste vicende confermano come la struttura non sia mai stata isolata in se stessa e chiusa alle esigenze del territorio sarzanese. E’ proprio in quel periodo che si colloca la presenza a Sarzana del padre Damarco.
Alla fine degli anni Settanta maturò la svolta provocata dal calo del numero dei religiosi così come – a causa delle mutate condizioni di vita delle famiglie e della diffusione delle scuole statali – dal venir meno della ragion d’essere stessa di un collegio–convitto. Nel 1963 l’Annuario diocesano indica ancora in nove il numero dei religiosi presenti alla Missione, mentre nel 1980 sono tre, di cui due soli sacerdoti. In quel periodo continuò a funzionare, benché in forma di succursale o di alloggio estivo, la villa dell’Olmarello. Negli anni dopo il Concilio, proprio il padre Damarco la utilizzò per consentire ai giovani sarzanesi di Mani Tese e del Comitato per l’amicizia con i popoli nuovi attività di raccoltà degli stracci (allora usava così). Il Collegio venne chiuso in via definitiva alla fine degli anni Settanta. Per fortuna, il vescovo di allora, Siro Silvestri, comprese subito l’esigenza di dare continuità a una storia così importante. Silvestri volle così che la Casa, rilevata dalla diocesi, venisse riconvertita per far fronte ad una nuova drammatica esigenza, il recupero ed il reinserimento dei tossicodipendenti. Il complesso fu così destinato ad ospitare un centro di accoglienza e di recupero per giovani in difficoltà, oltre a numerose attività collaterali, anche di assistenza sanitaria in “hospice”, oggi coordinate dal consorzio “Cometa” di don Franco Martini.
Voglio concludere con un particolare curioso. Quando la Casa venne aperta, nel 1735, la parrocchia di appartenenza era Sarzanello, la cui chiesa di San Martino era distante poche decine di metri. Già allora, però, sia la “Pavona” sia la nuova Casa potevano essere considerate quasi una congiunzione tra due relatà storicamente diverse e spesso in contrasto tra loro: l’antica Sarzanello e la nuova, ricca Sarzana. Quando gran parte degli edifici di Sarzanello vennero distrutti dai francesi nel 1748, compresa la chiesa, la parrocchia fu sposata in località Pianpaganella, alquanto distante dal versante sarzanese, ma il suo territorio non venne mutato per oltre due secoli: l’Annuario diocesano del 1939 riporta ancora la Casa della Missione come appartenente a Sarzanello. La situazione mutò nel 1953, con l’istituzione della nuova parrocchia di San Francesco d’Assisi. Fu dunque la modifica dei confini del 1953 ad interrompere il legame storico tra i Preti della Missione e la comunità di Sarzanello, ormai molto modificata nella sua dimensione geografica e in quella sociale. Possiamo però anche dire che oggi, almeno idealmente, l’avvenuta realizzazione del “largo Vincenzo Damarco” nell’angolo dell’antica strada della “Montata di Sarzanello”, proprio là dove si diparte il vialetto della Casa, riconnette oggi quel collegamento storico. La storia è storia e, come diceva uno dei miei maestri, Placido Tomaini, tale rimarrà nei secoli. Questo vale anche per la Casa della Missione e per il padre Damarco.


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