N° 5 - Maggio 2019
Storie dei lettori
  IL LUNGO CAMMINO DEI JEANS
di Millene Lazzoni Puglia


   

Nella scorsa estate neanche la mia nipotina Giada, di quasi nove anni, è rimasta immune dalla moda, ormai diffusissima tra i giovanissimi e i giovani, dei pantaloni jeans “strappati” alle ginocchia; moda che attrae per emulazione anche tanti bambini senza distinzione di sesso.
Erano nati oltreoceano come robusto abbigliamento da lavoro; infatti ricordo benissimo, per averlo visto fare in famiglia, come 50 anni fa venissero rammendati con toppe di stoffa cucite a mano per rimediare all’usura e nessuno poteva immaginare che questa necessità, legata alle ristrettezze economiche di quegli anni, potesse diventare una moda travolgente. Il tessuto jeans, proveniente dall’America, e, come mi risulta, sviluppatosi a Genova nel dopoguerra per vestire i lavoratori del porto, ne ha fatta di strada … prima di arrivare ad ostentare i “buchi” alle ginocchia,  e non solo,  com’è di gran moda oggi.
Il pantalone jeans, molto pratico e resistente, è stato vestito in tutte le salse: si va dal lavoro allo sport e a mille altre occasioni di svago e di riposo, fino ad essere abbinato a capi eleganti come giacche e pellicce. Spesso si vedono delle varianti arricchite con ricami colorati e brillantini, offrendo ampio spazio alla fantasia sia per i pantaloni lunghi che corti. E’ noto che l’impiego di questo tessuto è passato dai pantaloni a molti altri capi d’abbigliamento come giubbotti, abiti, gonne e altro, portati da maschi e femmine di ogni età.

Gli ottantenni di oggi hanno visto nascere, nei lontani anni ’50, il primo capo jeans sotto forma di pantalone dal caratteristico colore blu. Tra costoro ci sono anch’io con il mio, allora fidanzato, Silvano; anzi, era stato lui il primo ad averli adottati ed io l’avevo seguito. Molti non li scoprirono subito o non vollero farlo, ma in seguito pochissimi non li hanno mai indossati: direi, nessuno, perché quel pantalone, che diventava sempre più bello man mano che l’uso lo scoloriva, aveva conquistato tutti diffondendosi in modo inarrestabile.
Personalmente conservo un ricordo straordinario legato a quei primi pantaloni jeans, perché risalgono ad un periodo magico della mia vita, quando iniziava la mia storia d’amore con Silvano, compreso il viaggio di nozze in Spagna con il treno nel lontano 1962. Quella indimenticabile vacanza a Barcellona per noi è stata anche l’occasione di sfoggiare i nostri jeans e ci sentivamo così moderni da suscitare, forse, un po’ d’invidia. A passeggio per le strade di quella bellissima città, alla gente, con nostra piacevole sorpresa, destavamo attenzione e curiosità e ci guardavano in modo quasi inquietante, ma c’era una giusta motivazione: all’epoca la Spagna era ancora governata dalla dittatura del generalissimo Franco che aveva frenato ed ostacolato il percorso verso la modernità che è anche sinonimo di libertà.   I segnali in questo senso si notavano  anche in altre situazioni; per esempio, nell’albergo dove alloggiavamo ( Calle Sant’Anna) le addette alle pulizie lavavano i pavimenti con le mani e inginocchiate per terra, mentre in Italia ormai era un ricordo risalente alla servitù degli antichi nobili del passato. Una sorpresa, per noi molto positiva, che ci aveva permesso  di fare quella meravigliosa vacanza a prezzi molto bassi, era il costo della vita decisamente più economico del nostro.

Tornando  agli amati jeans, che hanno accompagnato e accompagnano le varie stagioni delle nostre vite, sembrano non subire il logoramento del tempo come accade per la costosa moda. Credo che le nuove generazioni di giovani sapranno trovare nuove e interessanti versioni e soluzioni stilistiche per questo magico tessuto e indumento, ma che non siano quelle della voluta distruzione con strappi e sfilacciamenti, riscoprendo un impiego più razionale e meno appariscente. 

  Viareggio
di Romano Parodi


 Viareggio  

       Nel salotto di Salomea Kruceniski, la Callas del suo tempo - Una madame Butterfly famosa in tutto il mondo, che, venuta da Puccini, conobbe e sposò il sindaco di Viareggio, Cesare Riccioni -. Nel suddetto salotto, sulle pareti, vive un po' della vecchia «bohème» torrelaghese di Salomea: morti e vivi. Sopra una fotografia piratesca dell’amico Plinio Nomellini, ce n’é una di Ceccardo con due dediche: A donna Salomea Kruceniski canora anima di lodola pel deserto del mondo: Salomea, una goccia del tuo profumo basta a riempire la mia stanza, un po’ della tua amicizia basta a colmare la mia vita”. - “Ceccardo, il più compito cavaliere che io abbia conosciuto».         Ceccardo, conobbe anche la Duse e la danzatrice americana Isadora Duncan, la più grande ballerina del suo tempo, e ammirò così estasiato la sua danza: l’onda del mare e della luce”, che quella notte, a Torre del Lago, non riuscì a dormire: Oh Isadora, questa notte ho pianto, ed ora il vento del mattino ascolto”. La Duncan, vita dissoluta e tragica (ebbe una relazione anche con D’Annunzio, e, dicevano, anche con la Duse), aveva appena perso i due figlioletti, tre e sette anni, ed Eleonora Duse la invitò a Viareggio per aiutarla a riprendersi dalla disperazione in cui era sprofondata. I bimbi annegarono nella Senna assieme alla bambinaia, perché l’autista scese senza mettere il freno a mano. In seguito ebbe un altro figlio da un italiano ed anche quello mori presto. Tutti da uomini diversi. Nel ‘22 sposò il grande poeta russo Esenin, giovanissimo, che dopo solo due anni di convivenza in giro per il mondo “come accompagnatore frustrato”, tornò in patria e s’impiccò: aveva trent’anni. Quella di Isadora fu una vita a tutta velocità (Emy..). Terminò nel ‘27, strozzata dalla lunga sciarpa che sempre portava: Lanciata a tutta velocità lungo le strade di Nizza, la sciarpa, s’impigliò nella ruota posteriore della Bugatti del suo nuovo amante e la strangolò. Le ruppe addirittura l’osso del collo.  Giorni prima, dopo l’ultimo suo ballo all’Etoile de Paris, intervistata disse: E’ strano, avevo l’impressione di camminare verso la mia tomba, sentii come un vento ghiacciato, e dopo, nella melodia della resurrezione, una specie d’estasi, che non mi sembrava di questo mondo”. DOPO ISADORA IL MONDO   NON E’ PIU LO STESSO” è scritto sulla sua tomba, a Parigi. Su di lei film, fumetti e centinaia di pubblicazioni. Per molti pastori americani, avrebbe dovuto bruciare all'inferno. Ma lei rispondeva sprezzante: "non è nel vostro Paradiso che io rivedrò i miei figli". (Una curiosità: la sua tomba e quella della Callas, sono un rito per tutti i parigini: curate e fiori freschi, sempre).
Ceccardo conobbe bene anche Puccini, frequentò anche la sua casa. Assieme a lui e a Viani, andò a vedere il Rigoletto al Politeama di Viareggio.

Con il compositore Lorenzo Parodi : “il caro maestro” (che in seguito musicò una sua poesia), andò a vedere il Werter di Messenet al Carlo Felice, e da qui prese spunto per scrivere la poesia “Werter”; poesia che racconta il suo tentato suicidio, nella totale indifferenza di Emilia. Vi ricordate? “Non ricambi il mio amore? E allora dammi gli inneschi che vado ad ammazzarmi”.  “Lei li contò ad uno ad uno..., senza tremare..., indifferente, ti dico...” - dice Ceccardo a Viani - Viandante, è il tuo destino! Mi portai nel mezzo di un oliveto...salutai le stelle...e sparai contro il mio povero cuore”. (Lorenzo Parodi  e Ceccardo erano colleghi giornalisti al “Caffaro”: uno critico musicale e l’altro critico d’arte)

 

 Werter

 

E il dolce sognator disse tremando / a l’adorata: E’ invano? Oh le pistole / prestami, ch’io parto. Il cuor mi duole / troppo, è vero; un sollievo andrò cercando -

Ed Ella: Così sia. Poi dubitando / diede l’arme. E ai paesi ove il buon sole / mai luce, e non s’aprono viole, / Egli scese quieto, ancor sognando -

Di pendul’oro ne la sala brilla / il santo Lauro di Natale. Oblia / tra una gioia di bimbi Ella, tranquilla -

Fuori cade la neve. Egli è partito / per sempre, ed ombra pallida, una via / lontana batte in mezzo all’infinito -

P.s. (In aperta campagna, a Camaiore, Viani e Pea, avevano trovato una stanza per Ceccardo. Oggi quella strada è, caso unico, via C. Ceccardi Roccatagliata e non Roccatagliata Ceccardi).

L’eroica cravache”

La cravache è un frustino. “A tutta cravache” è un termine ippico, e significa: correre a tutta frusta. Quella di Ceccardo aveva il manico d’argento (si vede in mano al figlio Tristano, nella foto che lo ritrae con la mamma, sull’uscio di casa).
Al
caffè Margherita di Viareggio, tutti si alzano in piedi ad ascoltare la marcia reale. Ceccardo e gli apuani non si alzarono, anzi: Ungaretti si mise ostentatamente a leggere un giornale e come se non bastasse, di nascosto, emise una grande pernacchia. Un ufficiale lo individuò e lo colpi  violentemente con uno schiaffo. Ma, sulla guancia del sottotenente Vittorio Martini, calò all’istante la scudisciata vendicatrice della “cravache eroica” di Ceccardo, cioè del frustino col manico d’argento donatogli dal Presidente della gran Loggia genovese “Cenacolo di Sturla”, mag. Adolfo Podestà, che il poeta, mai si dimenticava di portare con sé. (Il cenacolo era frequentato da grandi pittori e letterati famosi, fra i quali Giampietro Lucini, che vedremo in seguito. E’ a Sturla che conobbe e poi sposò Francesca Giovannetti, che faceva la serva in una ricca famiglia). Alla frustata di Ceccardo, gli altri militari e alcuni spettatori “realisti”, indignati, intervennero a difesa dell’ufficiale e del re, ma furono energicamente respinti dal manipoletto degli amici di Ceccardo: colui che si voleva arrestare. La rissa fu gigantesca, crollarono anche le vetrate, ma Ceccardo la passò liscia perché prudentemente, il commissario, vista la tensione, pensò di minimizzare. Tornata la calma, mentre li portavano in caserma, dietro di loro si riunì una gran folla al grido: “liberate gli apuani”. Il solito commissario si rivolse a C.: “Lei che è il più saggio, veda di calmarli”. - “Ella sappia che il poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi non fu mai un uomo equilibrato, egli è solo un’anima eroica”. Il commissario, visto la mala parata, “agì per il meglio” e li lasciò andare. Denunciarono solo Ungaretti per oltraggio al Re, ma poi per aver egli combattuto sul Carso, tutto fu amnistiato.

  SCHIZOCATECHESI
di Gualtiero Sollazzi


SCHIZOCATECHESI

Una parola che sembra una bestemmia. Non lo sarà, visto che l’ha detta un vescovo, mons. Giusti, all’incontro degli Uffici catechistici toscani. L’accusa è grave. Eccola in quattro punti. “ 1°: Nella catechesi non si fa Iniziazione cristiana, ma sacramentalizzazione.  2°: Il cammino catechistico dei bambini è scorporato da un programma educativo comunitario che sia anche liturgico e caritativo.   3° : Occorre lavorare intorno alla persona mettendo insieme le dimensioni educative in un progetto diocesano.   4° :  C’è la necessità di un primo annuncio che conduca a un’esperienza personale col Signore attraverso l’educazione alla preghiera, alla liturgia, alla Parola, alla carità.” Se è così, occorre aprire alla svelta un’agenda di lavoro che preveda l’aggiornamento dei catechisti, un confronto costante, la guida di esperti in contenuti e metodi. Una catechesi improvvisata è perdente , tipo: “Tema di oggi: Gesù cammina sulle acque. Tema di domani: In cerca di Gesù.” Solo una catechesi che risponde a un vero atto educativo con al centro l’Eucarestia domenicale celebrata dalla comunità, potrà dare frutti sicuri e non partorire schizocatechesi.Siamo a uno snodo pastorale non da poco: proibito imitare le tre scimmiette “ non vedo, non sento, non parlo.”
Se è così, occorre aprire alla svelta un’agenda di lavoro che preveda l’aggiornamento dei catechisti, un confronto costante, la guida di esperti in contenuti e metodi. Una catechesi improvvisata è perdente , tipo: “Tema di oggi: Gesù cammina sulle acque. Tema di domani: In cerca di Gesù.” Solo una catechesi che risponde a un vero atto educativo con al centro l’Eucarestia domenicale celebrata dalla comunità, potrà dare frutti sicuri e non partorire schizocatechesi.
Siamo a uno snodo pastorale non da poco: proibito imitare le tre scimmiette “ non vedo, non sento, non parlo.”

  LA CONFIDENZA
di Lorenzo Rossi Centori


 

A d’mbrunir d’n bel dì d magio, d quei chi fan ridenti  ghj’othj  contento l còro, a camineo su pr’l paeso e m vens comdo pasar da Castedo. A m ferm a mirar n nido d rondna e a set d la donna, dreto l canto dla kà. K la fileon la lana e ntanto pa parleon. Una la disheo:  - Pr esr bedo dhj’er bedo, e s’al voleo al pighjeo, ma a ndò vosuto. Primamenta, dhj’er cuscì pòro chi ndeo a pé nudi, poreto; vde? N bogia i n’ao quant’à n’ò me kì ntl palmo dla man. Quand’ì s shofieo l naso i tireo fora n fazoleto chi gh’ao pù buchi che peza. E com’à podei pnsar d metr su famighja con lulì che, porin, dhj’er sempr cuscì n malarneso chi gh’ao pù topa al culo che zecola l micio d Melò? Putosto a sarest armasa ziteda. M a ziteda po’ a n’armas prché n’à matina ka ndeo pr’acqua ala fontana m s’acompagnest l me marito che adora i m steo dreto. Lù i voleo aidarm a portar l bacilo a kà, ma me a n voleo prchè a kà la ngh’er nishun, ch’ì mì dhj’ern nti campi a ricar la patata. Ma l merlo il sao, e i nsistet ciscì tanto k’ala fin i fest ala so manera. Pr dirla tuta nk lù a nd’arest vosuto, ma pòta, cod’olta i m’ao compromisa. 

-Putana vò!  - la dish una d quela k la steon a sntir -  n podeo pnsargh prima?
-Vò dishé ben  - la dish la prima -  ma ol s’enk vò col proerbio che la donna d’è atenta e d’òmo dhj’è forto; ghj’òmi quand’ì dishn dalvero dhj’en più arditi d noaltra, e s’à gh dishan sempr no d no po’ scapn.
-Forshi d’è proprio cuscì com’ò dishé vò – d’arbat quela – ma giré la fritata com’ò volé, ven sempr fora che noaltra donna a san dla pòra ciotona ka gh la dhjan vinta nk quand n’s dorest. N’ogni modo a n’onk acapito sa san noaltra a far tut quedo chi von lor  o sì dhj’en lor a far tut quedo ka voghjan noaltra. E disché, o cosa, com d’è po’ ndata a fnir?

-S’à v d’arcont tuta vo ridé e me a piang’  - la dish la prima -  n meso dopo a m’acorgest k la n’m vnìon le me cosa. L s’condo  meso a digh a me mà: -O mà cos’n dishé? M suced ciscì e cuscì. Mo cos la dirà la genta?
Me mà, k d’er n’à furbona e la n’sao una pù dl dhjaolo, d’ao  ngià acapito tuto prima ka m n’acorges. E dfati la ns’arabiest, ma la dis d no stras a confondr con la genta e d tirar drito pr la me via. E com pr’arbadir col pnsero la dis n rima:


LA CONFIDENZA

Quand s’ncontr l parpaghjon

La pancia la fa l crescion.

Ala genta no degh arguaghjo

ko sen armasa ncinta pr sbaghjo.

Conven anzi ko v sposé

Pr  far nashr n famighja l bebè.

E sté contenta cuscì com’o sen

che d tuta la dsgrazia d noaltri pòra genta

la nghn’è gnank’una k la fa cuscì ben

com quela d’armanr ncinta.




Ntl sntir stà canzoneta m vens da ridr, e mentr che d’utmo sòlo dla sera i ndoreo i muri e i rici e la campana la soneon  d’Ave Maria, a m’aviest nvers kà. Ma nt col framento ka m’alontaneo a sent dir da una d cola donna : - M a i parpaghjon i n voln d nota?
E adora m vens a menta col proverbio chi disheo:

  Se ghj’òmi dhj’en n po’ volon

 D’en la donna k la san quel k la von.

E l proerbio i disheo ben, che tut’i san k d’en la donna la pù k la san star al mondo.

 

Traduzione in italiano           LA CONFIDENZA

 All’imbrunire di un bel giorno di maggio, di quelli che fanno ridenti gli occhi e contento il cuore, camminavo su per il paese e mi venne comodo passare da Castello. Mi fermo a guardare un nido di rondini e sento delle donne, girato l’angolo della casa, che filavano la lana e intanto parlavano. Una diceva:  -Per essere bello era bello, e se avessi voluto lo avrei sposato, ma non l’ho voluto. Prima di tutto era cos’ povero che andava a piedi nudi, poverino: Vedete? Aveva tanti soldi quanti ne ho io nel palmo della mano. Quando si soffiava il naso tirava fuori un fazzoletto che aveva più buchi che stoffa. E come potevo pensare di mettere su famiglia con quello lì che, poverino, era sempre così in malarnese  che aveva più pezze al sedere che zecche l’asino di Melò? Piuttosto sarei rimasta zitella. Ma zitella poi non rimasi perché una mattina che andavo alla fontana per acqua mi si affiancò mio marito, che allora mi stava dietro, dicendo che voleva aiutarmi a portare la secchia a casa. Io non avrei voluto perché a casa non c’era nessuno, che i miei erano nei campi a zappare le patate. Ma il merlo lo sapeva, e insistette così tanto che alla fine fece alla sua maniera. Per dirvela tutta neanche lui avrei voluto sposare, ma caspita, quella volta mi aveva compromessa.

-Putanona!!  - dice ina di quelle che stavano a sentire  -  non potevate pensarci prima?
-Voi dite bene – dice la prima – ma conoscete anche voi quel proverbio che la donna è attenta e l’uomo è forte; gli uomini quando si intestano sono più arditi di noi, e se gli diciamo sempre di no poi scappano.
-Forse è proprio come dite – ribatte quella – ma girate la frittata come volete, viene sempre fuori che noi donne siamo delle povere bischere che la diamo sempre vinta agli uomini anche quando non dovremmo. Comunque, non ho ancora capito se siamo noi donne a fare tutto quello che vogliono loro o se sono loro a fare tutto quello che vogliamo noi. E dite un po’, com’è andata poi a finire?

- Se ve lo racconto voi ridete ed io piango  - dice la prima -  un mese dopo m’accorsi che non mi venivano le mie cose. Il secondo mese dico a mia madre : cosa ne dite? Mi succede così e così. Ora cosa dirà la gente?
Mia madre, che era una furbona e ne sapeva una più del diavolo, aveva capito tutto prima che io me ne accorgessi. E difatti non si arrabbiò anzi disse di no starsi a confondere con la gente e di tirare dritto per la mia strada. E come per rimarcare il suo pensiero aggiunse in rima:

 Quando s’incontra l’amore

La pancia può crescere.

Alla gente non fate caso

Che siete rimasta incinta per caso.

Conviene anzi che vi sposiate

Per far nascere in famiglia il bebè.

E state contenta così come siete

Che di tutte la disgrazie di noi povera gente

Non ce n’è neanche una che fa così bene

Come quella di rimanere incinta.

Nel sentire questa canzonetta mi venne da ridere , e mentre l’ultimo sole della sera indorava i muri e i ricci e le campane suonavano l’Ave Maria, mi avviai verso casa. Ma mentre mi allontanavo sento dire da una di quelle donne : - Ma l’amore non si fa di notte?
Allora mi venne in mente quel proverbio che diceva:

 Se gli uomini sono un po’ farfalloni

 sono le donne che sanno quello che vogliono.

 E il proverbio diceva bene, che tutti sanno che sono le donne a sapere come si sta al mondo.

 

  COLLI DI LUNI: TERRA DEL VERMENTINO
di MARTA


 

Il nostro territorio di Luni, al confine tra la Liguria e la Toscana, ha in comune tra le tante cose il Vermentino, vitigno tradizionale di queste colline che costeggiano il mare. L’ambiente collinare e marino è di importanza storica per la viticultura come confermano le informazioni lusinghiere di Plinio il Vecchio sui vini lunensi. Il riconoscimento della DOC, i tanti premi e il successo commerciale rappresentano la giusta legittimazione e il frutto dell’impegno profuso da alcuni decenni da tante piccole realtà aziendali nel recuperare un vitigno secolare capace di dare vini di alta qualità.  La cronaca di queste settimane  sul Vinitaly, decanta il nostro vino, elargendo riconoscimenti  ai nostri viticultori, come le Cantine Lunae, ovvero, Casa Bosoni.
Ricordo il capostipite, Oriente Bosoni, con quanto amore e fatica coltivava il suo vigneto con la vanga o la zappa. Allora non c’erano le macchine ad alleviare la fatica dell’uomo. Poi, le cose cambiano e con i giovani l’attività aziendale si ingrandisce e il prodotto migliora  e si diversifica tanto da vincere negli anni molti premi con il Vermentino di Sarticola. Anche quest’anno alle Cantine Lunae non manca il premio ottenuto con il Rosato di Vermentino. Un’altra azienda , Federici, quest’anno ha vinto tre premi prestigiosi sempre con il Vermentino e le sue varianti. L’Azienda Federici in oltre dieci anni di attività si è ingrandita recuperando ettari di terreni incolti da destinare a vigneti. Il recupero di terreni abbandonati a causa dell’urbanizzazione in cerca di attività più redditizie, meno faticose e rischiose, rappresenta un grande merito per chi crede nell’agricoltura di qualità.
Anche un’ altra azienda del nostro territorio, la Pietra del Focolare, da diversi anni è apprezzata e conosciuta per i suoi ottimi vini.  Da alcuni anni si fa conoscere anche la Vino del Gaggio, con produzione biologica, che raccoglie molti consensi ed estimatori. La località del Gaggio è da sempre rinomata per la qualità delle sue uve e del suo vino.

Davanti ad un bicchiere di vino tutta la realtà si tinge di colori diversi e positivi, scoprendoci di buon umore, se non si esagera. Un buon bicchiere di vino aiuta, oltre al piacere della degustazione, ad abbattere le differenze e le diffidenze, stimola la condivisione e migliora le relazioni interpersonali.  Se riflettiamo un poco ci accorgiamo come un buon bicchiere abbia tanto da insegnarci: nulla si ottiene senza fatica  e impegno a fare sempre meglio. Più è grande la fatica, più il risultato sarà di qualità.
E’ molto importante saper bere, centellinando con calma ogni sorso per cogliere il profumo e la varietà dei sapori che si liberano.

Oggi si parla di vino da meditazione, i latini dicevano “in vino veritas”.
Per Luni e le sue terre il vino è un capitolo fondamentale della sua storia antica e moderna.

                 Salute e saluti a tutti.

  San Pietro a Luni Sud
di Paola G. Vitale


E' tornato a risplendere, oggi, martedì Santo dell'anno duemila diciannove, il marmo come appena uscito dall'atelier dell'artista; il basamento dipinto in ocra dorato grazie al lavoro del bravo artigiano, il quale ha già portato a nuovo il salone parrocchiale, la saletta ultima del nostro storico archetto e l'archetto stesso nel suo interno. Ora vorrei proprio dire che sono ancora come incredula, ma tanto felice di questa ritrovata dignità.. Siamo dunque pronti a ringraziare chi di dovuto e nostro Signore per questa novità e ritroviamo piena fiducia nel contribuire come possiamo a questa via di speranza. Il Signore è vera gioia, serena gioia e sarebbe tanto bello ritrovare il gusto di stare insieme con un gruppetto di giovani e cantare lodi e sentite parole di ringraziamento, qua in questo luogo così generoso di bellezze naturali e antica tradizione di Fede.

Sant' Eutichiano Papa, prega per noi!

 


<-Indietro
 I nostri poeti
 Storie dei lettori
 Spiritualità
 I nostri ragazzi
 La redazione
 Galleria Foto
 E Mail
Lunae Photo
Archivio
2022
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2021
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Settembre-Ottobre
n°6 Giugno/Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2020
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°6 Settembre-Ottobre
n°5 Giugno
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2019
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2018
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Settembre
n°7 Luglio-Agosto
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2017
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Settembre
n°7 Luglio-Agosto
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2016
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Agosto-Settembre
n°7 Luglio
n°6 giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2015
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Agosto-Settembre
n°7 Luglio
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2014
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2013
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2012
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2011
n°11 Dicembre
n°10 Numero speciale
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2010
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2009
n°11 Edizione speciale
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
 
     
 Copyright 2009 © - Il Sentiero. Bollettino Interparrocchiale di Ortonovo (SP) Crediti