N° 1 - Gennaio 2019
I nostri poeti
  San Silvestro
di Silvano Puglia


San Silvestro

Siedo al tavolo consunto

fra residui di frugale pasto.

Ho il capo reclinato sulla mano.

Penso.

Penso alla mia vita,

ai pochi giorni lieti,

alle gioie non molto intense.

Quante vane speranze d’attesa.

Quanti sogni nati e morti

all’istante nel cuore.

Penso al sogno dei più

begl’anni non realizzato.

Un altro arco di tempo è tramontato.

Ed io sono sempre lo stesso.

Galantuomo il tempo, che non

regala nulla a nessuno.

Regala gioie e dolori, e

a chi s’accontenta,

regala felicità.

 


  LUNI
di PAOLA GUERRUCCI


LUNI

 

Dolce paese di Luni,

la falce splendente sul monte

lambito dal mare,

ammicca alla stella vicina.

 

Frusciano le foglie ondeggianti,

e rondini e passeri ancora,

da sotto la gronda

inondano il cielo alla sera.

 

L’antica palude in pianura

è ora podere e villaggio, e strade,

ove l’uomo operoso,

il marmo, artigiano lavora.

 

Sparsi sui colli e sui monti,

antichi presepi i paesi,

il mio pure ricordano,

lontano e presente nel cuore.

 


Da Impressioni

Luni Mare, 1987

  ‘E góse, l’aia – Le voci, l’aria
di Francesca Bello


‘E góse, l’aia – Le voci, l’aria

Questo libro di poesie, uscito nel 1988 per Guanda nella collana La Fenice, rappresenta nella storia poetica di Bertolani un punto importante, un approdo difficile per l’autenticità del linguaggio, che si libera e spesso diventa sfogo rabbioso, parola cruda e crudele, aspra e sferzante. Questa raccolta di poesie in dialetto rappresenta il Bertolani più vero nella sua collera verso il mondo attuale, nella sua paura, nel senso di impotenza che si ha di fronte alla morte. È un libro in cui il canto degli aspetti più dolorosi della vita, della morte, della sua percezione,  intrinseca nelle cose sottintesa e sempre in agguato, si fa più acuto e veemente.
È suddiviso in cinque sezioni: Aiéte (Ariette), ‘E gose, l’aia (Le voci, l’aria), Bigéti daa Lunigiana (Biglietti dalla Lunigiana), Sinagoghe (Cerimonie/ discorsi/ moine), Cuntae (Raccontare).
È un bel libro, molto doloroso, quando il dolore si dispiega nella malinconia della riflessione esistenziale, nella vanità di tutti i sogni che continuano nonostante tutto, dell’amore  “…a bèstia ligordìna, dita amóe..” (la bestia ingannevole detta amore), del mistero della morte che disfa il corpo in putridi liquami (Donde pè nasse n’idea – Da dove può nascere un’idea)
È un bel libro, molto struggente, quando la perdita diventa consapevolezza di ciò che non sarà mai più o quando il canto trova pace nell’osservare gli anni che scorrono inesorabili, le belle serate che nessuno può fermare, i canti e le voci dei morti che “restano eterne intatte nell’aria”.

È un bel libro, molto appassionato, dove il pathos tocca i vertici più alti proprio là dove i toni si fanno più crudi e aspri.

Tutto questo franare travolge anche le piccole cose, anche le rondinelle che nessuno guarda più, le castagne che nessuno raccoglie più in una Italia che aveva trovato il suo profeta in Pasolini, uomo poeta veggente malinconico, ma disdegnato.

La scelta diventa difficile a questo punto. Quali componimenti riportare qui? Sono tutti belli, intensi, rotondi come i sassi limati dal mare. Tutti dolenti. Tutti tragicamente veri. E chiedo venia ai lettori per la scelta operata, ma credo che la bellezza di questo libro si possa apprezzare solo se si va alla radice profonda dell’ispirazione, anche se espressa con parole “forti”, perché solo così non si snatura il dolore dell’autore. In fondo il mondo, la vita e tutto ciò che accade non è sempre lieto e la disperazione, talvolta, supera l’ottimismo della volontà.

Ho deciso perciò di cominciare con la poesia dedicata a Pasolini, autore amatissimo da Bertolani.

 

‘E RONDINÈLE                                  

                                    a Pasolini

A vorélo miàe  drent’a i mile                

budèi chi le serpénte,                          

er mondo i n’apaìssa na spece                   

de mación scuo – e i omi che drento          

i ghe bordìghe                             

déntici tuti,                                          

tuti snomà…                                       

 

Dime questo, pensàlo,                        

l’è persuàdeme tórna,tórna capìe               

che ‘r mondo sempre pu i combàsa            

con quanto l’è sortì                             

daa te fronte de rèto                             

‘ndovìn agomì.                                      

A son anca a patìlo ‘nti fati                            

quanto t’è ito, scrito. E s’a’ n parlo                

a me sento mià come se mia                 

‘n balengo, o n’omo bevù,                             

en malà.                                        

 

Ma artre góse la vire ‘nta sea                     

rendorsì de ‘sta Italia, pu povia de quando      

l’ea povia da fane pietà.                      

Góse ch’la véne                                  

Dae fissadùe da tèra                          

a dimandàe credénsa: a dine che quarcò    

seguaménte remàna…

                      - ‘E rondinèle                               

- la dise ‘ste góse ch’la véne               

de là da tute e mace e i  montesèi,             

i siti sbandonà.      

                  - ‘E rondinèle
che come vén aprie la refàn                     

i  vói usà…                                         

              Ma daa nèbia der mondo             

chi ne confonda, diséme voi                

chi rièssa                                    

               - voi góse afàbili vegnù                             

dae morte anàde                                

a dane nèva vèga –                            

                      chi trèva                              

l’ardìe de miàgi                                   

(de faghe sórve ‘n sómio)                           

le bèle rondinèle ‘nte scuìe.                 

 

 

LE RONDINELLE

 

A volerlo guardare dentro i mille / budelli che lo serpentano, / il mondo ci appare una sorta  / di selva oscura – e gli uomini dentro / vi rovistano / identici tutti, / tutti senza nome…// Dirmi questo, pensarlo, / è persuadermi di nuovo, di nuovo capire / che il mondo sempre più combacia / con quanto è uscito / dalla tua fronte di retto / profeta immalinconito. / Sono ancora a patirlo nei fatti / quanto hai detto, scritto. E se ne parlo / mi sento guardato come si guarda / uno strambo, o un uomo ubriaco, / un malato. // Ma altre voci girano nella sera / raddolcita di questa Italia, più povera di quando  / era povera da farci pietà. / Voci che vengono dalle fessure della terra / a domandare credito: a dirci che qualcosa / sicuramente resta…/ - Le rondinelle, / che come viene aprile rifanno / i voli usati…// Ma dalla nebbia del mondo / che ci confonde, ditemi  voi / chi riesce / - voi voci gentili venute / dalle morte annate / a darci nuovo slancio - / chi trova / l’ardire di guardarle / (di farci sopra un sogno) / le belle rondinelle all’imbrunire.
In questo componimento il  poeta ha una visione assolutamente pessimistica del mondo, un mondo che combacia perfettamente con le parole che già a suo tempo aveva “profetizzato” Pasolini. Siamo negli anni ottanta e già allora Bertolani sentiva la stortura che cominciava a governare il mondo. L’assoluta mancanza di speranza è perfettamente rappresentata dal poeta che non riesce neppure a riferire ad altri il suo punto di vista senza essere preso per un ubriaco o per matto e dalle rondinelle, simbolo dei sogni umani, che nessuno ha più il coraggio neppure di guardare.


  Maria Nostro Ausilio
di Albertazzi Maria Angela



Maria Nostro Ausilio, ovunque tu sia,

vicina o lontana, sei l'eterna nostra mamma.

Nel momento del bisogno a te ricorriamo,

accorati t'invochiamo,

fiduciosi che tu, con il tuo immenso amore,

ci dai una mano.

T'imploriamo

per i nostri dolori, dispiaceri,

da te tutto pretendiamo,

questo è l’essere umano.

La nostra preghiera

è per tutti su questa terra,

perché non c'è più pace, c'è tanta guerra.

I Potenti

diventano sempre più egoisti e prepotenti,

in questo mondo dove tutto si sfalda.

Madre Nostra, tu lo sai, da duemila anni e più,

da quando è nato tuo figlio Gesù,

ognuno pensa a se stesso, sono tanti

e non vedono le mani tese a loro davanti.

Maria, aiuta quella gioventù,

che alla vita giusta non pensa più.

Aiuta gli ammalati, piccoli e grandi,

aiutali a guarire o dai la forza di andare avanti.

Ti prego con umiltà, dacci il tuo consiglio,

fai rinsavire tutti, per vivere con tutti

e con noi stessi.

Sotto il tuo manto,

vorrei un piccolissimo lembo per starti accanto.

Grazie, Maria.

 


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