N° 5 - Maggio 2018
Storie dei lettori
  Viaggio nei Teatri Romani d’Italia
di Giorgio Bottiglioni



Lungo la Via Tiburtina Valeria parte seconda

Numerosi erano anche gli edifici religiosi sia nel centro urbano (Tempio di Iside, Sacrario di Ercole) che sulla collina situata all’estremità  occidentale dell’abitato. Quest’ultima era occupata da alcuni luoghi di culto, fra cui un tempio dedicato ad Apollo. Trasformato in Chiesa Cristiana e ampiamente ristrutturato in età medioevale, noto come la chiesa di San Pietro che contiene antiche colonne ed alcuni mosaici fine fattura cosmatesca. Nel cuore di Alba Fucens, sul lato destro del Santuario di Ercole, è collocato il teatro romano. L’edificio, non più visibile e ricoperto immediatamente dopo lo scavo. È stato oggetto di studio durante la campagna belga diretta dal prof. Mertens nella metà del ‘900. Nonostante le gravi spoliazioni che il monumento ha subito nel corso dei secoli, la scuola belga ha riportato alla luce numerosi resti che sono sufficienti a rendere l’idea delle sue caratteristiche originarie. Il teatro venne, con molta probabilità, costruito tra il II ed il I secolo a.C. in una zona preceduta, nel lato occidentale, da un’ampia terrazza sopraelevata che ospitava la scena e l’orchestra. L’accesso era consentito da due passaggi: il primo, collocato al termine di una stradina in salita posta lateralmente al santuario di Ercole, mentre il secondo era preceduto da una scalinata posta alla stessa altezza del luogo di culto. La “cavea” presentava l’usuale forma semicircolare ricavata, in maggior parte, sfruttando il declivio naturale del colle Pettorino, mentre l’estremità era fabbricata artificialmente utilizzando mura di sostegno (analèmmata). Le mura sono state realizzate nella parte inferiore in opera poligonale e in quella superiore in opera poligonale e in quella superiore in opera reticolata. Poco si è conservato dell’orchestra, che nel teatro greco era riservata al coro mentre in quello romano al ceto alto. L’orchestra e la scena presentavano una serie di pozzi destinati alle manovre del sipario. La scena era a pianta rettangolare divisa in due parti: la parte anteriore era il vero e proprio palcoscenico (proscaenium), in materiale ligneo, dove si svolgevano le azioni teatrali, mentre quella posteriore, il proscenio (frons scenae), ovvero la parete di fondo del palcoscenico compresa tra l’orchestra e il sipario, era suddivisa in sette ambienti con diverse dimensioni destinati a sostenere l’architettura scenica. Essa era solitamente mobile e realizzata in materiale deperibile eretta solo in occasione degli spettacoli. Dietro l’edificio scenico erano gli ambienti utilizzati dagli attori e dal personale di servizio per il deposito del materiale di scena. A quello che al tempo era il lago del Fucino si interrompe l’itinerario di Nibby, il quale però consiglia ai più interessati di proseguire lungo la via Tiburtina Valeria e di raggiungere nei pressi di Sulmona l’antica Corfinium, la “metropoli dei Peligni”, come la definisce lo storico antico Strabone. Corfinium fu la capitale della Lega Italica che nel 90 a.C. guidò la guerra sociale contro Roma: ribattezzata Italia, si arrese solo alle truppe di Giulio Cesare. La principale testimonianza archeologica di questo centro ridotto oggi a pochissimi abitanti è il teatro. Piazza Corfino, la principale del paese, deve la sua curiosa forma a semicerchio ai resti dell’antico teatro (I secolo a.C.) le cui  gradinate (cavea) e i cui ambienti radiali di sostegno sono ancor  oggi inglobati negli edifici medioevali e posteriori che vennero costruiti e riadattati sulle strutture in opera incerta. Proseguendo sulla statale 5 si raggiunge Chieti, l’antica Teate Marrucinorum, principale centro dell’antico popolo dei Marrucini. Secondo una leggenda il nome deriverebbe dalla dea Teti, madre di Achille, perché qui sarebbero giunte popolazioni greche alla fine del secondo millennio a.C. Il primo nucleo risale al periodo preromano. Il centro è sito sulla parte più elevata del colle della Civitella, dove si trova l’acropoli della città. L’antica Teate si sviluppò a partire dal II secolo a.C. e s’intensificò quando divenne Municipio. Dopo la guerra sociale fino alle guerre del periodo tardo-repubblicano ed imperiale il centro era noto come Teate Marrucinorum, ma dai Marrucini era chiamata Touta Marouca. I principali resti archeologici teatini sono da individuare nei tre Templi Romani, detti tempietti di San Paolo, nelle terme, situate nella parte orientale della città, e nel teatro, poco fuori del quartiere della Civitella, verso il centro urbano di Chieti. I palazzi che circondano il teatro hanno nascosto del tutto l’orchestra e il proscenio. Attualmente è visibile il lato nord-orientale del muro della cavea in opus mixtum. La cavea è posta in parte sulle pendici del colle della Civitella ed in parte è coperta da volte e botte. Il teatro era composto da due livelli come dimostra parte del corridoio semicircolare che sbarrava il piano sovrastante. Gli spalti potevano contenere circa 5000 spettatori.
Il teatro misurava circa 5000 spettatori. Il teatro misurava circa 80 metri di diametro. L’ingresso principale immetteva in una salita a gradoni sostituita dal Vico II Porta Reale, così ci si immetteva in un corridoio che era posto sopra la cavea, verosimilmente concluso da dei giochi di archi.

  “Tu uccidi il chiaro di luna”
di Romano Parodi


 

Quando Camillo Sbarbaro, tornò dalla Grande Guerra (volontario nella C. Rossa), aveva i nervi a pezzi e, per qualche tempo, cieco e sordo a quanto gli accadeva attorno, cupamente chiuso in se stesso, insofferente anche alla vita di famiglia, diventò amico intimo di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi. Tutte le sere vagabondavano nottambuli, assieme ad altri intellettuali, nei carruggi di Genova. Durante il giorno non si muovevano dalle loro stanze. Sbarbaro aveva lasciato anche il lavoro.
Nei suoi articoli Barile traccia un suggestivo quadro della vita intellettuale di quegli anni nel capoluogo ligure, fervida soprattutto nell’ottocentesca Galleria Mazzini, dove ancora risuonava la voce di Ceccardo e dove si trovava il Caffè Roma quartiere generale degli intellettuali. E’ qui che Montale, amico di Sbarbaro, vede Ceccardo, ed assiste ad una furibonda lite fra il nostro e Marinetti, capostipite del futurismo. Quella sera c’erano tutti, anche Montale, che si defilerà: dirà poi: “Temevo la roteante “cravache” di Ceccardo”.
Ceccardo accusa Marinetti di “voler uccidere il chiaro di luna”. Sbarbaro, Baratono, Sanguinetti, Podestà, Novaro e gli altri, cercarono invano di calmarlo, oramai Ceccardo era partito (anni prima l’avrebbe senz’altro sfidato a duello). “Sembrava un toro al quale avessero messo davanti un drappo rosso; e quel drappo rosso era Marinetti”. (C.O. Guglielmini, Ceccardo e il chiaro di luna, nel suo volume, Volto di Genova perduta, Casa Editrice. Liguria, Genova 1951). (Ceccardo conosceva bene Marinetti; scrisse anche nella rivista “Poesie”, da lui fondata).

Tommasi Marinetti, nacque nel 1876, anche lui come Ungaretti e Pea ad Alessandria d’Egitto, si laureò a Genova a fine secolo e nel 1909, in Francia, scrisse su “Le Figaro”, il suo “Manifesto del futurismo”, che annunciava una nuova corrente di pensiero (da leggere attentamente):

La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno... - distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e cantare le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa; glorificare la guerra — sola igiene del mondo —, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore del libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna sottomessa e timorata”

Per un uomo che viveva di sogni romantici come il nostro Ceccardo questo era troppo; ed è risaputo, oramai, che il nostro non si faceva mettere sotto da nessuno. Che fosse con d’Annunzio o con il Duce, che incontrò, la parola era sempre la sua, guai a contraddirlo. Non per niente fece tre duelli e subì una decina di processi.

P.S. Proprio in quell’anno, furono questi amici che curarono le sue esequie.

Una bella Poesia di Camillo Sbarbaro:

 

Ora che sei venuta

 

Ora che sei venuta,

che sei entrata con passo di danza
nella mia vita

quasi folata in una stanza chiusa -

a festeggiarti, bene tanto atteso,

le parole mi mancano e la voce,

e tacerti vicino già mi basta.

Il pigolio così che assorda il bosco

al nascere dell’alba, ammutolisce

quando sull’orizzonte balza il sole.

Ma te la mia inquietudine cercava
quando ragazzo

nella notte d’estate mi facevo

alla finestra come soffocato:

che non sapevo, m’affannava il cuore.

E tutte tue sono le parole

che,  come l’acqua all’orto che trabocca,

alla bocca venivano da sole,

l’ore deserte, quando s’avanzavan

puerilmente le mie labbra d’uomo

da sé, per desiderio di baciare…

 

In questa poesia, l’intesa d’amore è finalmente raggiunta; i turbamenti e le ansie della giovinezza si placano. Il tono pacato, privo di ruvidezze  testimonia del raggiunto equilibrio esistenziale dell’uomo.

  Dal Diario di un pellegrino
di Gualtiero Sollazzi


                              COME LE  RONDINI

Convegni ecclesiali a raffica in questo periodo. Una benedizione e un pericolo. Il pericolo è che rimangano solo le parole.
La benedizione: che siano seminagione piena. La riuscita di questi eventi è legata a diversi fattori: preghiera, preparazione, coinvolgimento delle realtà pastorali. Anche il tema ha da essere bruciante, per avviare rivoluzioni di amore. Papa Francesco è stato chiaro, aprendo il Convegno della diocesi di Roma: “Un cristiano se non è rivoluzionario, non è cristiano.” Tali riunioni dovrebbero essere un mettersi insieme per ascoltare “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” ( Apocalisse 2, 1-7 ) con confronti a più voci nella libertà dei figli di Dio. Le comunità parrocchiali ne raccoglieranno i “semi”, verificando poi i cammini compiuti. Così i Convegni daranno frutto. La Pira diceva: “I giovani sono come le rondini, vanno verso la primavera.” Allargando l’immagine, sarebbe bello pensare a cristiani arricchiti dal fuoco di questi incontri, che si impegnano a rendere la Chiesa il più vicina possibile al Vangelo: “leggera, danzante, povera, libera, sorridente, coraggiosa, sottomessa solo a Gesù.” ( card. Martini ) Ne annuncerebbero la primavera. Come le rondini.

 

                                      DIO LO VUOLE!

Espressione pericolosa perché taglia, si direbbe, la testa al toro su tutti i fronti. Pensiamo, salva la buona fede, quanto danno ha fatto nelle famose “crociate” con risultati disastrosi, fra l’altro come per la “Crociata dei pezzenti” predicata da Pietro l’eremita.
Quante ingiustizie e lacrime con quel “ Dio lo vuole!” Nessuno si è chiesto come fai a dirlo? Quando Lui t’ha parlato? Davvero ha stabilito che ci fosse anche una “Crociata dei bambini” che finì tragicamente? Quando il fanatismo diventa istigazione, specie se vengono fuori motivazioni religiosamente devianti, si sa dove si va a finire.

  I LUMACHELI DEL MESE DI MAGGIO
di Marta



Maggio è il mese che fa crescere rapidamente il fieno: il sole caldo e gli acquazzoni improvvisi ne favoriscono la crescita. Segue ovviamente la segagione. Nella Tenuta di Marinella in questo periodo non si vedeva la fine dei lunghi filari di fieno tagliato. Noi ragazzette, alzate la mattina molto presto e munite di un secchio o due, per quelle più svelte, attaccati alla bicicletta, andavamo in quei prati tosati a raccogliere i lumacheli ( simili alle lumache, ma più piccoli e di colore diverso, sul verde).
Quando accadeva ciò che sto raccontando?
Subito dopo la guerra, quando la miseria spingeva ad ingegnarsi.
Tutte le famiglie li raccoglievano, per poi , prepararli  in umido e mangiarli con la polenta. Era ritenuto un cibo prelibato e, soprattutto, non costava nulla; così come la pesca dei ranocchi e delle anguille lungo i fossi.  Ancora oggi, specialmente ranocchi e anguille, sono la specialità di alcune trattorie di campagna.
Ciascuna di noi si posizionava in una o due filari di fieno tagliato e, chine per ore, raccoglievamo uno per uno questi lumacheli.
Si scherzava e ci si divertiva, specie quando la fortunata di turno trovava il posto migliore, dove erano più copiosi. Ovviamente più se ne raccoglieva, prima si riempiva il secchio. Per evitare che tentassero di riacquistare la libertà arrampicandosi sulle pareti del secchio, usavamo un canovaccio come coperchio. Tra noi c’era tanta solidarietà. Per esempio, io, la più piccola della squadra, rimanevo sempre indietro e con meno raccolto, ma le amiche, che avevano i secchi pieni, raccoglievano anche per me.
Al ritorno in bicicletta mi aspettavano, perché, sempre io, ero la più lenta. Ricordo con gioia quel periodo spensierato della giovinezza: sebbene avessimo veramente poco, sapevamo trovare il modo di essere allegre. Non ci faceva fatica alzarci prestissimo la mattina, perché i lumacheli escono per nutrirsi prima del sorgere del sole, dopo, con il caldo si rintanano al fresco, talvolta, anche sotto terra.
Terminata la raccolta mattiniera, andavamo nella vicina Carrara a venderli. Nessuno come i carraresi erano e sono ghiotti di questi animaletti. Passavamo casa per casa: un piatto pieno di lumacheli costava poche lire, ma allora la lira aveva valore. Anche in questa operazione di vendita le ragazze più grandi ed esperte, mi aspettavano e mi insegnavano come fare a gestire i soldini raccolti.
Ricordo che entrando in una via o in una piazzetta con le nostre biciclette, suonavamo i campanelli per richiamare l’attenzione.
A volte non era neppure necessario, perché le signore erano ad aspettarci. Così in poco tempo finivamo la vendita: chi ne voleva un piatto per due persone e chi ne prendeva 3 o 5 piatti per la famiglia numerosa.
Spesso ne tenevamo una parte per la nostra famiglia e,  allora, iniziava un altro lavoro, perché le povere bestiole andavano messe a “spurgare” sotto un bigoncio di legno o un vaso di fiori vuoto e rovesciato con il “buchetto” del fondo aperto per farle respirare; infine si aggiungeva una manciata di farina di granoturco per alimentarli. Venivano tenuti per una settimana in un luogo fresco controllandoli spesso. Poi, si lavavano ben bene più volte per togliere la secrezione bavosa, quindi si sbollentavano per qualche minuto e si risciacquavano ancora in acqua corrente. A questo punto come si cucinavano?  In un capiente tegame si preparava il soffritto con un trito di cipolla, prezzemolo, aglio e lardo di Colonnata. Quando il tutto era imbiondito si sfumava con un mezzo bicchiere di vino bianco e si aggiungeva la passata di pomodoro.
Allora avevamo i sapori delle conserve fatte in casa. Con il sale e il pepe, insieme ad un mazzetto di mentuccia o di maggiorana, si era completato il sughetto che accoglieva i lumacheli per una cottura molto lenta, almeno un’ora. A parte c’era da preparare la polenta che richiedeva dai 35 ai 40 minuti di fatica a girarla con attenzione per evitare i grumi.  La famiglia si riuniva davanti a questo piatto e a un “toffo di polenta” in mezzo alla tavola. Il profumo stuzzicava le narici e qualcuno si muniva di uno stecchino per tirare fuori il lumachelo dalla sua casa. Si iniziava sempre ringraziando il Signore per questo povero cibo che riempiva la pancia con soddisfazione per tutti.
Questo è un ricordo di vita vissuta e della passata gioventù, quando bastava poco per essere sereni. Oggi con tutti i diserbanti i lumacheli sono spariti; restano, con la riserva di trovarle in luoghi non inquinati da pesticidi, le lumache, anche loro commestibili e cucinate con la stessa procedura, ma sono più dure e meno  saporite.  

  Tre nuovi sacerdoti
di Mila


Chissà se faranno festa in Cielo quando qui sulla terra vengono ordinati dei nuovi sacerdoti? Penso di sì! Sarà festa e festa grande, grandissima!!! Una bellissima Messa Solenne alla presenza di Maria Santissima, con tutti gli Angeli e i Santi e tutti coloro che già si trovano nel Regno dei Cieli. Officiata da Lui, da Gesù: Sommo Sacerdote. Un pochino più in disparte, ma solo per rispetto, il Padre e lo Spirito Santo. Basta! Non vado oltre con le mie fantasie, ho paura di rendermi ridicola, ci sarà qualcuno che penserà: “Eh, è l’età!” Ma stavo proprio pensando a questo due domeniche fa, in cattedrale, mentre assistevo alla Sacra Ordinazione Sacerdotale di don Alessio, don Emilio e don Stefano, tre nuovi sacerdoti. Ci sono andata molto volentieri per varie ragioni: per esprimere il mio affetto ai tre giovani che già avevo avuto occasione di conoscere personalmente, per solidarietà alla scelta coraggiosa fatta, una scelta di vita non certo facile e decisamente faticosa, checché ne pensino alcuni. Per fare numero, perché credo che specialmente in questo periodo storico ci sia bisogno di dimostrare che ci siamo e che siamo convinti di quello che siamo. Per ritrovarmi con gli amici delle altre parrocchie in un giorno di gioia e di fede, ed in fine perché mi piacciono le “Messe alla grande”: Il latino, tanti Sacerdoti con i loro camici bianchi, le Suore, le Congregazione Religiose con le loro divise e i loro gagliardetti, ormai stinti e invecchiati ma che, proprio per questo, per quel loro essere antichi, ci ricordano che da secoli la Santa Chiesa di Dio cammina nel mondo. Ecco! Non hanno cantato quel bellissimo inno che mi piace tanto…Santa Chiesa di Dio che cammini nel mondo, il Signore ti guida ed è sempre con Te, per le strade del mondo verso l’Eternità …” e continuo a sognare e mi commuovo così, da sola, davanti al monitor di un computer, mentre sto cercando di descrivere l’emozione provata in quei momenti. Ripenso anche all’omelia del nostro Vescovo che ha detto, più o meno, … Io sono qui, forse non sono niente di eccezionale, forse vi aspettavate di più, ma sono quello che avete, quello che Dio vi ha dato, e dobbiamo andare avanti cercando di aiutarci, confidando nel Suo Amore per il bene della nostra Chiesa. Penso non si riferisse soltanto a sé stesso, almeno io l’ho capita così. Cerchiamo di voler bene ai nostri sacerdoti, aiutiamoli, frequentiamo la nostra chiesa ed andiamo avanti senza tanti se e senza tanti ma, cercando di fare la volontà di Dio anche se non è facile e a volte abbiamo tanta voglia di ribellarci.
Purtroppo le vocazioni alla vita religiosa sono sempre più scarse.
Gli attacchi alla Chiesa sempre più agguerriti, a volte forse anche a ragione, bisogna trovare un rimedio, noi ne abbiamo uno alla portata di tutti, LA PREGHIERA. Sfruttiamolo. Ieri sera il nostro parroco, don Alessandro, durante la Messa feriale del venerdì ci ha fatto recitare una preghiera proprio per le vocazioni sacerdotali e ci ha raccomandato, se possibile, di partecipare alle “Adorazioni” mensili nelle varie parrocchie. Preghiamo perché il Padrone della Messe mandi operai per la sua Messe e lo faccia al più presto perché ne abbiamo tanto ma tanto bisogno.


  SAPER AMARE
di Missionari laici volontari



 Le persone che sanno amare, sono quelle che rendono bello il mondo, non sono gli scienziati o gli economisti o i politici, le persone che contano di più; le persone più importanti della terra sono le persone profondamente buone. Perché sono loro che sanno dare alla gente, quello di cui la gente ha più bisogno: La bontà. Chi porta bontà comunica pace, sicurezza, forza, perché comunica Dio.
Abbiamo bisogno di tante cose: di salute, di pane, di lavoro, di tranquillità e di pace, ma più di tutto di bontà, di gente che alzi il livello di bontà sulla terra, che trasmetta amore, perché abbiamo bisogno di Dio, coi soldi si dice, si fa tutto. Non è vero; le cose più importanti non si comprano con i soldi, invece è vero che con l’amore si ottiene tutto, anche i cuori di pietra non resistono.
Davanti ad una persona profondamente buona, capace di amare perché l’amore è la potenza di Dio sulla terra, abbiamo bisogno di gente che insegni ad amare. Non ci vogliono lauree per insegnare ad amare, basta amare. Anche l’analfabeta può essere maestro e può insegnare. Se abbiamo gente che sa amare abbiamo maestri di bontà, che incremento sulla terra l’amore, persone che rendono sensibile e visibile la presenza di Dio sulla terra.
Amare è calarsi nei problemi degli altri, è sacrificare il proprio tempo, è aiutare le persone fino in fondo come sa fare Dio con ciascuno di noi; amare è comprendere, amare è perdonare, amare è cambiare il male con il bene, amare è dare affetto, attenzione, forza a chi non ne ha.
Amare è dare senza attendere ricambio, come sa fare Dio con noi senza stancarsi mai; quando si è paziente mentre tutti perderebbero la pazienza, quando ti controlli davanti ad un pensiero negativo, quando fermi una parola di condanna che sembrerebbe a tutti legittima stai diventando esperto in amore.
Amare è fermarsi davanti ad ogni pena senza passare oltre, è trovare il tempo per una persona che soffre mentre manca il tempo per te e per le tue cose. Amare è rendere presente Dio in mezzo alla gente. Quando tu ami anche se non te ne accorgi, il volto di Cristo si illumina in te, la luce di Cristo brilla nei tuoi occhi, il sorriso di Cristo passa sulle tue labbra.
Signore moltiplica sulla terra le persone capaci di amare perché gli uomini hanno troppo bisogno di te.


<-Indietro
 I nostri poeti
 Storie dei lettori
 Spiritualità
 I nostri ragazzi
 La redazione
 Galleria Foto
 E Mail
Lunae Photo
Archivio
2022
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2021
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Settembre-Ottobre
n°6 Giugno/Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2020
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°6 Settembre-Ottobre
n°5 Giugno
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2019
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2018
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Settembre
n°7 Luglio-Agosto
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2017
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Settembre
n°7 Luglio-Agosto
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2016
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Agosto-Settembre
n°7 Luglio
n°6 giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2015
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Agosto-Settembre
n°7 Luglio
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2014
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2013
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2012
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2011
n°11 Dicembre
n°10 Numero speciale
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2010
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2009
n°11 Edizione speciale
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
 
     
 Copyright 2009 © - Il Sentiero. Bollettino Interparrocchiale di Ortonovo (SP) Crediti