N° 9 - Ottobre 2017
Storie dei lettori
  LE GRAFFIATURE (da Il Sentiero del 25 gennaio 1995)
di Antonio Ratti


       

                       C H E      S U C C E D E ?  Niente di grave. Il mondo si sta ribaltando: siamo già a buon punto. Siccome è tondo non ce ne accorgiamo. Comunque, sarà un’operazione indolore di alta tecnologia genetico – mentale. Così fra un po’ staremo in piedi con la testa in giù. Nessuna preoccupazione: è tutto sotto il controllo della super - oligarchia dei Media. Anche la base collabora attivamente al progetto accogliendo le opportunità che il malessere da troppo benessere offre quotidianamente. A Pisa i gabinetti dell’ aerostazione sono scambiati per una sala parto; a Venezia un nido d’infanzia è costretto a far da padre e da madre: Elisa, uscita dal congelatore di embrioni in ricordo della mamma morta, non sa chi potrà chiamare papà, perché disconosciuta; gli ostetrici autoproclamatisi scienziati, non si accontentano più di nonne – madri, sfrenati nell’umiliare l’etica naturale in nome della gloria ( e dei soldi che non fanno mai male ) creano assurdi naturali ( anche ermafroditi ), rompicapi legali e creature ad alto rischio psicologico. Un tempo c’erano gli affittacamere, oggi ci sono le affitta-utero per coppie anomale.  Storie troppo frequenti per liquidarle come eccezioni. Storie agli antipodi tra loro – la vita ad ogni costo od il suo rifiuto totale (aborto o cassonetto) – eppure cementate da un unico filo conduttore: soddisfare le proprie voglie, che si fanno diritti legittimati da leggi discutibili come chi le ha votate, in barba alle regole della natura.  Ricordo nell’orto di nonna Clelia le chiassose covate primaverili. Poi arrivò il progresso: le chiocce divennero odiose galline con scarsa voglia di far uova, da tenere al buio, legate, bagnate, senza cibo e per bevanda un liquido ottenuto dalla salamoia delle sardine. Comprarli era più comodo, ma quei pulcini mi sembravano diversi, mentre imparavano da soli a beccare. Ora mi è chiaro: erano tristi ed insicuri, già orfani prima di nascere. E lo avvertivano.  Le cose camminano talmente in fretta che, in pochi decenni, i pulcini spauriti ed incerti sono innocenti creature colpite dal perverso meccanismo dell’io egoista, del tornaconto e dell’ambizione.  Sarà una bestemmia all’orecchio del filosofo, ma l’io pensante, come espressione più alta delle libertà e delle capacità umane, ha fallito miseramente; ha scatenato una feroce guerra con lo scopo dichiarato di spezzare ogni legame con il ciclo biologico dell’universo di cui, volenti o nolenti, l’uomo è parte integrante.  Secondo questa logica: cos’è la maternità? Una provetta ed un’agenzia affitta – uteri. E la paternità?  La voglia di peccati solitari.  Paure, trepidazioni dell’attesa, stupore per la vita che nasce, addio. La tecnologia ha vinto. Ha divelto ogni punto di riferimento: sentimenti, famiglia, rapporti interpersonali, ideali, fede. Tutto per un’esistenza più comoda che è cosa diversa da felice. Si dice che bisogna riscrivere le regole. Ma sulla base di che? Con quali obiettivi in cui universalmente riconoscersi? Con un po’ di sano egoismo (quello che una volta si chiamava “amor proprio”), perché non ricordare il ritorno del figliuol prodigo? L’ io del mondo potrebbe far festa. Magari con i polli più grassi delle chiocce, tornate a fare il loro mestiere, di nonna Clelia.


  DE IGNORANTIA --- INTERROGATIVO CAPITALE
di Gualtiero Sollazzi



 

  DE IGNORANTIA

De sui ipsius et multorum ignorantia” (Della mia ignoranza e quella di molti altri ) è un libretto filosofico del Petrarca. Da rileggere oggi, tempo di tuttologi ignoranti che straparlano. Un buontempone vedendo una persona davvero brutta, esclamò: “S’intende esser brutti, ma questa se ne approfitta!” Una battuta che calzerebbe perfettamente per tanti incolti che pontificano impunemente. E poi, la gente che confonde Vaticano con la Chiesa italiana, che a certi quiz sulla religione risponde con strafalcioni e si fida più degli oroscopi che della Parola. D’altra parte, anche qualche prete non ha ricordato ( preso alla sprovvista? Amnesia? ) l’elenco dei ‘Comandamenti’ richiesti da quei volponi delle ‘Jene’. Capita. Papa Benedetto si è lamentato di quanto l’ignoranza danneggi la Chiesa.  C’è, da tempo, una proposta ecclesiale seria: “Il progetto culturale.” E’ stato pensato per dire la fede in modo credibile e per formare a una visione cristiana del mondo. Onestamente, a chi interessa? La cultura sembra un optional, mentre è, semplicemente, un dovere. Un santo, Josemaria Escrivà, insegna sul ‘Cammino n° 35’: “Un’ora di studio, per un apostolo moderno, è un’ora di orazione.”

 

INTERROGATIVO CAPITALE

“Quando tornerò, ci sarà ancora fede sulla terra?” Una domanda mozzafiato, quella di Gesù, gravida di tristezza, e che coinvolge ogni suo discepolo. Ignazio Silone si definiva “cristiano senza Chiesa”. Oggi tanti cristiani sono accusati, a torto o a ragione, di praticare “una religione senza fede”. Il papa Benedetto XVI° indisse, non a caso, un “Anno della fede” per ripartire dai ‘fondamentali’. Suggestiva l’immagine che aprì il documento relativo: “Porta fidei”. Sarà la fede che aprirà una porta: quella che fa affacciare sul mistero della vita trinitaria. Don Borghetti, un prete apuano divenuto vescovo, si augura che al centro della nostra esistenza sia messa la “Confessio Trinitatis” per dare carattere alla vita cristiana. Del resto, papa Giovanni con quale intenzione indisse il Concilio? Eccola. “Professare in faccia al mondo la nostra fede.” E fu commovente vedere il vecchio papa all’apertura solenne di quel grande evento, mettersi in ginocchio in faccia all’assemblea e dire con umile fede: “Ego, Ioannes, Ecclesiae catholicae episcopus, credo in Unum Deum, Patrem Onnipotentem.” (Io, Giovanni, Vescovo della Chiesa Cattolica, credo in un solo Dio, Padre onnipotente…)


  Grazie Don Carlo
di La comunità di Luni mare



Caro don Carlo,

questa comunità oggi si è riunita attorno a te per ringraziare il Signore per questo periodo che sei rimasto con noi.
Ci hai dato sicurezza con la tua parola, ci hai dato energia con i consigli e le tue risposte sempre pronte.
Sei un uomo semplice e umile ma ricco di passione e in grado di trasmettere valori e buoni consigli.
Per tutte queste qualità e per il tuo impegno, ti ringraziamo di cuore e ringraziamo Dio per averti conosciuto ed apprezzato.
Siamo costretti a salutare nuovamente e dopo non molto tempo, il nostro parroco, cosa che ci rattrista profondamente, sia per il breve tempo in cui sei rimasto con noi, ma soprattutto per l’unione che si è creata tra te e questa comunità.
Sei stato anche un amico per molti di noi. Un amico vero quello che vuole il tuo bene, la tua salvezza.
Per tutti questi motivi, ti porteremo sempre nei nostri cuori e pregando Dio che questo sia solo un arrivederci, ti accompagneremo con la nostra preghiera e con tutto il nostro affetto.



  BENVENUTO, DON ALESSANDRO !
di La Comunità di Luni Mare



 

Eccellenza Reverendissima, caro don Alessandro, la comunità parrocchiale di San Pietro Apostolo vive quest'oggi un momento di grazia nell'accogliere il suo nuovo parroco.
Nelle passate settimane abbiamo letto con attenzione la lettera che Vostra Eccellenza ha inviato ai parroci della vallata affinché ce la trasmettessero.

Vogliamo vivere questo momento proprio nello spirito che Ella ci ha indicato, certi come siamo che attraverso il Suo Magistero passa la volontà del Signore Gesù.

Caro don Alessandro, da oggi sarà alla guida della nostra comunità. Questo compito impegnativo lo sosterrà oltre che con la grazia del Suo ministero, con l'aiuto di noi tutti, che ci impegniamo fin da subito a collaborare con Lei, per crescere insieme nel cammino di fede; quel cammino che può essere proficuo solo se guidato da un pastore che, ad immagine del Pastore Supremo, sa prendersi cura del proprio gregge.

Eccellenza Reverendissima, nella Sua lettera abbiamo colto la difficoltà che la nostra Diocesi vive a causa dell'esiguo numero di sacerdoti. Le Sue parole ci sono da sprone per intensificare la nostra fiduciosa preghiera, affinché il Padrone della messe mandi nuovi pastori secondo il Suo cuore: a nessuna comunità parrocchiale manchi mai la presenza di un sacerdote che la sappia amare e guidare!

Vogliamo quest'oggi dire un grazie speciale al Signore per il dono che in questi anni ci ha fatto nella persona di don Carlo. Con lui abbiamo fatto un percorso di fede che resterà indelebile e che oggi affidiamo, in spirito di continuità, a don Alessandro. Grazie a Monsignor Vescovo per aver tenuto conto di questo legame e per aver lasciato sul territorio i parroci interessati da questi spostamenti.

Eccellenza Reverendissima, caro don Alessandro, questi pochi pensieri li portiamo adesso all'altare del Signore: a Lui rendiamo grazie, a Lui chiediamo di diventare ogni giorno cristiani migliori e più maturi.

  

  La Sacra Sindone
di Romano Parodi




         La Sindone è sempre stata la mia passione. Lì c’è la più meravigliosa e affascinante storia dell’umanità. Le dicerie che volevano datarla al medioevo, mi hanno fatto “’nt’s’ghira”. Oggi, dal Cnr di Trieste, dalla Francia e dall’America, arriva la conferma: quell’uomo, lo dice la nuova analisi sul siero (non il sangue) causato dalle torture, è dell’epoca di Gesù, altro che medioevo (M. Riani), altro che un dipinto, quello è siero umano dopo una tortura. Le nuove scoperte sono state pubblicate sulla rivista “Applied Spectroscopy”, e su tutti i giornali scientifici del mondo e su molti giornali e periodici (da La Stampa alla Nazione ecc. a Gente).
Ma io affermavo nei miei precedenti articoli (questo è il terzo) che la prova certa che l’impronta sulla Sindone sia quella di Cristo, è data dalle monetine con il volto della Sindone e dalle icone (con il volto della Sindone) che si sono succeduti dal VI secolo, per tutto il primo millennio. In una monetina bizantina del 700, oltre all’effige di Gesù uguale a quella della Sindone, c’è anche una malformazione di Gesù, dovuta alla crocifissione, e cioè la posizione innaturale del piede destro, chiaramente copiata dalla Sindone. In essa si vede il piede ds più piccolo del sn, e in posizione innaturale. (Si diceva che Gesù fosse claudicante, proprio per questo piede). Nella seconda parte del primo millennio la Sindone è stata adorata più di oggi. I grandi re e imperatori l’avevano presa a loro simbolo anche nelle monete, e prima che i Templari la portassero in Europa, ha girovagato per tutto il medio oriente, soprattutto in Turchia. E proprio le monetine bizantine son la prova regina che quel volto esisteva molto prima del medioevo.
B. Barberis nel suo libro: “L’uomo della Sindone e il calcolo delle probabilità” scrive che c’è solo una probabilità contro 225 miliardi che l’uomo della Sindone non sia Gesù di Nazaret. Ma lasciamo stare tutto, anche i tanti pollini trovati (50) provenienti senza ombra di dubbio dalla Palestina, che meriterebbero un articolo a parte. Oggi vi ri-parlo delle monetine sugli occhi di Gesù.
Nel 1931 l’americano Filas nell’osservare una foto, scopre questi quattro caratteri alfabetici all’interno dell’orbita destra: UCAI; ma non solo, vi percepisce chiaramente anche l’immagine di un bastone ricurvo. Le lettere e il bastone si trovano effettivamente su di una piccola moneta di bronzo coniata da Ponzio Pilato, moneta che ha questa scritta:
TIBERIOUKAICAPOC (la C al posto della K  è un errore veniale: ce ne sono sia con la k che con la c, specie nelle periferie dell’impero, come, appunto, la Galilea), e significa Tiberio Cesare. Sulla faccia di questa monetina, non visibile sulla Sindone, c’è inciso anche LIS, che significa anno sedicesimo del regno di Tiberio. Tiberio è diventato imperatore nell’anno 14. Quindi è stata coniata, 14 + 16, nell’anno 30 dell’era cristiana. Filas muore senza essere mai stato preso in seria considerazione, e senza mai sapere che i suoi studi sarebbero poi stati confermati da più approfondite ricerche.

Nel 1996, 65 anni dopo, Balossino e Bollone si accorgono che anche a sinistra, seppur leggermente sopra l’orbita (forse si è spostata nel porre il lenzuolo), c’è impresso qualcosa. Trattasi di un’altra monetina, sempre di Ponzio Pilato e, anche questa, reca la scritta: TIBERIOUKAICAPOC; ma questa volta, a differenza che nell’altra, s’intravede anche LIS, che significa, appunto, anno sedicesimo: L=anno, I=10, S=6 + (14, data dall’incoronazione di Tiberio) fanno 30 d.C. Gesù, secondo gli storici, fu crocifisso il 7 aprile del 30.
In conclusione, la indiscutibile presenza di due monetine di Ponzio Pilato, del 30 d.C. sul volto del cadavere che fu avvolto nella Sindone, prova, senza ombra di dubbio, l’epoca della morte di quell’uomo. Nessun falsario medievale avrebbe mai potuto, non solo possedere, ma nemmeno conoscere l’esistenza di queste monetine, identificate dagli studi numismatici, soltanto nel secolo scorso.
“Oramai non ci sono più dubbi”, dice il prof. Giulio Fanti docente di Misure meccaniche e termiche dell’Università di Padova..”La scienza però si ferma di fronte al fatto che l’immagine corporea non è spiegabile né riproducibile. Malgrado i numerosi tentativi, non sappiamo ancora come si sia potuta formare. Potrebbe essersi formata da una esplosione di energia estremamente breve e intensa, proveniente dall’interno del cadavere. Potremo anche pensare fosse la Rissurrezione”.

(A Hiroshima, dopo l’esplosione della bomba atomica, notarono sui muri, l’immagine di uomini, volatilizzati dall’immenso calore).

 

Vide e credette

          
Giovanni, entrato con Pietro nel sepolcro, scrive (20, 3-8):
entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a partevide e credette ”.
Un’espressione sintetica, lapidaria, un’espressione che segna un momento solenne. E’ in quel preciso istante che nasce la fede e il cristianesimo. Giovanni conosce le scritture, “doveva resuscitare dai morti”, e quello che vede glielo conferma. Ma cosa vedono?

I Vangeli sono scritti in un greco antico, e questa sopra riportata è la forma conosciuta; ma perché, a differenza di Pietro, che davanti a quel che vede resta perplesso (blépei) (Lc e Gv) ), Giovanni vide e credette?       

Don Persili, scrive V. Messori, ossessionato da quel vide e credette, dopo una vita dedita allo studio del greco antico, così, invece, traduce tutta la frase: “..entrò nel sepolcro e contempla le fasce distese e il sudario che era sul capo di Lui, non disteso con le fasce, ma al contrario avvolto in una posizione unica” (strana). All’apparenza c’è poca differenza, ma in realtà cambia molto. Non vi sto spiegando perché la parola “greca” keìma, secondo don Persile, significa disteso, adagiato e non per terra, come si legge nel Vangelo.

Giovanni vede e crede, perché le fasce che avvolgevano il corpo di Gesù, ora erano distese e vuote ma intatte, non manomesse, non sfasciate. Il corpo di Gesù, quindi, era sparito senza uscire dalle fasce! Ma ancora più sorprendente, secondo don Persile, è la posizione del sudario. Esso non era disteso sulla pietra sepolcrale come le fasce, ma in posizione rialzata. Esso avvolgeva la testa di Gesù come un turbante arabo, ed era rimasto così anche quando la testa non c’era più, come se dentro ci fosse ancora. Era in una posizione così sorprendente che all’evangelista è necessario un intero versetto per descriverlo. I due vedono le fasce distese sulla pietra sepolcrale e sulla stessa pietra il sudario che, al contrario delle fasce (che sono colassate e distese), è in posizione sollevata, anche se non avvolge più nessuno. Quindi non piegato a parte”, come dicono i libri sacri,  ma al contrario (rispetto alle fasce)  avvolto, la traduzione esatta. Quindi Gesù era uscito dalle fasce senza che fossero state sfasciate.

Scomparso il corpo, le fasce che lo avvolgevano, più pesanti, si collassarono con la Sindone che esse coprivano sulla pietra, e assunsero quella posizione “distesa” che abbiamo visto, mentre il sudario per il capo, più leggero e più piccolo, inamidato dall’essicazione dei profumi liquidi di Giuseppe d’Arimatea, restò, “al contrario avvolto”. Che cosa è accaduto nel buio di quella tomba?

La Resurrezione risponde il cristiano.

      


  I TRASPORTI FATICOSI DI UN PASSATO NON LONTANO
di Millene Lazzoni Puglia



Il trasporto di merci si è molto evoluto e diversificato negli ultimi cinquant’anni, non soltanto quello internazionale e di grandi quantità, ma anche quello minore, sia in distanza che in quantità. E’ proprio di quest’ultimo che vorrei parlare. Mi offre lo spunto un aspetto particolare che non è meno importante di altri, cioè quello delle numerose donne che portavano sul capo pesanti carichi di merci varie, che andavano da quelle alimentari, alla legna, ai prodotti dei campi e degli orti.
Nei primi decenni del ‘900 erano tante le donne che da Caniparola e dintorni andavano a Sarzana al mattino presto con una pesante cesta sul capo piena di frutta e verdura  dell’orto per venderla nell’antico mercato ortofrutticolo di Piazza San Giorgio. Fra queste donne c’era anche mia madre Argentina, che aveva iniziato da bambina con la madre Assunta portando un piccolo cesto leggero contenente fiori di zucca o altri fiori. 

All’età di 14-15 anni cominciò ad andare da sola con carichi sempre maggiori fino ad arrivare anche a trenta Kg di peso. Il percorso era di circa 4 Km su una strada sterrata dove non mancavano i sassi e le buche, compreso il tratto della via Aurelia. A quel tempo pochi avevano le scarpe da lavoro, perciò si camminava spesso a piedi nudi, specialmente d’estate. Quando questi viaggi erano più frequenti, poiché le vendite al mercato iniziavano molto presto e le partenze avvenivano non dopo le quattro del mattino, il buio era un altro ostacolo. Così si rendeva necessario un “lume”: in pratica una lanterna ad olio da portare con una mano. Soltanto in città erano presenti i lampioni, anch’essi ad olio, con un addetto, che munito di una scaletta, passava a spegnerli al mattino per riaccenderli alla sera. Il percorso tra Caniparola e Sarzana prevedeva l’attraversamento del vecchio borgo di Sarzanello e questo rappresentava un problema psicologico non da poco specie per le più giovani, perché davanti alla chiesa il muro che costeggiava la strada era uno dei pochissimi punti dove posare il carico qualche minuto per rifiatare, ma al di là c’era il cimitero. Il mondo di allora ricco di pregiudizi e tabù legati all’aldilà era costellato di paure dettate da apparizioni immaginarie come i fantasmi. Come se non bastasse, poco più avanti c’era la discesa boscosa della “Castellana” e il ponte sul Canale lunense ancora in costruzione (dal 1881), perciò privo di acqua, che avrebbe dovuto irrigare la piana omonima.

Ovviamente per le donne che transitavano su quel ponte al buio era scontata una certa apprensione, perché era noto come quel canale vuoto fosse un rifugio per i “briganti” che vi nascondevano le loro refurtive. Comunque non erano solo queste le difficoltà per quelle donne che andavano a piedi verso Sarzana con il carico sul capo. Infatti c’era anche da attraversare, su un fatiscente e scivoloso ponticello di legno, un torrente che diventava pericoloso quando con le piogge si ingrossava. Quel torrente si chiama “Albachiara”: oggi non fa più paura perché da tempo un ponte normale unisce le due sponde che sono Liguria e Toscana. Per mia madre, che abitava a ovest del borgo antico, c’era ancora un altro torrentello, forse senza nome, che da tanti anni ha il suo ponte su via “Montecchio” che porta alla Colombiera. Questo ostacolo era solo per lei o quasi, poiché era a pochi metri dall’orto di famiglia e dalla casa-mulino dove abitava. A questo punto dei miei ricordi, mi sembra corretto fare una riflessione sulla donna e sul suo lungo e difficile percorso verso l’emancipazione, che, ufficialmente, iniziò nel 1947 con il diritto al voto. Il diritto al voto ha rappresentato il volano che ha aperto alla donna tutte le strade e resa costituzionalmente pari all’uomo
(almeno in teoria). Ancora nei primi anni ’50 tutto era rimasto quasi invariato, specie nelle campagne. Difatti tornando ai trasporti minori, tutto continuava come era stato per le donne d’inizio secolo. Sono a conoscenza di una piccola-grande donna che (come molte altre) non temeva la fatica e non era meno eroica delle madri già descritte. Lei non portava sul capo carichi di prodotti dell’orto, ma il latte di mucca appena munto, dentro contenitori di alluminio sistemati in una cesta, portata, ovviamente, sulla testa. Si chiamava Diva Moriconi, che nel 1955 sposò mio fratello Senzio; venendo a far parte della nostra famiglia portò in dote la sua saggezza e serenità. Diva abitava sulla prima collina di Fosdinovo (Paghezzana). Il latte, che proveniva dalle mucche dei contadini dei dintorni, doveva essere consegnato a domicilio ogni mattina in tempo per la colazione di una piccola parte di sarzanesi.
Non c’era solo il trasporto a piedi per diversi chilometri, ma la strada con buche e sassi rappresentava il rischio concreto di qualche rovinosa caduta.

Come si è capito, il faticoso lavoro era doppio, perché, oltre al trasporto, una volta arrivati in città, c’era da effettuare la consegna presso le famiglie che avevano pattuito l’acquisto quotidiano di un quantitativo prestabilito. E qui la fatica consisteva nello salire e scendere le scale di più piani in tanti caseggiati. Finalmente c’era il ritorno a casa con la strada, questa volta, in salita e una parte del carico ancora sulla testa, perché i contenitori avevano un peso anche se vuoti. Quelle donne di metà novecento avevano avuto l’ingegno d’inventarsi un lavoro molto pesante, ma che lasciava mezza giornata, il pomeriggio, libera, ma……..libera per lavorare nei campi. 

Per fortuna il progresso era alle porte e di lì a poco i contadini di Fosdinovo avrebbero portato il latte delle loro mucche al mattino presto sulla via provinciale dove passava chi, ancora una volta, si era inventato un lavoro: in questo caso era un uomo con un camioncino, il quale ritirava il latte per portarlo alle latterie che nel frattempo si stavano diffondendo. La storia del latte è cambiata velocemente, oggi lo si trova in ogni rivendita alimentare, in cartocci, con scadenza sempre più lunga e con provenienza sempre più misteriosa.  Ma questo è progresso? La risposta vorrebbe essere sì, perché in questo modo il latte può arrivare a tutti, ma, chi come me, ha avuto la fortuna di conoscere il sapore di quello di una volta, non può dimenticare la certezza che quello era veramente di una mucca, cioè biologico. Anche per la donna la storia è andata avanti veloce, tanto da augurarmi che per lei ci sia soltanto progresso vero e che non si perda nelle trappole del modernismo, all’apparenza stuzzicanti, che possono sviare le vere potenzialità che madre natura ha dato alla donna per creare, costruire all’insegna dell’amore.


  È arrivato don Alessandro!
di Mila



Quanto tempo è passato dalla prima volta che assistetti alla Santa Messa a Luni Mare? Credo fosse nel 1978. Entrai in uno stanzone dove adesso c’è il supermercato Conad. C’erano dentro dei cumuli di calcinacci, carriole, assi di legno, macchinario per l’edilizia etc. Era insomma il deposito della ditta edile che allora stava lavorando, in località San Pero, per completare la costruzione di un nuovo villaggio chiamato Luni Mare.
Un angolo dello stanzone era stato sgombrato e su di un altare improvvisato Don Angelo De Mattei celebrava la Santa Eucaristia. Don Angelo è stato il primo parroco di Luni Mare. A lui si deve la costruzione della chiesa che abbiamo e a lui si deve se questa nostra piccola e incompiuta chiesa è diventata parrocchia, la Parrocchia di San Pietro Apostolo in Luni Mare.
Dopo di lui quanti parroci si sono avvicendati in questa parrocchia? Il mitico DON, don Ludovico Capellini. Che bello è stato il periodo con don Capellini!
Certo era un uomo dal carattere non facile ma com’era “viva” la parrocchia allora!  Credo che non dimenticherò mai quel periodo.

Ed ecco arrivare don Filiberto Zagagnolo che era ed è tuttora parroco a Marinella.
Poi arrivò don Giovanni Tassano, nominato parroco di San Lazzaro e di Luni Mare. Don Giovanni era stato missionario in Africa e avviò la pratica delle adozioni a distanza, ancora adesso abbiamo un’adozione con la Pia Società San Paolo per aiutare i seminaristi in Africa. Ogni tanto invitava dei sacerdoti missionari che concelebravano la messa e una volta un sacerdote africano, don Marcello che risiedeva a Roma, fece commuovere tutta l’assemblea col raccontare il lavoro dei missionari in Africa. Con don Giovanni veniva anche un diacono di La Spezia, don Bruno Canese, che faceva a noi del gruppo parrocchiale delle belle catechesi. Purtroppo non durò a lungo soltanto due o tre anni. Dopo un breve periodo durante il quale fummo assistiti dal povero don Franco…… che era parroco a Castelnuovo e anche vicario foraneo, arrivò don Andrea Santini.
Don Andrea era appena stato ordinato sacerdote quando approdò nella parrocchia di San Pietro e vi rimase per circa dieci anni. Era amato e ben voluto da tutti e quando dovette lasciare per nuovi incarichi, tanta fu l‘amarezza e la delusione che quasi si arrivò ad un’aperta ribellione contro la Curia. Non ce ne fu bisogno solo perché lui ebbe l’accortezza di presentarci subito colui che sarebbe stato il suo sostituto, Don Roberto Poletti.

Con don Roberto abbiamo sognato grandi cose per la nostra chiesetta incompiuta e forse per questo ce l’hanno subito portato via.

Dopo un certo periodo durante il quale si sono susseguiti vari sacerdoti che venivano solamente a dir Messa alla domenica è arrivato don Carlo Cipollini.

Don Carlo è arrivato ed è rimasto quanto? Forse due anni e mezzo? Tutti contenti, tutti entusiasti ma non abbiamo fatto in tempo a riprenderci dal periodo che eravamo stati senza parroco che già lui non c’era più colpito dal morbo del trasferimento ad altra sede.

E adesso è arrivato don Alessandro Chiantaretto parroco della parrocchia di Santa Maria Maddalena A Castelnuovo.

Caro don Alessandro, io e mio marito non siamo venuti alla cerimonia dell’accoglienza, ci è molto dispiaciuto e le chiediamo scusa.

Avevamo un appuntamento a Roasio in Piemonte per una “rimpatriata”. Roasio è chiamato “Il paese con la valigia “perché quasi tutti i suoi abitanti sono o sono stati emigranti. Abbiamo conosciuto diverse di queste famiglie roasiane quando anche noi eravamo emigranti a Lagos in Nigeria. Con alcune di queste persone siamo rimasti in contatto anche dopo il rimpatrio.

Sono persone colle quali abbiamo pianto e gioito, aiutandoci a vicenda nelle difficoltà che incontravamo nel vivere in una nazione che non è certo delle più facili. Siamo rimasti amici e anche se lontani continuiamo a condividere i nostri sentimenti. Non me la sono sentita di perdere questa rimpatriata anche perché l’età non mi consente di rimandare più del tanto le occasioni che ancora mi si presentano nella vita.

Durante l’omelia di domenica scorsa Lei ha detto che desidera rimanere tanto tempo con noi, me lo auguro di cuore. Prego che il Buon Dio Le dia tutto l’aiuto necessario per mettere in opera le iniziative che vorrebbe realizzare per far rivivere questa parrocchia, in fin dei conti è la più giovane del nostro vicariato, e non si ha sempre un occhio di riguardo per i più piccoli?! Spero che anche in Cielo la pensino così e ci diano tutto il loro aiuto.


  CARO DON ANDREA
di Marta


 

Così, siamo giunti a una svolta. La vita di un sacerdote è una Missione Evangelica: portare la parola del Signore, a tutti i popoli della terra, oltre all’adempimento dei servizi liturgici, alla celebrazione della messa tutti i giorni e all’obbedienza verso il proprio vescovo. Qui noi parrocchiane di una certa età, ci sentiamo come madri di un figlio che si sposa e lascia la casa dei genitori per formare una nuova e particolare allargata famiglia. Da subito, si avverte la sua non presenza e il dialogo di tutti i giorni, ma, poi, ci accorgiamo di avere al nostro fianco un prete, un confessore, un figlio, un padre, un amico, un fratello.
Ricordo, quando giovane prete, hai preso possesso canonico della chiesa di Isola, S. Maria Ausiliatrice. Timido, ma nello stesso tempo con la sicurezza del tuo apostolato in mezzo a noi. Poi…Piano…Piano… mentre il tempo scorreva, hai saputo entrare nell’amicizia e nel cuore di tutti, specialmente dei più piccoli, coinvolgendoli, con amore, nello sport, come nella messa e nel catechismo.  Tanti fanciulli, che hai battezzato, cresciuto e dato loro la prima Comunione (alcuni sono sposati e per ragioni di lavoro non sono più residenti nel paese), portano nei loro cuori, un ricordo, uno spacco di vita trascorsa insieme con amorevole nostalgia, che nessuno mai potrà cancellare.
Nella tua grande modestia, con pazienza certosina, hai saputo avvicinare tanti campanili, ovvero tante parrocchie, così che i fedeli si sono ritrovati assieme nella preghiera, di una o altre parrocchie pur non essendo la propria.

Solo, qualche anno, addietro, questa cosa, era impensabile, tanto era radicato il campanilismo per il proprio paese.
Caro Don Andrea, ricordo che una volta mi raccontasti come un tempo, quando un giovane diventava prete e aspirava con gioia ad avere una parrocchia, sia in città che nei paeselli, doveva aspettare, talvolta, anche degli anni per possederne una, perché non c’era scarsità di sacerdoti e quindi non c’erano parrocchie in attesa del pastore.  Oggi i tempi sono così cambiati che ora te ne possono affidare 3 o 4.
Ed ecco l’impegno di tutti noi fedeli, di pregare il Signore che ci mandi tanti santi sacerdoti.
Caro Don Andrea, il nostro saluto non è un addio, ma soltanto un arrivederci visto i pochi chilometri che ci separano dalla tua nuova parrocchia “Madonna della Guardia” in Molicciara Castelnuovo. Come ho accennato innanzi, continueremo ad essere certamente uniti, almeno nei grandi avvenimenti delle nostre feste patronali e non. Che il Signore ci protegga tutti, ma specialmente Don Andrea, per la sua nuova missione.



Clicca sulla foto per ingrandirla
  I funghi (conoscerli per prevenire le intossicazioni)
di Augusto Gianfranchi



Di funghi si può anche morire oggi come in passato.
La conoscenza e l’applicazione di semplici consigli, consentirà il consumo “sicuro”, di un prelibato frutto della terra.
Primo utile consiglio se non si è super esperti, far verificare gratuitamente, la commestibilità dei funghi raccolti, presso il C.A.I. di Sarzana in via Landinelli il lunedì pomeriggio, da esperti ispettori micologi della nostra A.S.L..

Miti da sfatare,

non è vero che tutti funghi che crescono sugli alberi non sono tossici,

non è vero che sono buoni se sono stati mangiati da parassiti,

non è vero che diventano velenosi se cresciuti vicino a ferri arrugginiti,

non è sempre vero che sono velenosi i funghi che cambiano colore al taglio, non è vero che la velenosità dei funghi è data dall’aspetto.

Regole d’oro per non intossicarsi coi funghi. Non consumare funghi non controllati da un vero micologo, consumarne quantità moderate, non farli mangiare ai bambini, non ingerirli in gravidanza, consumarli in perfetto stato di conservazione, sbollentarli prima del congelamento e consumarli entro 6 mesi, non raccoglierli lungo le strade o vicino a centri industriali e terreni coltivati, non regalare i funghi raccolti se non controllati da un micologo, nei funghi sottolio si può sviluppare la tossina botulinica.
E’ importante una buona preparazione per la conservazione dei funghi freschi verificando che siano sicuramente commestibili (ce ne sono tantissime specie), sani e ben puliti.
Per avere i funghi secchi si deve pulirli accuratamente dai residui di terra, non lavarli, affettarli e farli essiccare al sole, con essiccatoio o altro) su un canovaccio pulito e conservarli in un luogo fresco e asciutto.

Per congelarli scegliere naturalmente quelli giovani e non troppo grandi.
Per conservarli nel freezer domestico è consigliabile sbollentarli prima della conservazione (escluso i porcini).

Per averli pronti sottolio si possono far bollire per circa venti minuti in una soluzione con2/3 di aceto e 1/3 di acqua (per evitare il rischio botulino), scolarli e farli asciugare prima di invasare con olio di oliva. Per concludere, senza spaventare nessuno citiamo alcune nozioni su cosa è il botulino. (meglio prevenire che combattere).
Il clostridium botulinum con le sue SPORE determina una sindrome nota come botulismo dovuta a una tossina che infierisce nel sistema neurologico.

Il botulismo alimentare è determinato da tossine prodotte dalle Spore presenti negli alimenti (nel nostro caso quelle dei funghi) conservati sottolio.
L’ambiente acido (PH < 4), l’aggiunta di salamoia, l’essicamento e la bollitura prolungata sono utili per prevenire “la germinazione” delle spore.

Le tossine (non eliminate) possono determinare paralisi muscolare (discendente) che può progredire fino all’insufficienza respiratoria grave.
I segni clinici compaiono a distanza di 24/48 ore (e a volte oltre 10 giorni) dall’ingestione di alimenti contaminati da spore; di solito più precoce è la comparsa dei sintomi, peggiore è la prognosi.

I sintomi iniziali di tipo gastroenterico, a volte sfumati, sono accompagnati da secchezza delle fauci, stanchezza, affaticamento e vertigini, successivamente possono comparire alterazioni della vista /diplopia), difficoltà alla deglutizione (disfagia) e ad articolare le parole (disartria).
Nei rari o rarissimi casi che si possono verificare ci sono i centri antiveleni quali punti” essenziali” di riferimento da chiamare immediatamente prima di rivolgersi agli operatori sanitari (medici e farmacisti che possono essere di aiuto successivamente). Presso la sede di Brescia dell’istituto zooprofilattico sperimentale è attivo un servizio di reperibilità 24 ore su 24 per la diagnosi del botulismo nell’uomo e per la ricerca di C.botulinum e relative tossine negli alimenti tel. 030 22901 – www.izsler.it - oppure Istituto superiore di sanità- tel. 06 49901.

Andare per funghi è per molti un piacevole hobby che permette di aiutare il benessere fisico, un meraviglioso incontro con la natura più vera e la possibilità di gustare questi prelibati frutti del bosco.
Ovviamente è necessario rispettare le regole a cui ho fatto cenno, documentarsi e farsi consigliare.




Clicca sulla foto per ingrandirla
  L’ingresso di Don Andrea
di Enzo Mazzini



Grande partecipazione di fedeli nella Chiesa del Sacro Cuore di Molicciara in occasione di ingresso e di presa canonica del nuovo parroco, don Andrea Santini.
Il Vescovo, Sua Ecc. Rev.ma Mons. Luigi Ernesto Palletti, ed il nuovo parroco, don Andrea, vengono accolti nel piazzale antistante la Chiesa, dove ricevono l'abbraccio della comunità parrocchiale del S. Cuore che, tramite l'Avv. Stefania Violi rivolge un commovente saluto. Anche il Sindaco Montebello dà il benvenuto al nuovo parroco, a nome dell'Amministrazione Comunale, con l'augurio di un comune impegno per il bene di tutta la comunità.
A questo punto il Vescovo, il nuovo Parroco e gli altri celebranti si recano al portone (chiuso) della Chiesa ed il Vescovo ed il nuovo Parroco baciano il Crocifisso loro presentato. Quindi il Vescovo consegna le chiavi della Chiesa al nuovo Parroco, affermando: "Ecco le chiavi della casa di Dio, per il suo popolo qui riunito nel nome del S. Cuore di Gesù. Entra felicemente a prendere in essa il tuo posto per farvi le veci di padre. Tu la custodirai e ne curerai la bellezza come di una sposa per il suo sposo, affinché sia segno eloquente della dimora che il Signore ha nel Suo popolo". Poi il Vescovo, il nuovo Parroco e gli altri concelebranti entrano in Chiesa, mentre il coro intona un commovente canto e si accingono ad indossare i paramenti sacri e quindi si avviano per compiere la processione di ingresso.
Dopo che il coro ha eseguito il canto d'ingresso, il Vescovo annuncia: "Carissimi, la comunità parrocchiale del S. Cuore, riunita nel giorno del Signore, vive un momento di particolare gioia e solennità, perché riceve dal Vescovo il nuovo Parroco nella persona del presbitero don Andrea Santini. Nella successione e nella comunità del ministero si esprime l'indole pastorale della Chiesa, in cui Cristo vive ed opera per mezzo di coloro ai quali il Vescovo affida una porzione del suo gregge. Quindi il Vescovo fa leggere il Decreto di Nomina ed il popolo rende grazie a Dio, in segno di assenso ed il coro intona il canto di Gloria. Si dà poi seguito alla celebrazione di una solenne S. Messa ed i fedeli vengono rapiti da una bellissima omelia del Vescovo della quale riporto alcuni spunti.
Dopo aver sottolineato la potenza dello Spirito Santo, fa rilevare che la nostra vita è veramente trasformata nel progetto divino. Dobbiamo rinnovarci continuamente per affidarci a Dio perché ci trasformi e ci renda discepoli di Gesù e seguaci del Suo insegnamento: "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi". Dobbiamo quindi vivere in comunione gli uni con gli altri, dove trionfa un sentire comune, dando vita ad un momento nuovo.
Terminata l'omelia del Vescovo, il nuovo Parroco rinnova lodevolmente le promesse fatte nel giorno della sua Ordinazione ed il Vescovo lo interroga nel modo seguente: "Figlio carissimo, davanti al popolo affidato alle tue cure ti chiedo ora di rinnovare le promesse fatte nel giorno benedetto della tua ordinazione sacerdotale. Vuoi esercitare con perseveranza il tuo ministero sacerdotale come fedele cooperatore dell'ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo?"
Don Andrea: "Sì, lo voglio".
Quindi il Vescovo continua: "Vuoi adempiere degnamente e sapientemente il ministero della parola nella predicazione del Vangelo e nell'insegnamento della fede cattolica?"
Don Andrea: "Sì, lo voglio".
Ancora il Vescovo: "Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i sacramenti, secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio dell'Eucaristia e il ministero della Riconciliazione, a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano?"
Don Andrea: "Sì, lo voglio".
Quindi il Vescovo: "Vuoi implorare la divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore?"
Don Andrea: "Sì, lo voglio".
Ancora il Vescovo: "Vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo
Sommo Sacerdote, che si è offerto come vittima pura a Dio Padre per noi, consacrando te stesso insieme con Lui per la salvezza di tutti gli uomini?"
Don Andrea: "Sì, lo voglio".
Il Vescovo: "Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza?"
Don Andrea: "Sì, lo prometto".
Quindi il Vescovo: "Dio che ha iniziato in te la Sua opera, la porti a compimento".
Poi don Andrea, in piedi di fronte al Vescovo, recita il Credo e pronuncia il giuramento di fedeltà.
A questo punto il Vescovo accompagna il nuovo Parroco ai luoghi significativi per il suo ministero di pastore: al Tabernacolo, luogo in cui veneriamo la presenza reale del Signore; al Fonte Battesimale, luogo in cui i cristiani nascono alla Fede; al Confessionale, luogo in cui ci è dato riconciliarci con Dio, facendo esperienza della Sua infinita misericordia; infine al Campanile, il suono delle cui campane richiama i fedeli alla partecipazione delle sacre funzioni.
Al termine della S. Messa il Vescovo consegna al nuovo Parroco la Sede presidenziale ed eleva la seguente preghiera: "Il Signore ti conceda di presiedere e servire fedelmente, in comunione con il tuo Vescovo, questa famiglia parrocchiale, annunziando la Parola di Dio, celebrando i santi misteri e testimoniando la carità di Cristo".
Quindi il Vescovo invita il nuovo Parroco a sedere brevemente alla Sede e don Andrea, eseguito questo adempimento, Si alza e rivolge alla sua nuova comunità un commosso saluto che di seguito riporto: "Eccellenza reverendissima, a nome di tutti La saluto e La ringrazio, perché la Sua presenza è il segno che quello che avviene oggi rientra nella volontà del Signore e La ringrazio anche per avermi affidato la guida pastorale di questa nuova comunità parrocchiale di Molicciara. Ogni novità, come ogni cambiamento significativo, sia che riguardi le singole persone o una comunità, è sempre accompagnato da un sentimento di nostalgia: i ricordi di questi anni, le esperienze fatte, i momenti belli e quelli tristi e tante cose fatte insieme... ma anche un sentimento di speranza per quello che sarà, la novità, il futuro, quel sapersi aprire alle sorprese che il Signore ha in serbo per noi.
Oggi è un  giorno importante per questa comunità parrocchiale del Sacro Cuore ed è un giorno importante per me. Dopo diciassette anni precisi ritorno in questa comunità da parroco, dove ero stato curato per due anni! Questi anni sono stati importanti e fondamentali per me, perché ho avuto la gioia di guidare alcune comunità parrocchiali del Comune di Ortonovo, oggi Luni e quindi il mio pensiero, i miei ricordi e la mia gratitudine vanno ai parrocchiani di Nicola, Isola, Luni Mare e Caffaggiola dei quali, in tempi e periodi diversi, sono stato parroco.
A ciascuna comunità sono legato e sempre le ricorderò. Penso infatti alle numerose persone che ho incontrato attraverso il mio ministero, in questi anni: i tanti giovani, bambini, adulti, anziani e malati. Con loro ho condiviso dolori, gioie e speranze. Ricordo le tante persone con cui è nata una sincera amicizia, che sono certo continuerà. Un doveroso pensiero va ai miei parrocchiani defunti, alcuni anche giovani, che ho conosciuto e amato e con i quali ho percorso un tratto di strada terrena insieme e che dal cielo oggi ci guardano e partecipano a questa festa e che ricordo sempre nelle mie preghiere. Questa sera voglio ricordare anche don Franco Lombardi e il caro don Lodovico.
Ai collaboratori dico il mio grazie e chiedo scusa se non sempre sono stato all'altezza dei miei compiti. A loro va tutta la mia gratitudine e riconoscenza. Mi sono stati sempre vicini, anche nei momenti difficili, personali e familiari ed il loro ricordo mi riempie di nostalgia. Abbiamo imparato a volerci bene come una grande famiglia.
Oggi inizia per me un nuovo cammino, in questa parrocchia guidata saggiamente in questi ultimi ventisei anni da don Carlo Moracchioli che conosco, apprezzo e stimo. A lui va la mia gratitudine e riconoscenza e quella di tutta la comunità di Molicciara, comunità che ho potuto già conoscere in questi mesi ed apprezzare. Il continuare il mio ministero di sacerdote in una nuova parrocchia mi porta a pensare che è il Signore che opera e noi, poveri uomini, non possiamo fare altro che metterci nelle Sue mani.
Eccellenza, questa nomina, come Lei ha scritto nella lettera che ha voluto indirizzare ai fedeli delle nostre comunità del Vicariato di Luni, si è resa necessaria per una carenza di preti, non avendo sacerdoti da inserire nella nostra realtà e quindi ha fatto la scelta che ha ritenuto più opportuna e giusta.
Ma come Lei ha scritto, i rapporti personali di amicizia e collaborazione possono e devono continuare. Lei ci ricorda che siamo qui per servire Cristo e la Sua Chiesa e oggi, con questo spirito, inizio come parroco il mio ministero in questa comunità del Sacro Cuore ed al Sacro Cuore di nostro Signore voglio affidare queste persone, in modo particolare i giovani ai quali dobbiamo guardare con predilezione e speranza perché, come amava dire il Papa San Giovanni Paolo II, loro sono il futuro della Chiesa.
Saluto e ringrazio i miei confratelli sacerdoti e diaconi qui presenti e, in modo particolare, la mia gratitudine va al diacono Alfio che da diversi anni serve questa comunità ed a don Alessandro che in questo ultimo anno, insieme ad Alfio, mi hanno aiutato nella gestione della parrocchia e, con la loro presenza e la loro opera, hanno fatto sentire questa comunità un po’ meno orfana.
Ringrazio il Signor Sindaco per il saluto che ha portato a nome della cittadinanza, i vigili ed i carabinieri con i loro comandanti. Ringrazio Stefania per le belle parole di presentazione della parrocchia e di speranza che ci ha donato. Ringrazio il coro, i chierichetti e chi ha servito all'Altare.

Ringrazio i miei familiari ed amici e voi tutti, parrocchiani nuovi e vecchi ed a tutti chiedo di pregare per me. Maria, che qui voglio ricordare con i titoli Del Rosario, Ausiliatrice, Addolorata e della Guardia, guidi e protegga il cammino che oggi iniziamo insieme! Grazie”.

                                                                                    

  LETTERA A UNO ZIO “SPECIALE”
di Paola



Caro Piero, sono tante le parole che avremmo voluto dirti se ne avessimo avuto la possibilità. Tu per noi sei stato parte integrante della famiglia, un figlio per il babbo e la mamma e un fratello per mia sorella e per me.
All’inizio non è stato facile, abbiamo dovuto adattarci alla nuova situazione, alla convivenza reciproca, al nuovo equilibrio familiare. Abbiamo dovuto fare delle rinunce, rivedere le nostre abitudini e il tran tran quotidiano. Ci sono stati periodi duri in cui abbiamo avvertito la stanchezza, in cui non ci sentivamo all’altezza del compito ma siamo comunque andati avanti ogni volta ripartendo da capo. Non sono mancate le sfuriate, specie tra te e la mamma, ma poi, passato il momento, tornava il sereno e tu mostravi la tenerezza che ti apparteneva rivolgendoti a lei con l’epiteto affettuoso “tatina”.
Se vi sono stati sacrifici da parte nostra tu li hai ampiamente ripagati con il tuo essere speciale.
Si parla spesso di disabilità con commiserazione come se fosse un “marchio” di inferiorità, ma non è così. Abbiamo imparato da te ad apprezzare la ricchezza d’animo delle cosiddette persone “diversamente abili”: tu, sì, eri diverso dagli altri, non perché non avevi mai camminato ma perché avevi una marcia in più per il modo positivo di vedere e affrontare la vita. Ci hai regalato una grande lezione di vita: non ti sei mai lamentato del tuo handicap, anzi hai fatto del tuo limite la tua forza e ci hai insegnato che la vita può essere bella e preziosa anche con qualcosa in meno. Di te ricordiamo l’allegria contagiosa che ti accompagnava per tutto il giorno fin dal risveglio quando iniziavi a cantare il tuo personale repertorio degli anni ’60, la battuta sempre pronta, ma soprattutto l’ottimismo, l’attaccamento alla vita, la speranza nel futuro. La tua generosità e il tuo altruismo ti portavano poi a confortare e ad avere parole di incoraggiamento per gli altri proprio tu che eri nella condizione più svantaggiata. Avevi tanti pregi, uno tra tutti la spontanea capacità di gioire delle piccole cose per molti di noi insignificanti. Bastava anche un piccolo dono per renderti felice: un quaderno, una penna, un portachiavi era per te fonte di grande contentezza. Era questa semplicità infantile che colpiva quanti ti incontravano. Ti piaceva stare in mezzo alla gente e alla gente piaceva la tua compagnia. Tutti ti volevano bene e come non volertene.
Ricordo che ringraziavi sempre le persone che venivano a trovarci a casa per essersi fermate a conversare con te anche solo per pochi minuti.
Non possiamo dimenticare la tua arrendevolezza che non è segno di debolezza ma piuttosto serena accettazione degli eventi. Mia sorella mi rammentava un tuo soggiorno a Lourdes di tanti anni fa che esprime bene questo lato del tuo carattere: in quella circostanza, durante il bagno nella vasca dell’acqua miracolosa, chiedesti alla Madonna la grazia di farti camminare ma poi aggiungesti subito dopo: “Se non è possibile va bene lo stesso”. Questo eri tu con un cuore grande così, un pensiero sempre per tutti, anche per chi non vedevi molto spesso. Con la tua mitezza ci hai conquistato e noi custodiremo per sempre nella nostra mente la memoria di te.
Mi preme anche sottolineare la grande dignità, la tenacia e il coraggio con cui hai affrontato questi lunghi mesi di malattia senza mai far pesare l’evidente sofferenza che si leggeva sul tuo volto e sul tuo corpicino provato, sofferenza che tu hai sempre mascherato dietro un sorriso, seppur forzato. E quando ti si domandava: “come va, come stai?”, mai una volta è uscita dalla tua bocca la parola “male” o l’espressione “non ce la faccio più”, tu invece anche con un filo di voce come negli ultimi giorni rispondevi “meglio, mi sto riprendendo, ci vuole pazienza”, e di pazienza tu ne avevi da vendere. Tutto questo perché non volevi che gli altri si dessero pena per te.
Anche se siamo certi che tu sappia quanto affetto nutrivamo per te, è stato un dolore insopportabile non esserti stati vicino nel momento del trapasso per darti forza, per dirti quanto ti volevamo bene o anche solo per tenerti la mano, per accarezzarti la testa. Una certezza mi rincuora: sapere che ci guardi da lassù in cielo dove ora sei sereno e finalmente libero di correre con le tue nuove gambe o addirittura di volare, angelo, tra gli angeli.
Mi piace pensare, come mi ha detto una mia amica, che te nei sei andato via in fretta su una Ferrari rossa fiammante, la tua grande passione.
Mia sorella ed io siamo grate ai nostri genitori per aver scelto di tenerti con noi e di accoglierti in famiglia dopo la morte della nonna perché questo ci ha dato l’opportunità e la fortuna di conoscerti e di poterti amare. Grazie per aver arricchito le nostre vite. Ora lasci un vuoto enorme, ci manca la tua simpatia, la tua solarità, la tua gioia di vivere ma nessuno ci porterà via i tanti bei ricordi che abbiamo di te.
Non ti dimenticheremo e sappiamo che un giorno ci ritroveremo pertanto il nostro non è un addio ma un arrivederci.
Ciao

                                                                                                              

<-Indietro
 I nostri poeti
 Storie dei lettori
 Spiritualità
 I nostri ragazzi
 La redazione
 Galleria Foto
 E Mail
Lunae Photo
Archivio
2022
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2021
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Settembre-Ottobre
n°6 Giugno/Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2020
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°6 Settembre-Ottobre
n°5 Giugno
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2019
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2018
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Settembre
n°7 Luglio-Agosto
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2017
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Settembre
n°7 Luglio-Agosto
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2016
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Agosto-Settembre
n°7 Luglio
n°6 giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2015
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Agosto-Settembre
n°7 Luglio
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2014
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2013
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2012
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2011
n°11 Dicembre
n°10 Numero speciale
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2010
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2009
n°11 Edizione speciale
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
 
     
 Copyright 2009 © - Il Sentiero. Bollettino Interparrocchiale di Ortonovo (SP) Crediti