N° 4 - Aprile 2017
Storie dei lettori
  IL MARCHESE BUONO
di Millene Lazzoni Puglia



La dinastia dei marchesi Malaspina ha regnato e comandato per circa cinque secoli nel Comune di Fosdinovo e dintorni, nei  paesi della Lunigiana, a Massa e oltre, facendo azioni non sempre positive. L’ultimo di quei marchesi è stato Alfonso Malaspina, morto nel 1914 nella sua meravigliosa villa di Caniparola costruita nel ‘700 dai suoi predecessori.
Alfonso ha lasciato il bel ricordo del “marchese buono” perché era amico dei contadini-mezzadri della sua fattoria; parlava con tutti in modo gentile ed amichevole. Con molti di loro era stato pure generoso, andando incontro a certe loro necessità.
Mio padre Sante ricordava quando, durante le sue frequenti passeggiate nei pressi di Caniparola, si intratteneva a parlare con suo padre Giuseppe ( mio nonno ) che aveva ricevuto spesso da lui gesti affettuosi, a volte caramelle;  ricordi maggiori aveva mia madre Argentina che era la figlia del suo mugnaio, il quale dal 1876 ( a 18 anni ) aveva preso in affitto il mulino ad acqua dei Malaspina vicino a Caniparola: di conseguenza andava spesso a trovarlo dove viveva con la sua famiglia. Tra il Marchese e Angelo Tusini si era stabilito un bel rapporto fin dall’inizio: il primo apprezzava l’onestà e la correttezza che caratterizzava il suo mugnaio, il secondo ammirava la stima del Marchese, signore di nome e di fatto.
Nella sue passeggiate vestiva in modo molto semplice, la sola cosa che lo distingueva era il bastone con il manico d’argento lucidissimo.
Con il suo mugnaio Angelo amava conversare di storie del luogo e dei Malaspina. Uno di questi fatti accaduti nell’Ottocento è rimasto nella memoria fino ad ora per la sua singolarità: si trattava di un incidente sulla via provinciale. Una carrozza con a bordo alcuni soldati giapponesi che si erano recati a visitare il castello Malaspina di Fosdinovo, si era capovolta nella curva del bivio per Caprignano all’altezza dell’odierna pizzeria Il Selvatico. Quei soldati dovettero bivaccare lì due o tre giorni per ripristinare l’uso della carrozza e proseguire il viaggio di ritorno per il porto di La Spezia: è per questo motivo che quella curva stretta e pericolosa (allargata dopo il 1945) è stata chiamata anche “curva dei giapponesi.”
Un altro fatto non narrato dal Marchese, ma rimasto impresso nella memoria di mia madre-bambina, è quello di una visita al mulino con un ospite altrettanto illustre che, avendo cominciato a lavorare  da”garzone” alle cave di marmo per sopravvivere, aveva saputo arricchirsi: non solo aveva acquistato quasi tutte le cave esportando il marmo anche in America, ma era diventato, usando intelligenza e forte senso degli affari, proprietario della fattoria di Marinella e del castello che sovrasta Bocca di Magra. Quel signore in visita nel 1913 al mulino di mio nonno con il Marchese si chiamava Carlo Fabbricotti: indossava un grande mantello scuro con ai piedi pesanti scarponi. Quella era la sua “divisa” usata per seguire, a dorso di mulo, i lavori dei suoi cavatori e per ogni altra occasione, come, per esempio, entrare nei “caffè” riservati solo a gente ricca ed elegante che lo guardava in modo sprezzante. Una volta pagò la consumazione con un biglietto da 100 lire, una gran somma per l’epoca e i presenti rimasero stupiti nel vedere rifiutare il resto portato sopra un vassoio affermando: “Fabbricotti non prende resto.”
 Ma torniamo al nostro “marchese buono” che da oltre un secolo riposa nella sua villa di Caniparola assieme agli altri componenti della famiglia dal ‘700 in poi. Ebbene sì, lì esisteva nei sotterranei anche un cimitero privato come pure una cappella dove si celebrarono i funerali dell’ultimo marchese Malaspina: in quella occasione venne offerta una ricca colazione a tutti i partecipanti alle esequie.

Il marchese Alfonso compì gesti di concreta generosità nei confronti dei suoi 32 mezzadri e per ultimo lasciò le sue 90 raffinatissime camicie ai componenti maschili delle famiglie mezzadrili.
Non avendo figli, lasciò la sua immensa eredità alla nipote Cristina (figlia della sorella) che nella metà degli anni ’20 dovette vendere villa e fattoria per sopraggiunte gravi difficoltà finanziarie.
Il marito di Cristina era un Torrigiani ed ancora oggi i discendenti, che vivono a Firenze, possiedono il castello di Fosdinovo “salvato” a suo tempo dalla nonna Cristina che riuscì a non venderlo. Alcuni appartenenti della famiglia Torrigiani-Malaspina vi trascorrono ancora oggi le vacanze estive; per il resto dell’anno viene utilizzato per servizi fotografici e banchetti di nozze, mentre un custode, lì risiedente, ha la funzione di guida per i visitatori sia singoli che scolaresche.
Questa storia nel suo insieme mi porta a fare alcune riflessioni: da sempre le vicissitudini dell’essere umano si assomigliano e si ripetono: c’è chi costruisce, chi demolisce e chi sarà sempre e soltanto  “signore” sia  dentro” che “fuori.”

                                                                        


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  UN RICORDO DEL “CAMPEGGIO”
di Franca



Alcuni mesi fa una mia vicina, passata di lassù per una gita, mi ha portato i saluti di Barbara del “campeggio” di Gressoney in Val d’Aosta. L’ho sentita al telefono per ringraziarla e immediatamente mi è venuta una grande nostalgia di quei giorni, giorni bellissimi, giorni indimenticabili.
Infatti, come pensare al “campeggio” e non ricordare con affetto il preside Franciosi e la sua carissima Giulia? Sempre inseparabili e insieme: tantissimi anni fa hanno fatto nascere il “campeggio” su idea del prof. Nino Tonelli.
Quanti alunni sono passati ed hanno partecipato a quella splendida esperienza!
All’inizio erano 15 giorni ed era autogestito: a turno i ragazzi facevano le pulizie, aiutavano in cucina, apparecchiavano e sparecchiavano, servivano a tavola sempre sotto la guida di qualche adulto.
Durante le passeggiate giornaliere era tutto molto piacevole, dai panorami al rumore dell’acqua limpida e fresca delle cascatelle e alle battute scherzose: la signora Giulia era sempre la capofila, manteneva il passo e l’andatura, inoltre ci allietava intonando i suoi “famosi” canti, mentre il preside Franciosi chiudeva la fila, spronando i più pigri senza perdere mai di vista nessuno.
Negli anni è rimasto un momento importante la sua correzione dei semplici diari fatti dai ragazzi nel momento del riposo e della riflessione dalle 14 alle 15 nelle loro camere. Se dai diari usciva fuori qualche pensiero particolare, il Preside lo leggeva a voce alta nella riunione che si teneva ogni giorno alle 17,30 dopo i tornei sportivi e la merenda e poi… attività di gruppo: canti, giornalino, recite, scacchi, ricamo e maglia, documentari, diapositive, ripassi di matematica e tanta, tanta allegria nel cuore. Il tutto è sempre stato coordinato da un altro protagonista, il professor Tonelli e con lui si sono divisi impegni e responsabilità alcuni insegnanti che si davano da fare, perché ogni cosa riuscisse per il meglio.
Un momento molto bello, sentito e suggestivo era la S. Messa quasi sempre all’aperto e, se il tempo non lo permetteva, nella graziosa cappella. Se vi capita di passare da Villa Belvedere cercate e troverete una piccola statua in marmo della Madonna donata dalla Scuola Media di Ortonovo. 
L’ultimo giorno aleggiava nell’aria un po’ di tristezza che culminava la sera con il grande falò e il canto dell’addio tenendoci per mano intorno al fuoco: gli occhi erano lucidi di commozione vera.
Mi piace pensare che l’esperienza del “campeggio” sia stata utile a tutti, grandi e piccoli e che abbia contribuito a far crescere, maturare e responsabilizzare i ragazzi che vi hanno partecipato.
Mi spiace pensare che questa iniziativa, nata dalla sensibilità di appassionati servitori della Scuola, sia solo un ricordo ormai lontano.

                                                                                     

  L’asta
di


  (Tratta dal calendario Evangelico del Ministero Evangelistico alle Nazioni)     

Un ricco americano e suo figlio, amavano collezionare rare opere d'arte. Possedevano di tutto nella loro collezione: da Picasso a Raffaello, e spesso si sedevano insieme ad ammirare i molti capolavori che possedevano.
Arrivò la guerra del Vietnam ed il figlio dovette partire.
Fu un soldato molto coraggioso. Morì in un’imboscata dei Vietkong, mentre salvava uno dei suoi compagni. Informato della sua morte, il padre, cadde in una profonda tristezza. Era il suo unico figlio.
Un paio di mesi più tardi, bussarono alla sua porta....
C’era un giovane con un gran pacco tra le mani: "Signore, voi non mi conoscete, mi chiamo Dustin, sono il soldato per cui vostro figlio ha dato la vita. Eravamo amici. Spesso mi parlava di voi e del vostro comune amore per la pittura". L’uomo lo fece entrare. Il giovane aveva un pacco: "So che non è molto, non sono un grande artista, sono solo un modesto dilettante, ma penso che vostro figlio avrebbe voluto averlo".
Il padre aprì il pacco. Era il ritratto di suo figlio soldato. Ringraziò il giovane e si offrì di ricompensarlo: “Dustin, i soldi non mi mancano, permettimi di pagartelo e torna a trovarmi spesso”. "Oh no, signore! Non potrò mai ripagare quello che vostro figlio ha fatto per me. Questo deve essere un dono d’amore". L'anziano signore abbracciò il ragazzo, e il ritratto di suo figlio soldato, diventò, per lui, il più prezioso della sua vasta collezione.
Purtroppo Dustin, quel ragazzone pieno di vita, non tornò più. Morì in un incidente stradale con la moto pochi mesi dopo il suo rientro dal Vietnam.
Il vecchio signore pianse anche lo svanire dell’ultimo suo sogno: portare Dustin a far parte della sua vita.
Da allora, ai molti visitatori che venivano a casa sua, prima di mostrare loro qualsiasi altra opera d'arte della sua collezione, li portava a vedere il ritratto di suo figlio.
L'uomo morì. Per i suoi dipinti ci fu una grande asta. Vennero molte persone influenti, molti collezionisti, molti sovraintendenti di musei, tutti entusiasti di vedere i grandi quadri ed avere l'opportunità di possederne qualcuno per la loro collezione.
Sulla piattaforma, per primo, fu messo il ritratto del figlio.        Il banditore batté il martelletto: "Cominceremo le offerte con questo dipinto del “figlio”. Chi fa la prima offerta?". Ci fu un silenzio imbarazzante. Poi una voce dal fondo della sala gridò: "Vogliamo vedere i famosi dipinti...quello saltalo". Ma il banditore insistette: "Non c’è nessuno che fa un’offerta! Qualcuno vorrebbe offrire per questo dipinto? Chi comincerà con le offerte? - Silenzio! Il banditore continuò: "Il figlio! Il figlio! Chi prende il figlio?" Nessuno rispose. Finalmente, giunse una voce dalla parte più lontana della sala; era il vecchio giardiniere che da sempre aveva lavorato per l'uomo e per il figlio. "Io offro dieci dollari per il quadro". Essendo povero, era tutto ciò che poteva offrire. "Abbiamo dieci dollari, chi offre di più?". La gente in sala cominciò a spazientirsi, nessuno era interessato a quel ritratto.
Il banditore aspettò “un’eternità” e poi batté il suo martelletto: "Dieci dollari e uno, dieci dollari e due, dieci dollari e tre...AGGIUDICATO per 10 dollari!"
Un uomo seduto nella seconda fila gridò:" Ah, adesso proseguiamo con la collezione!" Il banditore poggiò il martelletto. “Mi dispiace, ma l'asta è finita".
Sconcerto nella sala. Si guardarono l’un l’altro. "Cosa ne è del resto dei quadri?" chiesero tutti. "Quando fui chiamato per condurre l'asta, mi fu parlato di una stipulazione segreta riguardante il testamento, e non mi è stato permesso di rivelarla fino a questo momento. Solo il dipinto del figlio sarebbe stato messo all'asta; chiunque l'avesse comprato, avrebbe ereditato l'intero patrimonio, incluso i dipinti. L'uomo che ha preso il figlio, ha preso tutto!"
2000 anni fa Dio diede Suo Figlio a morire su una croce crudele. Molto similmente al banditore, il Suo messaggio è: "Il Figlio, chi prende il Figlio?
Perché chiunque prenderà il Figlio erediterà tutto".


  L’angelo
di Romano Parodi



 

La bimba che stava per nascere si rivolse al Signore: “Signore, mi dicono che domani mi farai scendere sulla terra. Come potrò vivere così piccola e indifesa? – Qui sto tanto bene. Lasciami qui”.
Rispose il Signore: “Fra i tanti angeli, ne ho scelto uno tutto per te – Lui ti proteggerà. Canterà per te dolci e tenere parole” “Ma come potrò parlare ancora con te?”
“Il tuo angelo unirà le tue manine e ti insegnerà a pregare” - Rispose Dio con infinita dolcezza.
“Ho sentito dire che la terra è abitata da uomini cattivi… Chi mi difenderà?”
“Il tuo angelo ti difenderà a costo della sua vita”.
“Ma il mio cuore sarà sempre triste Signore, perché non ti vedrò più”. Disse la bimba con molta tristezza.
“Il tuo angelo ti parlerà di me e ti indicherà il cammino per ritornare alla mia presenza. - Sappi però che io sarò sempre accanto a te”.
In quel momento si diffusero delle voci e dei rumori, e la bimba, angosciata, gridò a gran voce:
“Signore, sto scendendo verso la terra - Dimmi ancora una cosa: qual è il nome del mio angelo?” E Dio sorridendo rispose:
“Il nome non importa, tu lo chiamerai MAMMA.”

 

E’ nata Lavinia; è nata una mamma, Paola; è nata una nonna, Nadia. 
Auguri pieni d’affetto. Romano



  La festa di San Giuseppe è la festa dei papà
di Mila e Gianfranco



 

San Giuseppe è l’uomo che fece da papà a Gesù sulla terra, che ha amato, protetto e custodito Maria e il suo Gesù, che si è preso cura di loro e per questo la Chiesa Lo ha scelto come protettore dei papà ed io vorrei, ancora una volta, perché l’ho già fatto, parlare dei papà e della loro importanza nell’educazione religiosa dei figli. Non è facile, ci provo.
Qui da noi ci sono, è vero, dei papà che alla domenica vengono regolarmente a Messa per accompagnare i figli, che altrimenti non potrebbero venire, e so di uno che se ne sta a casa col figlioletto piccolo per permettere alla moglie di venire lei con la bimba; bravissimi questi papà. Anche domenica scorsa, appunto festa di San Giuseppe, c’erano di fronte a me in chiesa due di questi papà. Per me sono incominciati i ricordi: quando ero una ragazzina, mia mamma andava alla Messa la domenica mattina presto, mentre io andavo più tardi con mio padre e i miei fratelli alla Messa “grande”. Insieme a lui mi sentivo orgogliosa. La sua presenza rendeva ancora più solenne e importante la Funzione. Mio padre diceva sempre che alla domenica la cosa più importante da fare era santificare il giorno del Signore ed ascoltare la Sua parola. Lui ci dava l’esempio prendendoci per mano e aiutandoci a capire quello che stavamo facendo. Che senso avrebbe avuto se ci avesse accompagnato alla porta della chiesa e poi se ne fosse andato al bar o al supermercato, magari con una cert’aria di sufficienza o scocciato perché gli stavamo facendo perder tempo? Che cosa avremmo capito noi bambini? Che la Fede era una cosa da piccoli, da donnicciole, da seguire soltanto fino al raggiungimento della Comunione e della Cresima e poi stop! Invece no, con noi c’era il papà o meglio il babbo, come lo chiamavamo noi, quindi è stato facile capire che seguire i comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa era importante, non solo per la nostra anima, ma era anche un grosso aiuto per affrontare le difficoltà della vita e sicuramente non era cosa da deboli o perdenti. Fintantoché siamo stati in casa lui ha preteso che assolvessimo il precetto domenicale e lui e mia mamma l’hanno fatto per tutta la vita senza se e senza ma.  Cari papà, certo il “vivere”, specialmente al giorno d’oggi non è facile, le difficoltà sono tante e il “credere” è sempre più difficile, ma almeno provateci per il bene dei vostri figli, seguiteli sul cammino della Fede non solo per amore di Dio ma anche per agguerrirli di più contro le insidie della vita.
Io di papà in casa ne ho tre. Il più importante lo devo proprio ringraziare per avermi sempre capita in questo mio modo di essere, e non è facile. Con gli altri due è un pochino più difficile però diciamo che sono nei dintorni, non si sono allontanati troppo.


  La Teresina
di Marta


 L’aia è sempre quella, pavimentata con cocci, mattoni e marmettole. La casa abitata da Armando e la sua famiglia è stata venduta e ristrutturata,
mentre il fienile con il suo vecchio portone è rimasto il solito: solo una mano di vernice e il resto come allora. Quanti ricordi in quell’aia dove si praticavano gli antichi mestieri e dove le stagioni erano scandite dalla raccolta dei prodotti della terra: l’estate con la mietitura e la trebbiatura del grano, l’autunno con la vendemmia, l’inverno con la raccolta delle olive e la spremitura nei frantoi, la primavera con la semina dei vari prodotti dell’orto.
In quell’aia era cresciuto Doretto che con i suoi amici inseparabili formavano i tre moschettieri, amici per la pelle, “uno per tutti, tutti per uno!” Come quella volta che decisero di andare a fare il bagno nel canale lunense: non doveva saperlo nessuno, e tutti giurarono! Però…quella volta, qualcosa non funzionò. Ormai si sentivano ragazzotti intraprendenti ai quali piaceva sconfinare alcuni chilometri da casa. Quando la Gina, la mamma di Doretto, lo vide ricomparire, gli chiese dove fosse stato per così tanto tempo senza rispondere alle sue ripetute e preoccupate chiamate, ebbe inizio un concitato dialogo: “Allora!!! Dove sei stato?”  “Ma!!! In giro qua e là con Giorgio e Araldo.” “Scommetto che siete stati a fare il bagno nel canale.” “No! No! No! Non è vero!”  Poi, quando la Gina sentenziò: “Scommetto che c’era anche l’acqua alta!” “Ah no! rispose Dorè, Mi arrivava appena qui” indicando con la mano l’altezza fino allo stomaco. E’ così che le bugie hanno le gambe corte.
Al piano superiore del fienile veniva riposto il fieno, mentre il piano terra serviva da stalla, con la mucca vi erano conigli e galline e ci dormiva anche Teresina, l’asina. Tutte le mattine di buon’ora, Armando preparava il” barroccio” con tutti gli utensili adatti per il lavoro che doveva svolgere, un pezzo di pane e una fiaschetta di vino, attaccava Teresina al carro e poi via per una giornata intera di lavoro nei campi.
In una di queste giornate, Armando e Gina stavano rapando il granoturco: i filari erano tanti, ma la lena e il ritmo erano buoni, così decisero di portare a termine il lavoro prima di rincasare e così fu.
Certo si era fatto tardi, il sole era tramontato, cominciava a scurire e sarebbero arrivati a casa a buio, ma, soddisfatti per quello che avevano compiuto, radunarono le loro cose e si avviarono verso il loro barroccio.
Amara fu la sorpresa di non trovare la Teresina dove l’avevano lasciata.
La chiamarono più volte, cercandola nei prati vicini. Erano soliti lasciarla libera di pascolare in quella zona dove l’erba era ottima. Intanto, però, Teresina non si trova. “Adesso cosa facciamo?  Dimenticati la stanchezza e preparati a tornare a casa a piedi.” disse la Gina.  Arrivarono a notte!  Il loro primo pensiero fu quello di entrare nella stalla per mungere Mora, la mucca, ma anche con la segreta speranza di trovarci la Teresina. Ed eccola: era nella stalla al suo posto. Armando durante la camminata verso casa si riprometteva di darle una cappellata com’era solito fare quando si arrabbiava, si toglieva il cappello e lo calava giù sopra la groppa, più che altro era un gesto per insegnarle la lezione, ma quando lui la vide la chiamò, Teresina si girò e i suoi occhi grandi neri umidi risposero alla chiamata del padrone. Armando sospirò, in un attimo la collera era svanita, ora c’era solo la gioia di saperla ritornata a casa da sola!  Povera Teresina, lei aveva il suo orologio nella testa, un preciso orologio svizzero che le indicava l’orario del rientro: sempre quello che da tanti anni non era stato mai modificato. Anche in questa occasione Teresina aveva rispettato la sua puntualità.

 

Auguro una Santa Pasqua a tutti, portando nei nostri cuori Gesù Cristo Risorto.


  Via Crucis nel Borgo
di Letizia



Venerdì Santo 14 Aprile i bambini di Ortonovo Paese rappresenteranno una Via Crucis itinerante per le vie del borgo. La Via Crucis è una tradizione cristiana nella quale viene rievocato, in 15 stazioni, il doloroso percorso di Gesù, che dopo la condanna a morte è caricato della croce sulle spalle ed è condotto verso il luogo in cui sarà crocifisso, la collina del Golgota, fino alla deposizione nel sepolcro e la resurrezione.
Dopo la processione tra i presepi dislocati per le vie del paese, nella quale i bambini hanno partecipato con molto entusiasmo cantando canzoni e leggendo frasi sul Natale, quest’anno abbiamo pensato di coinvolgerli anche per la Santa Pasqua con la rappresentazione in costume della Via Crucis; per far conoscere loro gli avvenimenti della Passione e della morte di Gesù e il sconfinato amore per noi.

Vi invitiamo numerosi a partecipare alla manifestazione. Buona Pasqua a tutti Voi.


  ORTONOVO E DINTORNI
di Paola G. Vitale




 

Domenica 19 Marzo si è svolta la 13* edizione di questo storico Trofeo ed il 1° memorial di Olimpio (Franco) Ferrari. Io ho letto l'avviso all'interno del poliambulatorio di Via Larga ed ho pensato con commozione a Mirta, moglie di Franco.
Io non ho potuto partecipare né al percorso più lungo, né a quello che arriva a Fontia e ritorno. Quest'ultimo però l'ho percorso assieme all'ormai prossimo diacono Agostino, che mi ha messo alla prova, senza indicarmi la lunghezza del cammino. Ora so che sono sei chilometri e mezzo, percorsi con tenacia anche da me, per niente allenata e molto più giovane di ora, dato che sono trascorsi alcuni anni da quel giorno che ci aveva portati al Santuario di N.S. del Mirteto e poi, scendendo lungo il fianco che guarda il mare, giù fino alla Piazza del Comune.
L'Avis ricorderà molto calorosamente coloro che sono mancati ......lungo il cammino della vita. Da parte mia, domenica 19 ho partecipato con la preghiera e tanti, tanti bei ricordi. Non nego che avrei voluto essere nella comitiva dei partecipanti alla bella escursione....ma è così che va la vita, per me. Voglio comunque dare la mia adesione col cuore, inviando all'Avis il mio piccolo contributo finanziario.

Vi saluto con affetto


  La Via Crucis
di Augusto Gianfranchi


L'11 febbraio, anniversario dell'apparizione della Madonna a Lourdes, ho avuto la fortuna di partecipare al pellegrinaggio promosso da Don Romano Rossi assieme ad un nutrito gruppo di fedeli.
Avevo sentito parlare della Via Crucis delle “Spelonche” ma non avrei mai pensato di provare una tale emozione nel percorrere ed assistere alle letture davanti alle immagini in bronzo dorato delle 15 stazioni.
Sì “quindici” sono le stazioni progettate e realizzate fin dal 1912. La quindicesima vuole rappresentare la Resurrezione di Gesù.
In questo periodo di Quaresima, è giusto meditare sul messaggio e cosa ci deve insegnare o impegnare ad essere il percorso di Gesù ed il suo calvario.
I 1600 mt di sentiero sono stati per me una riflessione continua, un richiamo ed uno stimolo a cercare di essere più coerente con la mia fede cristiana.
Al mio fianco, lungo tutto il “cammino”, era presente un caro amico che non è più con noi ma che mi ha fatto capire, nel silenzio, tante cose.
Il mio intento, con questo semplice racconto, è quello di meditare e far meditare il messaggio che ci viene perpetrato ogni qualvolta che partecipiamo ad una Via Crucis.
Concludendo vorrei ricordare ai lettori l'INTRODUZIONE al percorso:
“Gesù Tu mi inviti ad entrare ed a seguire la Tua Via Crucis. Apri i miei occhi e tocca il mio cuore, perché io possa riconoscere ciò che Tu hai fatto per me. Io mi rivolgo a Te per allontanarmi dal mio peccato che Ti ha procurato tanto dolore.
Gesù so che Tu sei con me e che mi aiuti a comprendere meglio il mio dolore e ad accettare la croce che tu mi offri. Così voglio percorrere con te nella fede le 15 stazioni della tua Via Crucis. Amen”.
Ed una sintesi della preghiera conclusiva:
“Gesù sono giunto al termine della Via Crucis. Porto con me le immagini dei Tuoi passi vacillanti sotto il peso della Croce, del Tuo corpo sfinito e straziato in un martirio crudele, sono immagini che testimoniano il Tuo Amore per ciascuno di noi: un amore unico, appassionato, inconcepibile”

 

                                                                               

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