N° 2 - Febbraio 2015
Storie dei lettori
  Appunti di un Pellegrino
di Gualtiero Sollazzi



 

Dice il saggio…
La saggezza è in crisi. Spia ne sono i vecchi, considerati i tradizionali serbatoi e ora umiliati da certe trasmissioni come “sciocchi bastardi”. Regnano, invece, in TV, finti saggi in poltrona, con ricco gettone, che pontificano su tutto: dalla lumaca indonesiana, all’alimentazione spaziale. Con grande sprezzo del ridicolo, purtroppo, vista l’inconsistenza culturale dei più. Formano come una “compagnia di giro” che passa da una trasmissione all’altra, col muto benestare di chi dovrebbe mettere qualche pezza all’indecenza.
Eppure il bisogno c’è di persone sagge. In politica come in ogni altra istituzione. I giovani sono quelli che sentono di più questo vuoto, e ne pagano un prezzo assai alto. Così, il discorso sulla saggezza si è fatto battuta da cabaret: “Dice il saggio…”. Se è per un sorriso, vada; ma se attraverso una pungente ironia se ne celebra il funerale, sono guai.
Non siamo, però, alla frutta. Esistono persone che nel silenzio di un monastero, su un divanetto di casa o in una modesta canonica, danno tanto: basta cercarle. Ricordando un consiglio del Siracide: “Se vedi una persona saggia, il tuo piede logori i gradini della sua porta”.

 

 Il quarto voto
“Nuovi Orizzonti” è un movimento ecclesiale. I membri consacrati, oltre ai tre “voti”, povertà, obbedienza, castità, ne fanno un quarto: quello della gioia. La fondatrice, Chiara, lo spiega: “...per condividere con tutti la chiamata alla gioia e la gioia dipende da come scegliamo di vivere”.
E’ famosa la frustata di Nietzsche: “Perché io imparassi a credere al loro Salvatore, bisognerebbe che i suoi discepoli avessero un’aria da gente salvata!”.
In una lettera a un giornale una ragazza scrive: “Non se ne può più di mense eucaristiche con cristiani immusoniti…”. Non si deve fare di ogni erba un fascio, ma una piccola riflessione, sì. Scott Hahn non ha dubbi: “Se l’Eucaristia non ti fa venire la voglia di cantare, che cos’altro potrà farlo?”.
Il Vangelo, già nel suo nome, è annunzio gioioso. C’è l’Angelo con quel “Vi annunzio una grande gioia…”, e poi la promessa di Gesù “Vado a prepararvi un posto…”: un ‘posto’  con banchetti di festa. Don Ciotti, uomo concretissimo, è stato dal Papa. Racconta: “Mi ha colpito la sua capacità di ascoltare, la sua dedizione al rapporto umano. E la sua felicità”.
Paolo, pur nella tribolazione, testimoniava la gioia motivandola: “So a Chi credo”. E la “perfetta letizia” di San Francesco?
Diceva il Saggio: “Meditate, gente, meditate!”.



  REGRESSIONE
di Ratti Antonio


                                                  

Gli antropologi ci dicono che, all’incirca 1,3 milioni di anni fa, l’homo erectus è diventato sapiens essendosi reso conto stabilmente che riconoscere “l’altro” come suo simile era opportunisticamente conveniente, perché condizione indispensabile per una convivenza costruttiva e propositiva. Con tanti alti e bassi, lunghe eccezioni e gravi dimenticanze, questo principio ha retto abbastanza permettendo lo sviluppo di diverse forme di civiltà, di società e di progresso costante. Oggi osserviamo una minoranza, ma attiva in ogni continente con un unico filo conduttore, che con la violenza rifiuta la reciprocità che quel nostro antichissimo antenato riconosceva come la grande conquista che gli aveva permesso di fare il salto di qualità. Assistiamo sbigottiti, pertanto, a forme di terrore di una brutalità che sgomenta. L’organizzazione di Boco Haran in Africa usa innocenti e ignare bambine come ordigni esplosivi per compiere stragi nelle strade affollate e nei mercati. Tutto quello che abbiamo ascoltato e visto in TV in queste tragiche settimane come possiamo definirlo se non una delirante regressione intrapsichica delle capacità intellettive e una  devianza paranoica della facoltà e volontà d’intendere, per il pervicace rifiuto a riconoscere con le sue diversità  “l’altro”- che spesso ha già offerto ospitalità -? L’attentatore al supermercato ebraico di Parigi nel video di rivendicazione, giustifica la sua iniziativa di vendetta e di morte affermando che Dio gliel’ha suggerita e che lo ha sostenuto.
Qui si apre un altro aspetto del problema. Per giustificare le stragi, il fanatismo ideologico, il fondamentalismo, l’integralismo, in una parola, l’odio, si chiama in causa Dio che chiederebbe a questi “martiri-eroi” di instaurare nel mondo con il terrore e la morte un nuovo ordine sociale dove la libertà, l’eguaglianza, la fraternità e le diversità, anche religiose, sono concetti da cancellare. Un’idea così minimalista e antropomorfa della divinità è il vero peccato di blasfemia. Infatti, quale credibilità può avere un Dio che sollecita ogni forma di barbarie verso ciò che lui stesso ha creato per imporre un modello di vita e di società basato sulla forza e la soppressione di ogni principio di libertà e di diversità? L’Iman, capo della comunità islamica di Parigi, ha dichiarato: “Noi siamo in prima fila contro questi barbari”, perché il vero islam non ha niente da spartire con il terrorismo che si autodefinisce difensore della fede islamica. La conferma ci viene data dal giovane commesso di colore e musulmano che –a rischio della vita – ha nascosto quattro ebrei nella cella frigorifera del citato supermercato parigino salvandoli.
E’ingiusto generalizzare e mostrare atteggiamenti discriminanti, mentre è doveroso per coloro che assumono incarichi istituzionali e di governo attrezzare la società civile e gli Stati degli strumenti  idonei, che non possono essere legati solo all’uso della forza, a isolare queste schegge impazzite e a svuotare di ogni appeal (interesse) la carica ideologica di questi folli missionari di morte abilissimi a reclutare sempre nuovi adepti anche al di fuori del mondo islamico. Il paradosso è che costoro, che vogliono farci regredire e riportarci indietro in un lontano oscuro clima di sopraffazione e intolleranza, sanno usare in modo eccezionale tutti i mezzi più moderni e più tecnologicamente sofisticati per i loro perfidi obiettivi mettendo spesso in ridicolo le Intelligence e i servizi segreti occidentali con la manifesta abilità che mostrano nel violare i  loro sistemi di sicurezza informatici e non ( gli USA ne sanno qualcosa).

           

  12-01-2015



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  Una Notte Santa
di Carlo Lorenzini



L’abbaio di un cane nella silenziosa solitudine della notte suscita in me una particolare suggestione e mi ingenera una specie di angoscia esistenziale, come ogni domanda che non ha risposta. Quell’abbaio è un po’ la metafora dell’orante che rivolge la sua invocazione a un dio sconosciuto, che non si fa trovare e che non risponderà.
A questo punto mi alzai e andai alla finestra. L’aprii. E guardai fuori, in mezzo alla campagna. Ormai era notte profonda. Continuava a piovere. La stessa pioggia fine e leggera. Da sperduti e misteriosi silenzi, malinconici abbai di cani, lamentosi come angosciate preghiere all’indifferenza del mistero. In lontananza, rare luci di rustici casolari.
E immaginai, in questi casolari, vaste e nere cucine, con il presepe, l’albero, un grande fuoco nell’ospitale vano del camino; e, attorno ad uno spazioso tavolo, nonni e genitori e figli, e generi e nuore e nipoti e amici, e anche qualche solitario vicino: a celebrare, con la cena e i giochi e le conversazioni e i regali del dopo cena, la serenità e anche la gioia della Notte Santa. E poi i bimbi, in attesa impaziente della venuta di Gesù Bambino a portare i doni. E, ancora, babbi e cognati in assorta conversazione di terreni, di stagioni, di semine e di raccolti; e nuore e figlie, e giovani zie e anziane zie, a parlare di regali e di amiche e di corredi e di ricette di cucina e di educazione dei figli; e mamme, a sgridare ogni tanto la rumorosa e scomposta allegria dei bambini; mentre i nonni guardano, e sono felici, e ogni tanto accolgono tra le braccia complici lo scatenamento di qualche nipote in fuga dall’ira ostentata e chiassosa della madre. Poi ci sarebbero stati i regali.
E poi la Messa di mezzanotte, nella piccola chiesa vicina, nascosta tra querce e cipressi; dove il pievano, celebrando la nascita del Redentore e sull’esempio del Bambino, parla delle difficoltà della vita, delle poche gioie e dei molti dolori cui l’uomo è destinato, dei mezzi per renderci umili nelle gioie e per rendere sopportabili e anche graditi i dolori, della santità e nobiltà del sacrificio. E poi, tra l’intenerita melodia del “Tu scendi dalle stelle”, il bacio al Bambino, simbolo all’uomo di amore e di disponibilità per gli altri. E poi, nel freddo della notte, il silenzioso ritorno; i più piccoli addormentati in collo agli adulti.
Fido e Nerina che accolgono la brigata, abbaiando nell’aia e muggendo dalla stalla. Poi gli uomini, prima di salire nelle stanze, la visita ai buoi e alle vacche, se tutto è a posto; la visita ai maiali; un’occhiata al pollaio. Poi, dopo il risentito grugnito e il placido chiocciare nel silenzio della notte, in casa. Le luci si spengono. Tutto tace. E, in quella pace primordiale, prima del sonno, per gli sposi più giovani, il corteggiamento nel freddo del letto; le esigenti richieste di lui, i rifiuti e le ritrosie di lei; e poi il mutuo abbandono alle carezze e alle dolcezze dell’amore, nella castità, nell’ordine e nella serenità della vita e dei sentimenti…; e poi, il breve e sottovoce scambio di parole del dopo… E, infine, il sonno e l’oblio…   (dal racconto Una notte di Natale inedito – 1985)

 

                                                                            

  Un’amica davvero speciale
di Marisa Lisia



La persona in questione si chiama Fanny, e quando ci ha lasciato per sempre aveva la bella età di 88 anni. Voglio citarla per le sue virtù: buona madre, anzi ottima, non negava mai il suo sorriso rassicurante ad ogni persona che si rivolgeva a lei per un consiglio, o per confidarle le sue pene; nella mia lunga esistenza molto raramente ho notato tanta amabilità, mitezza e umiltà come la sua.
Intanto il tempo passava ed i figli, diventando adulti, formano ognuno la propria famiglia. E l’ ultimo, il più giovane, trova una brava ragazza che naturalmente presenta ai suoi genitori e poi la sposa. La sposina non si sarà subito resa conto di avere una così egregia e buona suocera (una vera fortuna) e, conoscendola bene, l’ha amata come una figlia ama la mamma sua. Beate le famiglie dove l’amore regna sovrano!
Poi Fanny, anche considerando l’età, si ammala e muore; muore serenamente come è vissuta. I figli le fanno il più gentile e geniale dei doni: la bara bianca con i fiori altrettanto bianchi, come fosse una festa… Secondo il mio parere ha mantenuto la sua innocenza battesimale. Vero Fanny? Ti sto raggiungendo!

                                                                                                         

  Le mie mani
di Doretto



 

            Le mie mani: quante cose hanno da raccontare! Hanno giocato quando ero bambino; hanno incominciato a lavorare dopo l’adolescenza; tanto, per tanti anni, e ora… eccole qui: vecchie, ma sempre attive. Le mie mani, dono di Colui che me le ha date; posson fare ancora quel po’ che possono. E quando non potranno più fare niente, potrò fare ancora una cosa che non mi costerà nessuna fatica, ma sarà la cosa più importante di tutte: pregare, pregare per tutti!

                       

                                                                                                         

  Lettera a “Il Sentiero”
di Marta



Caro Walter, permettimi di dirti che bella persona sei. Quanta umanità doni a chi ti passa vicino nella vita. Hai accompagnato fino all’ultimo, assieme anche alla tua famiglia, il caro “pacioccone”, sempre sorridente Ferruccio, un gigante buono. Sappiamo che fin dall’inizio della sua malattia sei sempre rimasto vicino a lui: nel periodo degli interventi, nelle degenze e la lunga convalescenza in casa tua finché hai potuto. Poi , purtroppo, l’aggravarsi della malattia; ma non ti sei mai stancato, sempre lo hai consolato, anzi lo avete consolato perché anche tua moglie e le tue figlie lo hanno assistito ogni giorno, a Sarzana o La Spezia, per tutto il periodo della sua infermità.
Inoltre ricordo con quanto affetto venivi da Doretto e stavate a parlare del più e del meno, ma soprattutto di Gesù , della Madonna, di riflessioni varie e, perché no, a volte anche qualche pettegolezzo. A Doretto, appena ti sentiva arrivare, brillavano gli occhi dalla gioia: per te, per il grande amico Walter; se non vi vedevate, vi telefonavate: sei stato grande consolandolo nella sua malattia, fino alla fine.
So che tu non vuoi lodi, sei molto umile e schivo, ma queste sono cose che vanno dette; so che fanno piacere a chi le ascolta e a chi le legge. Sappiamo tutti con quanta forza, tenacia, ma principalmente con l’aiuto della fede, combatti la tua battaglia personale ormai da tantissimi anni, e malgrado ciò trovi il tempo per tutti e per tutto, come per la pubblicazione del nostro “Sentiero” del quale sei l’operatore principale, e poi ci informi col tuo “diario” sui principali  avvenimenti, in particolar modo quelli religiosi, delle nostre parrocchie e del nostro territorio. Tu, caro Walter, sei quasi sempre presente a queste funzioni , inoltre ti presti anche a dare una mano se ce n’è di bisogno.
Le persone speciali profumano di semplicità e di serenità, luccicano nel cuore e brillano nell’anima!

 

                                                                                             

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