N° 6 - Giugno-Luglio 2013
I nostri poeti
  La madonna Pellegrina
di M.G. Perroni Lorenzini


 
 

La madonna Pellegrina

Talvolta gioco, il gioco dei ricordi.

E, improvvisamente, mi ritrova bambina,

tra il brusio del popolo, issata su di un panchetto,

nella piazza del paese illuminata a festa,

con indosso un abito bianco,

a recitare un saluto e una prece

alla Madonna Pellegrina;

subito dopo, nel chiaro del sole,

accolgo nel Santuario

un sacerdote appena ordinato,

con le parole solenni, all’antica,

dettate dalla zia, maestra e poetessa:

“Vieni, o novello Levita,

nel tempio della Vergine Santa…”.

La frase, così precisa,

da un tempo così lontano,

mi fa sussultare;

ma poi riprendo la vita di sempre,

e lascio l’inquietante gioco di ritrovare me.

 

 

 

 

Una mia amica, già al tempo di queste mie prime poesie, a proposito delle mie rievocazioni di quei tempi lontani relative al mio paese, mi domandò a bruciapelo come mai erano così tristi. Ed io a quella domanda ero rimasta stupefatta; perché non mi ero resa conto di quella tristezza. Esse mi erano sembrate piene solo di gioia e di luce. Ma poi, rileggendole, vi ho trovato anch’io una specie di ombra che le oscurava. E in quasi tutte qualcosa di ambivalente. C’è voluto del tempo in seguito, perché riuscissi a chiarirmi i motivi di tale ambivalenza.

Nelle prose dedicate alla mia vita di allora ho poi voluto in linea di massima separare,  per quanto è stato possibile, la gioia dal dolore, la serenità dall’inquietudine. Ne La pace delle bambole prevalgono i ricordi più belli e positivi; qui, invece, ne La casa sepolta, prevale l’aspetto negativo delle cose: così per i ricordi della Prima Comunione, e così anche per quelli della Madonna Pellegrina che, in definitiva, sono più tristi che lieti.

Non conosco esattamente l’anno in cui la statua della Madonna Pellegrina, che fece il giro dell’Italia di parrocchia in parrocchia, giunse ad Arcola. So che io allora ero scolara del secondo ciclo delle elementari. E fui incaricata di leggere un saluto a Maria, scritto dalla prozia Malvina. IO ne fui subito felice; non provavo alcun timore ad esibirmi in pubblico, perché avevo fiducia nelle mie capacità di lettrice; ed ero lieta del mio abito bianco, corto quella volta (e mi pare di ricordare che fosse lo stesso della Prima Comunione opportunamente riadattato). Mi rivedo ancora in piazza Garibaldi, di sera, issata su di un panchetto in mezzo a tanti fiori e a tante tremolanti luci di candele, davanti al sorriso e all’invito di quella dolce Madonna, mentre leggo con sentimento, a voce alta e chiara, quelle parole di benvenuto, di invocazione, di rendimento di grazie. La lettura andò bene; ed io uscii felice da quella giornata. Ma qualcosa intervenne a guastarmene la contentezza. Per cui il ricordo si tinge di fosco ancora oggi, a causa di un episodio di cui venni a conoscenza subito la mattina dopo; e che mi fece male già allora; ma che giudicai in tutta la sua gravità solo a mano a mano che mi resi conto di quanto fosse grave la spaccatura esistente nel mio paese. Spaccatura che era risultata più evidente proprio all’arrivo della Madonna Pellegrina. Perché una parte del paese, quella di sinistra, vide nella manifestazione religiosa una specie di propaganda politica delle destre e la contrastò o se ne astenne.

Ma veniamo all’episodio che mi riguarda. Mentre stavo leggendo, un nemico della nostra famiglia aveva ascoltato dal Monticello, la piccola altura prospiciente la piazza, la mia voce resa più forte da un altoparlante e aveva domandato chi fosse quella bambina così brava. Però, appena informato da quale famiglia venivo, si era messo a gridare e poi, tacitato dai vicini, se ne era andato; ma proferendo improperi e minacce anche nei miei confronti.

Io che, verso la fine della lettura, avevo sentito delle grida provenire dal Monticello, ma che avevo pensato fossero manifestazioni di un troppo anticipato applauso, quando seppi cosa era veramente accaduto, ne rimasi scossa e stupefatta: Perché quel signore se l’era presa così tanto con me, fino a minacciarmi? Che male gli avevo fatto? Questo secondo ricordo, negativo, si è quindi naturalmente legato al primo, tutto gioia e luce, offuscandolo.
 
 
 

  Non son degno
di Ugo Ventura


 
 

 

In questa valle di splendore arcano

hai scelto per compagno me meschino;

or tu mi adori come gran sultano:

sono un privilegiato del destino.

 

Insieme camminiamo sopra l’erba

che la rugiada come neve imbianca;

del bene mio, amor, tu vai superba,

il raggio del tuo ben il cuor spalanca.

 

Volano gli anni come foglie gialle

sospinti come turbine dal vento;

s’ode nostalgico l’eco della valle

frammisto alle campane del convento.

 

Io prima dell’inverno, a primavera,

ho colto un fiore, un fiore profumato

e con dolcezza, amica mia sincera,

commosso e trepidante t’ho donato.

 

Languiva nella notte il mio sognare

fin quando nel tuo grembo son caduto:

sei donna rara che sa tanto amare

e senza l’amor tuo io son perduto.

 

Quando nel buio della vita amara

cerco la luce, trovo il tuo sostegno;

mi accorgo che sei dolce e tanto cara

ed io dell’amor tuo io non son degno!

 

                                                                        

 
 


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  Rotola il tramonto
di Maria Franca Alieta Serponi


 
 

Rotola il tramonto

Tra piccole nuvole bianche

Nel cielo amaranto

Nei vicoli nelle scale

Del borgo marinaro

Nel suono di voci amiche.

Rotolano gli anni più belli

Tra nuvole di dolcezza

Amore tristezza

Per un amore mai sopito

Mai dimenticato.

Rotola la vita

Nella mia anima nel mio cuore

In attesa dell’aurora celeste

Che mi porterà da te.

                                           

 

  Scherzi d’l vin
di Mario Orlandi


 
 

Non piang’re,

a son cascà p’rché er ‘mbriaco:

m’sta ben! Ca m’fus rot ‘l colo!

Tut p’r la mi gola da ‘mbotadoro:

nero e bianco, bianco e nero.

Non piang’re,

a son ‘n d’sgraziato e a m’l son merità:

‘mbriaco, gonfio d’ vin e a te bota,

p’rché t’ brontolev’ p’r’l mi ben;

mò a son l’Ecce Homo,

 a par ‘n masch’ron.

Non piang’re,

t’mè curà, lavà e mis ‘n leto

anc se d’ merit ‘n gh’n’ere:

Sol ‘l tu amoro i p’met tut la sera

d’ soportar la mi puza d’mbotera.

Non piang’re,

a n’ pos v’dert coscì d’sp’rà.

A son peg che Casciscio,

ma al capisc sol mo, col mus roto,

‘n bracio scorzà e ‘l ginogh’o col c’roto:

Non piang’re,

p’ché p’r me sarei ‘na disperazion

savert senza consolazion,

coi figh’oli chi s’ string’n ala mà

mo che ch’l d’sgraziat d’ bà i s’ n’è ‘ndà.

Non piang’re,

p’rché, anzi che crear complicazion

e lasciart ‘n mezo a tanta disperazion,

a vorei ch’t fus te la prima a partire

p’ché me a trov’rei mei ‘l modo d’ guarire.

 

 

 

 

SCHERZI DEL VINO – (Dal racconto verbale di Gino Bianchi, Carmè, sfollato a Nicola da Dogana). Non piangere, sono caduto perché ero ubriaco: mi sta bene! Mi fossi rotto l’osso del collo! Tutto per la mia gola da imbottadore (grande imbuto): nero e bianco, bianco e nero. Non piangere, sono un disgraziato e me lo sono meritato: ubriaco, gonfio di vino, e a te botte perché brontolavi per il mio bene; ora sono l’Ecce Homo, sembro un mascherone. Non piangere, mi hai curato, lavato e messo a letto anche se di merito non ce n’era: solo il tuo amore permette tutte le sere di sopportare la mia puzza di imbottera. Non piangere, non posso vederti disperata. Sono peggio di Casciscio (uomo di Casano celebre per le sue sbornie), ma lo capisco solo ora, con la faccia rotta, un braccio sbucciato e il ginocchio col cerotto. Non piangere, perché per me sarebbe una disperazione saperti senza consolazione, coi figlioli che si stringono alla mamma ora che il disgraziato del babbo se n’è andato. Non piangere, perché anzi che creare complicazioni e lasciarti in mezzo a tanta disperazione, vorrei che fossi tu la prima a partire perché io troverei meglio il modo di guarire.
 
 
 

  JOBHEL
di Paolo Bassani


 
 
 

Il suono di jobhel

ancora annuncia

l'avvento del tuo tempo,

Signore.

Riposi la terra

e i suoi frutti doni

ad ogni uomo,

adesso che Tu proclami al mondo

ancora la tua liberazione

nell'anno del riscatto.

Torna tra noi, Signore!

Chinati sulle nostre miserie

con la pietà

del buon Samaritano:

lava, cura, risana le ferite,

da’  luce ai nostri occhi

e speranza al cuore

nell'indulgenza del perdono.

Signore, indica la via

a questo disorientato

pellegrino del Duemila

che s'arresta al bivio

e ancora non sa decidersi:

guida il suo passo

sulla via di Emmaus

e accompagna il suo cammino,

perché egli non ceda alla fatica

e allo sconforto del dubbio

se nella sua ricerca

non vede ancora

la gloria del tuo Cielo.

Guidalo, Signore,

perché non si perda nel deserto

e quando si fa sera

giunga alla tua tenda:

a Te che proteggi il pellegrino

e sai placare la sua arsura.

 
 

  AMORE
di Adriana Polla Luciani


 
 

AMORE

Apro riviste e giornali e leggo:

“Muore per vendetta d’amore”

“Uccide la moglie per gelosia”

“Per amore si uccide”…

 

Amore, parola forse troppo usata

per giustificare colpe,

nascondere meschini intrighi,

poter avere la pietà altrui,

quella pietà che non sempre

il denaro compera.

 

Mi chiedo quante saranno le persone

che di questa parola

conoscono il senso,

il significato profondo.

 

In me sorge una speranza e un sogno:

che un giorno, invece dell’erba,

sul prato nasca l’amore,

quello che non conosce ostacoli,

che tutto dona e si dona.

 

Amarsi ed aiutarsi,

unirsi nella gioia,

nel bisogno tendersi lsa mano,

sapersi capire ed accettare.

Come, come spiegarlo

ad un mondo che non vuole capire!

 

Basterebbe che ognuno di noi

spargesse anche un solo

piccolissimo granello

di questo seme chiamato amore,

perché tutta la terra

ancora risplenda

di questa immensa luce

che si chiama amore
 
 
 

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