N° 5 - Maggio 2012
I nostri poeti
  AD UNA CIECA
di Ugo Ventura


 

 

Or piangi e ti disperi

perché la cecità

ti priva del bel mondo,

dei prati sempre verdi,

del cielo ognor stellato.

Eppure

a modo tuo

so che sei felice,

forse più di me,

perché nel buio della vita

non vedi la bruttura

di questo triste mondo,

senza cuore,

senza domani,

 perché più cieco di te!

       

     

  LA ROSINA
di Mario Orlandi


 

 

 

Giocand ‘n ti fosci

a caminar avanti e ‘ìndré

con Sidnei che vincev sempre,

a s’er’n scordà che la pegora

gh’en ‘gnoranta e la gir’n

senza magnar : sol i lisciandri.

Quand han com’ncià a c’rcarla

la n’è stà poscibilo trovarla,

p’nsand sub’to ch’a la s’ fuss’n strozà

‘n fondo a quarc canalon.

Trist e scicuro d’pigh’ar di pagh’ugon

a son arivà ‘nt’la Pià:

la pegora gh’er davanti al mi uscio…

‘L cavestro, però, la ‘l t’niv tirà

la Rosina d’ Mach’aveli

che da mi mà gh’a vosù

desc franchi p’r l’erba magnà

e pù p’r quela sciupà.

Mi pà i n’ ghere,

a gh’arpens sempre,

e mi mà gh’a ‘n po’ urlà,

la s’è mis i diti ‘ boca

p’r dir ch’la m’avrei amazà,

ma po’ tut è filà liscio

anc se, p’r ‘ntrar ‘n cà,

ho sgr’nzà l’uscio.

 

                                             

ROSINA -  Giocando nei fossi (attorno al paese) a camminare avanti e indietro con Sidnei (Rino Marcesini) che vinceva sempre, ci eravamo scordati che le pecore sono ignoranti e girano senza mangiare: solo i lisciandri (erba spontanea che nasceva in mezzo ai sassi).

Quando abbiamo cominciato a cercarle non è stato possibile trovarle, pensando che si fossero strozzate in fondo a qualche canalone.

Triste e sicuro di prendere due schiaffi sono arrivato in Piazza: la pecora era davanti al mio uscio… la corda, però, le teneva tirata la Rosina di Macchiavelli (Gustavo Ferrarini) che da mia mamma ha voluto dieci lire per l’erba mangiata e pure per quella sciupata. Mio babbo non c’era, ci ripenso ancora, e mia mamma ha un po’ urlato, si è messa le dita in bocca per dire che mi avrebbe ammazzato, ma poi tutto è filato liscio anche se, per entrare in casa, ho “sgrenzato” (passato radente) l’uscio.

 

 

 

  LA MIA GIOIA PER LA PACE (Maggio 1945)
di Padre Maurilio Montefiori


 

 

LA MIA GIOIA PER LA PACE

(Maggio 1945)

 

Poi che si tacque delle trombe marzie

il suono rauco e dalle bianche ali

pace discese all’Itale contrade

libero il sole.

 

E la pianura di messi feconda

saluta il carme mio giocondo e vaga

sull’aura dolce che i fiori carezza,

ad altre plaghe.

 

Oh, l’accompagni degli augelli il volo

verso gl’immensi campi dell’aurora,

e la sua tenue melodia si sperda

tra nimbi d’oro.

 

E dove ancora fluttua tempesta

d’odi cruenti il nunzio mite adduca

e l’ire truci, che gravan sui cuori,

almeno plachi.

 

Dica alle valli c’han perpetua pace

al murmure dell’acque saltellanti,

ai verdi clivi di fiori ridenti,

dica il mio gaudio.

 

Passò la torbida procella e ride

nitido il cielo; di rondini gaie

stormi veloci a conquistar l’azzurro

spiegano l’ali.

 

                                        

 

  PRIMO MAGGIO INSIEME
di Paolo Bassani


 
 

 

Bandiere e canti

oggi

s’aprono nel sole

e fremono nel vento.

Speranze antiche

e nuove

s’accendono nel cuore.

Primo Maggio:

ognuno abbia il suo lavoro

ogni lavoro la sua dignità.

La nobiltà

non è nell’oro

ma nell’uomo;

la libertà

nel riscatto dal bisogno;

la giustizia e la pace

nel rispetto d’ogni vita.

Nell’uomo

oggi si onora

la civiltà:

quotidiana conquista

del lavoro.

                                               

 

  RITORNA PRIMAVERA
di M. G. Perroni Lorenzini


 
 

Ritorna primavera,

che il mio cuore non vede:

è in altre primavere.

 

E corro per un pallido sentiero,

tutto fiorito di bottoni d’oro,

in compagnia d’un cane,

che, festoso,

si gira ad ogni istante:

a riguardarmi.

Risplendono, sfavillano

quei fiori,

sotto il sole di marzo.

 

Attimi irripetibili,

momenti vivi.

Fragili ma lucidi

dell’oro

dei bottoncini d’oro.

 

 

  TEMPESTA
di Andrea Valentini


 
 

Ho vagato a lungo

per quei campi gelati.
Nessun uomo in vista.
Nell’altra parte di mondo

si nasce, si vive, si muore

in un continuo accalcarsi.
Qua si può sostare un attimo,

respirare in qualche modo

prima di essere travolti.
Un brusio

aumenta,

diminuisce

mentre tra loro

si dividono

ombre, cielo,

granelli di sabbia.
Nel mare di settembre

è arrivato

il temporale del nord.

 

 

  MARIA
di Maria Angela Albertazzi


 
 

Maria, che doni a tutti pace e amore,

che a tutti apri il tuo cuore

alla speranza di un mondo migliore,

ora ci vedi in un tempo peggiore.

Nell’inquietudine che serpeggia,

dove tanta gente spadroneggia

come meglio vuole,

non badano a chi duole,

a chi soffre, senza amore,

e di stenti muore.

Rivolte sanguinose,

del mondo disastrose,

hanno solo assurde pretese:

vogliono il comando del Paese.

E i miseri, i poveri cosa posson fare:

 guardano questo mondo sgretolare.

Maria, in quanti modi ti han chiamata,

ma tu sei sempre la nostra Madre amata.

La tua effigie è di gioielli ornata:

dovrebbero essere venduti

per dare ai bisognosi aiuti.

Tu vuoi solamente essere amata

dal profondo del cuore, e invocata

con sincero amore

nella gioia e nel dolore.

Ai poveri va il nostro contributo,

agli ammalati il giusto tributo,

ai bambini indifesi un sollecito aiuto.

Non sempre ci pensiamo,

e solo quando è la tua festa lo facciamo,

poi più sereni ci sentiamo.

Sotto il tuo manto ci vorremo rifugiare,

ma quanti lì sotto potranno stare?

Conviene a tutti

chinare il capo e pregare.

                            

 

 

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