N° 7 - Agosto-Settembre 2011
Storie dei lettori
  Caro Sentiero,
di Mila Pellegri


 

 

Caro Sentiero,

Ti abbiamo lasciato alla porta della chiesa i primi di giugno e ti ritroveremo all'inizio

di settembre, praticamente è già finita l'estate. Purtroppo il tempo vola!

Ma che cosa ci ha lasciato su cui meditare questo tempo che è volato via così

velocemente? Diciamo che il mese di giugno è stato ricco di avvenimenti. Ci sono state le Prime Comunioni e le Cresime in tutte le Parrocchie del Vicariato in occasione di alcune fra le festività più importanti per la nostra fede: l' Ascensione, la Pentecoste, il Corpus Domini.

Nei Primi Vespri di quest'ultima solennità è stata celebrata in cattedrale una cerimonia veramente toccante, purtroppo non frequente, l'ordinazione di tre nuovi sacerdoti: Don Alessandro Reggiani, Don Luca Palei e Don Tommaso Fasoli.

Tre giovani uomini che avevano tutto per lanciare la loro sfida al mondo e

conquistarsi un posto di prestigio, credo che già avessero con successo iniziato il loro cammino verso quella meta e invece, a un certo punto, sicuramente con grandi incertezze, dubbi, paure e opposizioni, hanno abbandonato tutte le lusinghe del mondo e hanno risposto alla chiamata di Colui che tutto sa e tutto vede. La strada non sarà facile cari don Alessandro, don Luca e don Tommaso. Forse sarà più difficile dell'altra, checché ne dicano certe male lingue, ma noi vi seguiremo con le nostre preghiere e il Buon Dio vi darà sicuramente la forza d'andare avanti santamente e con coraggio.

Durante l'omelia per l'ordinazione dei tre nuovi sacerdoti, il nostro Vescovo ha detto

che c'è speranza che entrino in seminario cinque nuovi giovani. Speriamo! C'è tanto, troppo bisogno di operai nella vigna del Signore e non solo di preti e religiosi, ma anche di catechisti e laici in genere che con umiltà e amore dedichino un po' di tempo alla chiesa, in particolare alle loro parrocchie, per aiutare e far sì “Che venga il Tuo Regno, o Signore”.

 

 

 

 

  Da Luni Mare
di Paola G. Vitale


 

 

Cari amici, vengo a ringraziarvi per la presenza e la collaborazione in occasione del “Corpus Domini” della festa del patrono, San Pietro.

            L’estate si snoda nell’intensità del calore e nell’intensità dei Santi il cui esempio incoraggia e sprona. Se resto qua, nell’umile servizio necessario, il mio pensiero vi segue però con affetto negli incontri, nelle cene conviviali,nelle varie festività. Non consideratemi perciò “assente”; può essere sempre che riesco a trovare il modo di arrivare fisicamente.

            C’è in programma la cena del 16 luglio, qui a Luni Mare. Faremo festa insieme? Augurando una buona estate, saluto tutti e in particolare il prof. Franciosi, che ho tralasciato di salutare al “Corpus Domini”. E, per prima cosa, preghiamo per i nostri malati e i loro cari, perché il Signore Dio conceda a tutti… e grazia… e forza… e salute.

 

Luni Mare, 8 luglio 2011    

  Lettera al "Don"
di Marta


 

 

Caro don Lodovico, certamente lei saprà già come sono andate le cose. Una ventina di anni fa sono riusciti ad espropriare un’area di terreno vicino alla chiesa del Preziosissimo Sangue di Luni (Cafaggiola) che lei, don Lodovico, voleva attrezzare a zona verde per tutta la comunità. Oggi ha vinto una dura e lunga battaglia: il Comune ha perso la causa e dovrà risarcire la Curia.

            Se allora le avessero permesso di portare a termine quello che era lo scopo prioritario del momento: campi da tennis, campo di calcio, bocce…; un ritrovo per anziani con vialetti, panchine e giardini ove passeggiare, ritemprare il fisico; una biblioteca ove ritrovarsi: nella terza età comporta scambio di opinioni, di cultura varia, di vita vissuta. Lei soleva spesso dire: “Tanto sport ai giovani e relax per gli anziani, ma tutto questo insieme, perché gli anziani devono stare con i giovani e i giovani con gli anziani”. Ora, a distanza di anni, tutto questo sarebbe stato una realtà e tutta la comunità avrebbe potuto usufruirne. La sua mente fervida e creatrice era sempre al lavoro. Basti pensare che poco tempo prima che si ammalasse, aveva programmato di fare aprire due grosse finestre nella chiesa per aerare la navata; di modificate l’impianto di illuminazione, perché “quei faretti diretti verso l’altare sono due forni accesi”. Tutto questo dopo aver risanato il tetto della chiesa che faceva acqua in diversi punti.

            Che dire, don Lodovico? Col senno di poi non si rimedia nulla, ma certamente da lassù sorriderà scuotendo il capo e compatendo gli uomini per la loro testardaggine e poca lungimiranza.



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  Un mondo al tramonto
di Carlo Lorenzini


 

 

E un bel giorno non si sentì più neanche il grido stentoreo della pesciaia che sul far del mattino, per lo più durante la bella stagione, passando per le vie del paese, invitava le donne a comperare il ‘pesce vivo’.

            Del numero dei gatti del paese si poteva avere un’idea solo quando arrivava la pescivendola, con in testa la sua cesta gravata di sardine e di acciughe, principalmente. Veniva di solito durante la stagione estiva. Era annunciata dalla sua voce cantilenante: “Donne, la pesciaia! La pesciaia, donne! Pesce fresco, donne, sarde fresche, acciughe fresche, pesce ancora vivo”. Ma oltre le acciughe e le sardine, nella cesta ricoperta dal drappo bianco, c’era anche qualche nasello, per gli ammalati; un pugno di triglie, per i buongustai; e alcuni grappoli di muscoli, per gli appassionati. La prima fermata la faceva sul muretto del pianello; ma più per riposare che per la vendita della merce, dal momento che lì al pianello eravamo ancora fuori paese. Ma si fermava soprattutto per vedere in tutta la sua vastità, laggiù in fondo, il mare, “Oh, se è grande!”, diceva guardando; ché da casa sua, che era a cento metri dalla riva, non lo vedeva. Ne sentiva il profumo, ne sentiva il rumore, specialmente quando era grosso, ma non lo vedeva. Poi prima di arrivare in piazza, un’altra fermata, la principale,  la faceva posando la cesta sul muretto davanti alla porta dei da Milano. Vi arrivava accompagnata da un nugolo di mosche e di vespe e da un codazzo di gatti ubriachi dal profumo del pesce. Lì era il suo punto principale di vendita, prima di arrivare in piazza, dove la fermata più che altro era per la merenda e il bicchiere di vino all’osteria della Geltrù, avanti il ritorno a casa. Lì, presso i da Milano, venivano le donne a comperare, con in mano un piatto di cucina, quello per il pesce, generalmente già ricucito dal puntapiatti, dove non ci si mangiava più, così anche se poi aveva cattivo sentore... Lì veniva anche la mamma, anche lei con il suo piatto del pesce.

            A me piaceva accompagnare la pesciaia nel suo giro di vendita, perché mi divertivo a vedere vendere il pesce. I colori cangianti delle acciughe e della sardine quando la venditrice vi immergeva la mano per prenderle e metterle sul piatto della bilancia, e da lì nel piatto dell’acquirente; mi piaceva ogni volta il contenzioso delle massaie sulla qualità del pesce (‘la settimana scorsa era più fresco...’), sulla giustezza del peso (‘sono già mezzo chilo queste sarde?’; era esperta lei, la venditrice, a maneggiare quella sua bilancia e a far apparire quello che non era), sul prezzo (‘ma questo significa rubare!’); e mi piaceva, tra la curiosità e il disgusto, quando arrivava Spartàn, che  si fermava a far due chiacchiere con le donne (lui girava il Comune a fare commissioni per questo e quello e aveva sempre cose da raccontare) e a comperare un etto di sarde fra quelle più sciupate e a poco prezzo, che alcune le dava ai gatti, le altre se le mangiava lì, seduta stante, crude com’erano, lisca e tutto. Ma poi ognuno che comperava il pesce, un pesciolino lo dava ai gatti, che stazionavano attorno guardinghi e petulanti, timidi e aggressivi, pronti a fuggire e pronti a gettarsi avanti verso la preda.

            Era arrivata presto in paese la pesciaia. Ed ora erano quasi le dieci. L’aria incominciava a riscaldarsi, il pesce a corrompersi. Comunque il grosso era stato venduto. Qualche pugnetto di sarde in fondo alla cesta, tormento delle mosche e dei tafani; preda inarrivabile dei gatti. La pesciaia seduta in piazza sul muretto davanti alla locanda, il panino in mano, il bicchiere posato da una parte, faceva la sua meritata colazione: in attesa di qualche massaia, per l’ultimo acquisto. “Cosa volete fare con questo rimasuglio. Ormai è buono solo per i gatti”. “E’ ancora bello sodo, cara lei”. “Quanto me lo mettete”. “Tanto. E’ il prezzo a cui l’ho comperato io”. “Allora datelo pure ai gatti”. “Venite. non ve ne andate: ci mettiamo d’accordo”. Allora la massaia porgeva il piatto. La pesciaia ci metteva dentro le sarde.  “Tenete. Senza pesare. Datemi quello che volete”. Poi diceva. “E’ l’ultimo. Ve lo regalo. Semmai, ci rifaremo la prossima volta”. Allora la massaia si allontanava, ringraziando. E la pesciaia, fiera della sua missione compiuta, si rimetteva a sedere, dando morsi al pane e piccole sorsate al bicchiere di vino. Viatico per un buon ritorno a casa  dove trovava il figlio che stava trattando con il rappresentante della Piaggio l’acquisto d’un veicolo ‘ape’. “Così, mamma, andremo noi fuori per il pesce e tu finalmente ti riposerai”.

                                                                                                                                                            Era la fine di un mondo. Ne incominciava un altro. Più ricco e veloce, più efficiente e igienico. Da cui, però, a mano a mano, i gatti e personaggi come Spartàn si allontanarono come estranei.

                                                                                                  

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  EREMI ED EREMITI IN GARFAGNANA
di Angelo Brizzi


 

 

 

            La Garfagnana è una zona posizionata fra i monti Appenninici e la Alpi Apuane, priva di strade per le grandi comunicazioni; è rimasta nel tempo quasi integra nelle sue bellezze naturali e paesaggistiche, incontaminata dal “progresso” che tutto cambia, tutto divora, calpestando le leggi e i diritti della natura. Fra queste verdi e boscose valli esistono varie testimonianze dei romitori, edifici destinati alla professione della fede popolare. Erano questi degli oratori, chiesette, piccoli santuari cappelle innalzati in solitari siti o lungo le vie di valichi montani. Erano solitamente dedicati a santi popolari o  alla Vergine Maria e in alcuni erano custodite delle vere opere d’arte.

            Col patrocinio e la benedizione dei vescovi di Lucca e Pisa, sotto il controllo amministrativo delle parrocchie dove si ergevano, la custodia veniva affidata a uomini che, prendendo a prestito da “ordini comunitari” l’abito, cioè il saio ed alcune regole scritte dai loro fondatori, rifiutavano la vita comune per quella solitaria e silenziosa, eremitica: gli eremiti o romiti.

            Gli “affidati” cioè i romiti erano uomini pii, di animo mite e caritatevole; non sempre acculturati ma tra essi vi erano anche persone dotte che hanno lasciato scritti di alto valore spirituale e storico: il beato Viano, S. Doroteo, i santi Pellegrino e Bianco, S. Gugliemo di Malavalle…, tutti votati ad una vita solitaria e silenziosa, tutti uniti da una grande religiosità e da una fede incrollabile. All’inizio di ogni stagione cercavano la questua per il loro sostentamento; quegli uomini erano conosciuti ed amati dai valligiani garfagnini; tanto radicata era la loro figura in quei luoghi da essere inserita nel “Canto a maggio”, dove tra racconti di gesta cavalleresche ed intricate storie d’amore, appare la figura di questi romiti: pacificatori, portatori di conforto, esempi di carità cristiana. Questi eremiti, distaccatisi dalla moltitudine affannosa e chiassosa, hanno trovato nel silenzio dei boschi un modo di vivere quieto potendo così darsi un determinato compito che costituisce il loro fine personale per cui, dedicando il cuore alla carità, la mente alla preghiera e l’udito all’ascolto della parola di Dio, per quanto lo può l’umana miseria, venivano definite creature felici perché riuscivano ad “accontentarsi di Dio”.

            Oggi questi romitori sono quasi tutti estinti; quei pochi esistenti vengono ricordati con feste annuali o mete di pellegrinaggi per la devozione alla Madonna. Preghiamo dunque il Padrone come ci ha insegnato Gesù, affinché “mandi operai nella sua messe”. Egli chiama, chiama con costanza per perseguire il suo disegno, ma i chiamati spesso non lo ascoltano, non sentono la voce che li chiama, manca loro “l’0rdinata solitudine interiore”. Come diceva il beato Paolo Giustiniani: “O felice solitudine che insegni agli spiriti umani ad entrare in se stessi e a desiderare di vedere, in quanto lo può una creatura umana, la maestà di Dio!”


  L’ULTIMO SALUTO A PAOLO
di Mila


 

 

 

 

            Nelle prime ore del mattino di mercoledì, 24 agosto 2011, è morto Paolo Cavirani dopo un periodo di degenza, relativamente breve per quel tipo di male, prima in ospedale e poi a casa.

            Paolo era originario di Ortonovo, ma da anni ormai abitava a Luni Mare e  quella di San Pietro Apostolo era la sua parrocchia e qui ha voluto che fosse celebrato il suo ultimo saluto.  Alla fine della Santa Messa, la moglie Rosella ci ha rivolto alcune toccanti parole: ”Paolo oggi è contento nel vedere la chiesa piena di gente.” Perché questo era il sogno di Paolo, rivedere tanta gente in chiesa, rivedere tanta gente in cammino verso la meta celeste, rivedere le chiese piene come era ai tempi della sua infanzia.

            Faceva parte del nostro piccolo gruppo parrocchiale, era sempre attivo e pieno di fervore religioso. Quello che caratterizzava Paolo era la sua grande fede e la sua immensa fiducia in Dio. Infatti quando vedeva la scarsa affluenza di fedeli alla Santa Messa domenicale, ripensando al suo sogno, diceva sempre: ”Lasciamo fare a Lui...”   Dopo essere stato dimesso dall'ospedale la prima volta, anche se sofferente e molto provato, è venuto in chiesa alla solita Messa delle dieci; siamo rimasti tutti meravigliati perché era evidente lo sforzo che faceva per dissimulare il dolore e mantenere un dignitoso contegno. Ci ha salutati e baciati tutti, e questa è stata l' ultima volta. Credo sia venuto per salutarci tutti, per rivedere un' ultima volta la sua Chiesa.


  CONTINUA IL MIO PERIODO DI RIFLESSIONE
di Un’assidua lettrice


 

            Ieri sera sono stata con la mia famiglia alla Madonna Bianca a Portovenere. E’ stata una bella serata sia per il fatto che ero  con la mia famiglia, e questo mi dava già tanta gioia, sia per l’evento religioso e storico, sia per lo scenario incantevole dove questa bella festa si svolge, e i miei pensieri, come mi succede spesso da anni, sono andati a ringraziare Dio per le belle emozioni in momenti come questo.

            Mentre  in mezzo a tantissima gente aspettavo davanti alla chiesetta di S. Pietro il ritorno della processione, pensavo a ciò che riesce a fare la Regina del Cielo e della Terra: riesce in tante occasioni come questa, ad esempio, a riunirci tutti al suo “appuntamento”, e tutti noi lì, in quel luogo sublime aspettavamo impazienti il suo ritorno in  processione per ascoltare poi l’omelia del vescovo Francesco ed avere la sua benedizione. Che bello, pensavo tra me, il prossimo anno ritornare e trovare su quel grande palco non solo il nostro Vescovo, ma anche altri Vescovi delle città vicine e anche tanti Parroci donandoci a vicenda quella prova cristiana di UNITA’-FRATELLANZA- ACCOGLIENZA- UGUAGLIANZA di cui sempre la Chiesa e il Vangelo ci parlano. Penso che questi momenti dovrebbero farci capire che anche se siamo di parrocchie e città diverse dobbiamo sentirci tutti un unico popolo: il ‘Popolo di Dio’.

            Questa riflessione è la solita che provai nel pellegrinaggio a Medjugorje quando nella chiesa di San Giacomo, al momento dello scambio del segno di pace, ognuno di noi lo scambiava con lo straniero accanto, col sorriso e gli occhi pieni di speranza: in quel momento penso che ognuno di noi non si sentiva più cittadino della propria Nazione , ma cittadino del Mondo (quello che staranno provando ora quei due milioni di giovani che sono all’appuntamento col Papa a Madrid). Quindi perché non provare queste cose anche fuori di certi contesti ma ogni giorno, dando prova della nostra COERENZA? Perciò la mia riflessione di cristiana mi fa pensare che dobbiamo accettare nel nostro cuore, anima, mente questo mondo pluralista di cui ognuno di noi  fa parte, facendoci guidare da Dio e vedere l’altro come nostro fratello. Questa è la COERENZA che vuole Colui che per la nostra salvezza si è fatto uomo.

            Io penso che sarebbe buona cosa fare tra le varie parrocchie (parroci, vescovi, parrocchiani…) confinanti fare ogni tanto, in attesa della GMG, una piccola GPG (P=parrocchiale) dei giovani, allargata alle altre parrocchie così che i nostri giovani, ragazzi e bambini possano crescere con l’idea aperta di Comunità. Penso quindi che non vedendoci più così distinti come parrocchia, si possa arrivare più facilmente a una maggiore collaborazione, a una fede più forte e portare o ri-portare più gente nelle nostre chiese. Questi incontri (oratori, pellegrinaggi, GMG…) sono fondamentali se li vogliamo per la crescita della nostra persona, in quanto si stacca la spina dalle frenetiche corse, ci si ferma così a riflettere sul proprio cammino in mezzo agli altri.

            Personalmente ho avuto benefici grazie al ”mio” pellegrinaggio a Madjugorje, in quanto ho ridato valore alla mia persona che indossa, come tutti, ogni giorno tanti ruoli: di madre, di moglie, di figlia, sorella, nuora, zia, nipote, amica… Ho capito quanto la mia vita non è preziosa solo per me, ma anche per le persone che mi circondano. Tornando a quei momenti vissuti assieme agli altri (quando si stacca la spina) si arriva a conoscere meglio la nostra anima e certi posti sono proprio ‘centri di benessere’ per l’anima.

            Voglio ora concludere queste ripetute riflessioni chiedendo alla nostra Mediatrice che è in Cielo di prenderci tutti sotto il suo santo manto e di farci capire quali sono per noi le cose veramente importanti per le quali vale davvero la pena di vivere. Madre Teresa diceva: “ Il giorno più bello? Oggi. Il primo bisogno? Comunicare. La cosa più bella del mondo? L’amore. L’accoglienza migliore? Il sorriso. Il difetto peggiore? Il malumore. La felicità più grande? Essere utili agli altri”.

 

 

            Un saluto a tutti.


  Diario di un parrocchiano di Casano S.Giuseppe
di Giuseppe Franciosi


 

 

Domenica 29.05.2011.

            Oggi, con Piergiuseppe, Barbara e qualche altra persona cara sono andato a Quarazzana: questo viaggio non è una novità. Quando le persone a me care mi offrono questa opportunità, io non me la lascio sfuggire. Questo viaggio era stato già previsto ed era stato inserito a conclusione della “crociera” in Grecia e Turchia fatta da Piero e Barbara. E così è successo. Oggi però a Quarazzana ho trovato una novità che mi ha colmato di gioia: su un tetto ho visto dei pannelli solari. Che gioia! Una gioia simile l’avevo provata anche quando, parecchio tempo fa, avevo visto i pannelli solari nel cimitero di Agnino. Perché questa gioia? Perché la Giulia mi ha detto tante volte che durante la guerra a Quarazzana vivevano 300 persone e ora invece faticano ad arrivare a una dozzina: vi arrivano grazie alla casa dei “pannelli solari”: vi abita una famiglia che noi chiamiamo “i bergamaschi”. Si tratta di una coppia di sposi: lui muratore che sa fare di tutto; lei la pettinatrice, che lavora a Fivizzano. Sognava di vendere la casa di Quarazzana e comprarne una vicino al posto di lavoro. I “pannelli solari” fanno capire che i loro progetti forse sono cambiati e questo mi fa tanto piacere; vedere segni di vita nel paese della Giulia mi dà tanta gioia. Pensate che durante la guerra nella casa della Giulia vivevano una quindicina di persone: nove figli, due genitori, una nonna, una zia, alcuni cugini.

Giovedì, 09.06.2011.

            Questa sera, alle ore 21, per concludere gli incontri mensili di preghiera ci siamo riuniti nella chiesa di Molicciara (Chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù). Da quando è scomparso il caro don Franco, parroco di Castelnuovo, per me era la prima volta che partecipavo a un incontro nel “castelnovese”. Walter mi aveva sollecitato a partecipare e io non avevo saputo dire di   no. Noi ortonovesi eravamo tanti, certamente più dei castelnovesi. E’ stata una serata interessante; presenti una mezza dozzina di sacerdoti. Abbiamo concluso bene gli incontri dell’anno 2011. A un castelnovese seduto vicino a me ho chiesto se aveva conosciuto mons. Andolfato, un sacerdote che seguiva i Coltivatori Diretti. Io l’avevo conosciuto nel 1931. Mio padre era stato manovale, poi muratore; mia mamma non voleva che io seguissi la stessa strada e si era data da fare perché io studiassi. Era riuscita a trovare altri ragazzi intenzionati a studiare; in 4 cominciammo a seguire il programma del ginnasio; si aggiunsero poi anche due di Castelnuovo e in sei iniziammo. I nostri insegnanti erano don Daneri, parroco di Casano e don Andolfato, parroco di Molicciara; tre pomeriggi ci seguiva uno e tre pomeriggi l’altro. Così cominciai a frequentare Molicciara. La canonica era piccola, a piano terra e allora si cominciò a pensare a una nuova chiesa. Il nostro gruppo concluse poco e ci disperdemmo.

 

Domenica, 26.06.2011.

            Oggi celebriamo la festa del Corpus Domini. A Ortonovo ci sono tante chiese, tante parrocchie. Negli anni passati avevamo tentato di fare un accordo, di fare un turno in modo da avere sempre una processione interparrocchiale decorosa. A volte ci siamo riusciti e i risultati sono stati buoni; a volte invece non ci siamo riusciti e sono mancati i risultati decorosi. Quest’anno ci siamo riusciti: in tutte le parrocchie hanno accettato che quest’anno toccasse alla parrocchia di Luni Mare e, alle ore 21, tutti siamo confluiti a Luni Mare e tutto è andato bene a incominciare dalla scelta di fare tutto all’aperto. Io non sapevo di questa decisione e quindi mi arrovellavo: come andrà? Ci staremo tutti? Bravo don Andrea, se l’idea è stata sua: altare, sedie, panche, tutto fuori, davanti alla chiesa; c’erano anche tanti bambini della Prima Comunione. Tutto magnifico.

            Poco dopo le ore 21 la processione si è avviata e qui devo dire che io non mi sono accodato: a quasi novant’anni non me la sono sentita di affrontare un percorso di cui non conoscevo nulla; mi sono fermato, si sono fermati alcuni altri: in tutto una mezza dozzina di persone. A me è sembrato che tutto abbia funzionato alla perfezione: i canti, le luci, la collaborazione di tutti; mi sono commosso.  Luni Mare questa sera ha meritato questa processione. Meravigliosa la conclusione: ha preso la parola uno dei tre Novelli Sacerdoti che ieri il nostro Vescovo ha consacrato. Un intervento il suo che mi ha commosso: quanta umiltà nelle sue parole; quanta profondità nei suoi concetti. Ha incominciato bene, meravigliosamente bene il suo ministero e spero di avere altre occasioni per incontrarlo, per ringraziarlo.

            Oggi anche sui giornali si parla dei sacerdoti e non sempre se ne parla bene, ma se tutti saranno della stoffa di cui è fatto don Tommaso possiamo ringraziare Dio: possiamo guardare al futuro con immensa fiducia.

 

Martedì, 28.06.2011.

            Finalmente è arrivato questo martedì 28 giugno. Da tanto tempo attendevo questa data, da quando Walter mi aveva detto che padre Carlos si sarebbe messo in viaggio e sarebbe arrivato qui da noi per assistere all’ordinazione sacerdotale di tre seminaristi che lui da tempo aveva seguito nel loro cammino in preparazione al sacerdozio.

Santa Messa al Santuario del Mirteto, alle ore 18, celebrata da padre Carlos e con la presenza di due dei sacerdoti consacrati alla Spezia, sabato scorso. Era prevista anche una grande cena con offerta libera a favore dei seminaristi del Guatemala. Tutto questo sta succedendo. Meravigliosamente eseguita la Messa del “ Perosi” come sa fare la corale “Cantus Firmus” di Ortonovo e ora siamo tutti a “cena” nella bella struttura che gli Ortonovesi hanno saputo costruire; grandissima ma non so se riuscirà a contenere tutti: siamo tanti ma tutto fila in piena regola. Resto a bocca aperta quando vedo che a Ortonovo tutto riesce bene, tutto è perfetto; tutto il paese si mette a disposizione perché quanto programmato riesca al meglio.


  Quelli che l’ICI e la Chiesa cattolica
di Umberto Folena


 

 

Quelli che l’ICI e la Chiesa cattolica

            Quelli che. Quelli che la Chiesa cattolica torni a pagare l’Ici. Quelli che non sanno che la Chiesa paga già l’Ici, per gli immobili dati in affitto e le strutture alberghiere. Quelli che lo sanno benissimo ma fingono di non saperlo. Quelli che vorrebbero far pagare l’Ici a chi ancora non lo paga, ossia alle mense Caritas, agli oratori, alle sacrestie, ai monasteri… perché sono soltanto loro che ancora non pagano.

Quelli che sul loro giornalone scrivono in 500mila copie che Chiaravalle, alle porte di Milano, è un resort a cinque stelle a 300 euro a botta. Quelli che ci credono. Quelli che sanno bene che Chiaravalle è un normale monastero che per una celletta della foresteria e tre pasti frugali al dì chiede un’offerta di 30 euro, ma se uno non li ha, pazienza. Quelli che quando ‘Avvenire’  smaschera la fandonia si guardano bene dal pubblicare una rettifica, così i loro lettori continuano a credere che Chiaravalle sia un resort, la Chiesa ci lucri e s’indignano. Quelli che sul loro giornalone da 500mila copie denunciano con veemenza che la Chiesa italiana nasconde il rendiconto dell’8 per mille. Quelli che, e sono gli stessi, da 20 anni pubblicano il rendiconto in una loro pagina acquistata dalla Chiesa, incassano i soldi e, una volta smascherati, si guardano bene dal correggere la fandonia. Quelli che la Chiesa possiede il 30% di tutti gli immobili in tutta Italia. Quelli che Luciano Moggi è il testimonial della Chiesa italiana.

Quelli che sanno bene che 8 per mille, esenzione dall’Ici, e dimezzamento dell’Ires non sono privilegi, ma lo scrivono ugualmente. Quelli che sanno bene che all’8 per mille concorrono altre sette confessioni religiose diverse e pure la Stato, ma evitano di ricordarlo, come se concorresse soltanto la Chiesa cattolica, che riceve quanto i contribuenti italiani le attribuiscono, e se i contribuenti non firmassero più per lei non riceverebbe niente, quindi non ha alcuna garanzia. Quelli che sanno bene che l’esenzione Ici per gli immobili riguarda tutti, assolutamente tutti gli enti senza scopo di lucro, purché utilizzati per alcune attività di rilevanza sociale, non solo quelli religiosi. Quelli che sanno bene che la riduzione del 50% sull’imposta sul reddito delle società (Ires) si applica agli enti religiosi in quanto questi sono equiparati agli enti aventi fine di beneficenza e di istruzione, e la riduzione non vale per le attività commerciali. Quelli che sanno tutto questo ma fanno il pesce in barile e lasciano che il popolo italiano se la beva.

Quelli che su Facebook scrivono che il  97% della quota 8 per mille dello Stato torna alla Chiesa cattolica. Quelli che più la spari grossa più sei credibile. Quelli che, non appena il cardinale Bagnasco denuncia la piaga dell’evasione fiscale, attaccano con virulenza la Chiesa cattolica. Quelli che quando scoppia la crisi e la gente mugugna e si agita, cercano un nemico, un mostro, il colpevole del disagio e lo additano alla rabbia popolare. Quelli che creano il ‘mostro’ verso cui indirizzare la rabbia popolare per poter governare il malcontento, come fanno tutte le dittature.

Quelli che tante panzane messe in fila e ripetute ossessivamente diventano una verità. E infine quelli che, e siamo noi, troppe coincidenze non sono una coincidenza.

 

                                                           Umberto Folena (da ‘Avvenire’ del 21-8-2011)

 

  RIFLESSIONI ESTIVE
di Romano Parodi


 

 

IL DOLORE

Ho partecipato alla conferenza di due sacerdoti, Don Alessandro, parroco di Fossola, e don Gallo: entrambi hanno detto di non confondere la morale con la fede. Questo argomento è, da sempre, un mio vecchio pallino; e mi riferisco principalmente al ‘fine vita’.

Dalla storia cristiana ho imparato a comprendere, prima d’ogni altra cosa, il dolore altrui. E verso il dolore  altrui non possiamo che provare un senso di umanità e di rispetto. I moralizzatori che si ergono a giudici danno innanzitutto una dimostrazione di insensibilità. Molti cristiani vogliono che la chiesa partecipi alla vita politica e a tutte le decisioni etiche e morali del nostro tempo. Ma appartiene davvero al messaggio di Gesù un’intenzione Ho partecipato alla conferenza di due sacerdoti, don Alessandro, parroco di Fossola, e così marcatamente moraleggiante? Sapere ciò che si deve o non si deve fare? Nei laboratori scientifici o nelle camere da letto? Nei parlamenti o nel segreto delle coscienze? Non sarà che la vita e le parole di Gesù siano qualcosa di più e di meglio di una morale? La morale, dice lo Zingaretti, appartiene ai costumi del tempo, ma i tempi cambiano. La Chiesa di Cristo, essendo la schiavitù un’istituzione dello stato, non ha mai predicato la sua  abolizione, ma ha raccomandato di dare a ogni uomo un valore morale pari a quello dei padroni. Ed è questo che ha sconfitto la schiavitù, non certo Spartaco.  L’unica via Maestra è troppo grande per non vederla e non percorrerla con fede e speranza: la Vita e le Opere di Gesù, che non stabiliscono regole di morale pubblica, ma di vita individuale. Questa è la luce di Cristo : “Vieni a me tu che sei oppresso e io ti consolerò”.

Oriana Fallaci, “atea-credente”, era nemica dell’Islam proprio perché l’Islam interferisce nella società civile. “Una religione che, mettendo Allah al posto delle leggi e dello stato, governa in ogni senso la vita dei suoi fedeli e quindi altera o molesta la vita degli altri… Una religione che nella separazione tra Stato e Chiesa vede una bestemmia… La religione cattolica, nonostante i suoi Papi e i suoi roghi, ci ha trasmesso l’insegnamento di un uomo innamorato dell’amore e della libertà, un uomo che dice: date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Perché consegnarci al giogo di un credo che  vede in Dio e in Cesare la medesima cosa?. (“La forza della ragione”). E non dimentichiamoci mai l’orgoglio di appartenere ad un credo che, lo scrive anche l’ateo Benedetto Croce, “è la più grande e meravigliosa rivoluzione dell’umanità e l’ultimo baluardo contro la barbarie” (“Perché non bisogna non dirsi cristiani”).

 

 

 ANZIANI E SOLITUDINE

Troia, vinta più dall’astuzia di Ulisse che dalla virtù guerriera di Achille, è tutta un bagliore di fiamme. I troiani fuggono sbandati e senza meta. Enea, anche a costo di pregiudicare la salvezza sua e del figlioletto, si carica sulle spalle il vecchio Anchise: “Fai presto padre a salire sulle mie spalle; io stesso mi curvo, e il tuo peso non mi riuscirà greve”.

            Dopo un’estate in cui – dicono i media – molti figli in partenza per le vacanze si sono liberati dei genitori, lasciandoli soli, o in balia di estranei, mi piovono nella mente e nel cuore questi versi di Virgilio.            La scienza ha allungato la vita, sì, ma anche la vecchiaia, la sofferenza, la solitudine. Leopardi nel canto “Amore e morte” credeva che fosse una scienza sbagliata. Egli non sapeva che farsene dell’arte di prolungare la vita: preferiva quella di far felice la vita.

            I figli, lontani dalla casa paterna per lavoro (“dopo 13 anni di precariato, a malincuore, per sopravvivere ho dovuto emigrare e ho lasciato i miei anziani genitori proprio quando è arrivato il momento biologico per dovere star loro vicino”),  hanno la loro famiglia e hanno bisogno di svagarsi. Enea rappresenta una volta… Una volta c’era una veneranda età venerata.

             Si, oggi gli uomini vivono di più. Ma sono felici? Sono felici i vecchi depositati nella solitudine e nell’abbandono, quando l’estate infuria e i figli scappano verso il mare o la montagna?. I vecchi non parlano, rispondono soltanto, e a fatica, oppure, a volte, solo dal fondo degli occhi. Anche ricchi sono poveri, non hanno più illusioni. Ascoltano ossessivamente la pendola dell’orologio che ronza in salotto, che dice sì, che dice no, che dice t’aspetto. I vecchi non sognano più, il loro libro è chiuso, il loro

pianoforte è muto. Non si muovono più, i loro gesti hanno troppi impedimenti, il loro mondo è troppo piccolo: dal letto alla poltrona, o dal letto alla sedia a rotelle davanti alla finestra, poi dal letto al letto, il tempo di cambiare le lenzuola che hanno sporcato. E se escono ancora, uno a braccetto dell’altra, nei loro vestiti rigidi, per andare a sedersi silenziosi sulla panchina del giardino, è il tempo di un singhiozzo, è dimenticare per un’ora la pendola del salotto. I vecchi non muoiono, si addormentano. Si tengono la mano perché hanno paura di perdersi, e tuttavia si perdono. E l’altro resta là, il migliore o il peggiore, il dolce o il severo, questo non importa, quello dei due che resta si ritrova all’inferno. Lo vedrete, forse lo vedrete qualche volta, nella solitudine e nel dolore, attraversare la strada, incurante di tutto, estraneo a un mondo che più non gli appartiene. E allora torna là, dove la pendola dice si, dice no, dice t’aspetto.

La giovinezza è un’amante infedele anche per te bella. Puoi dargli tutto, ma ti lascerà ugualmente; solo l’età ti sarà fedele per tutta la vita.

UTOPIA

            In questo eccitante gioco estivo (ma non troppo) “dell’indovina cosa ci vuole per uscire dalla crisi” finiscono sempre per tirare in ballo le pensioni. Dalla Marcegaglia a Casini e molti altri (anche Travaglio) urlano: “La tassa ai ricchi sopra i 90mila euro è un obbrobrio, meglio si mettano le mani sulle pensioni”.

            Vecchi pensionati da mille euro al mese vengono accomunati  alla cricca dei vecchi privilegiati da trentamila euro al mese che come cavallette sempre più numerose divorano tutto lasciando solo le briciole, anche se, come quelli da mille euro, stanno sulla sedie a rotelle e non producono più nessuna ricchezza.

            A questo eccitante (ma non troppo) gioco estivo voglio partecipare anch’io e faccio questa proposta: perché non portiamo tutte le pensioni a mille euro al mese? Si risparmierebbe tanto che, addirittura, si potrebbe abbassare l’età pensionabile. Altro che aumentarla. Si libererebbero anche tanti posti di lavoro per i giovani.

            Niente illusioni: è come abbaiare alla bronzea faccia della luna.

  DA MADRID A RIO DE JANEIRO, PASSANDO PER ASSISI
di Egidio Banti


 

DA MADRID A RIO DE JANEIRO, PASSANDO PER ASSISI


“Noi vescovi siamo rimasti particolarmente colpiti dall’entusiasmo di questi giovani. Questa grande gioia è stata quindi un dono per noi vescovi – i vescovi italiani erano 110 – ed è stata un dono per la Chiesa intera come anche per la società”.

Queste parole pronunciate dal cardinale Angelo Bagnasco alla Radio Vaticana all’indomani della Giornata mondiale della gioventù di Madrid pongono, insieme alla soddisfazione di chi ha potuto vedere la capitale della “laica” Spagna inondata di giovani festanti intorno al papa, un tema sul quale è importante riflettere.

Bagnasco dice infatti: “Un dono per la Chiesa intera ed anche per la società”. Ci sarà tempo, con più calma e forse con meno emozione, di approfondire questo concetto. Ma il senso mi sembra chiaro. Nella fase di vorticosa trasformazione che la società mondiale sta attraversando in questo primo scorcio del terzo millennio, la Chiesa cattolica – e più in generale, forse, l’esperienza religiosa in quanto tale – non solo non appare residuale e fuori contesto, bensì ripropone la testimonianza forte e concreta di un cammino di promozione umana.
La “missionarietà” della GMG di Madrid, a ben pensare, ribalta come in un paradosso il tema antico della “Missio ad gentes” e, quindi, della evangelizzazione.

I giovani convenuti da tutto il mondo in un luogo davvero significativo, suggestivo anche per il nome (l’aeroporto dei “Cuatro vientos”), non erano lì per imporre la loro fede e nemmeno per forzare altre persone a comprenderla. Ma erano lì per viverla, quella fede, dimostrando una forza insieme interiore ed esteriore, come nella capacità di affrontare non solo i disagi di quelle giornate ma persino l’inattesa burrasca del sabato notte, che tanto ha impensierito i genitori e gli amici lontani, compresi, credo, quelli di Ortonovo …
Testimoni di fede, dunque, e in quanto tali missionari di speranza e di carità in un mondo incredulo e sospettoso, capace di rimuovere un evento del genere dalle prime pagine dei giornali, invece che descriverlo ed analizzarlo come un evento davvero singolare e stupefacente.

Idealmente, l’appuntamento è ora per un’altra giornata che vedrà ancora protagonista Benedetto XVI: l’incontro interreligioso di Assisi del 27 ottobre, a venticinque anni dall’iniziativa presa dal beato Giovanni Paolo II. Associare la forza del pensiero religioso alla testimonianza cristiana di Madrid rappresenta una grande sfida per il nostro tempo, una sfida dalla quale può dipendere l’evoluzione stessa dei valori di libertà e di solidarietà così tanto poco praticati in molti paesi cosiddetti civili.

L’ulteriore appuntamento a Rio de Janeiro tra due anni - ovvero nel cuore pulsante e ricco di contraddizioni di uno dei grandi paesi emergenti - sarà un’altra tappa molto bella e importante in questo cammino storico di sfida costruttiva al proprio tempo.

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