N° 10 - Dicembre 2010
Storie dei lettori
  Il gatto
di Carlo e Giovanna Lorenzini


 
 
 

Carissimi della redazione

Un caro saluto, congratulazioni per il giornalino e un augurio che sia sempre migliore. Ho preso occasione dall'articolo di Romano Parodi, per inviarvi un po' di cose sul gatto. Credo possano far seguito, se è necessario, all'omaggio che il nostro Romano fa alla sua Gattina. Il gatto, come il cane, è fra gli animali che sono amici dell'uomo. Ma il gatto è un amico un po' particolare. Perché costituisce una figura morale: è il simbolo dell'indipendenza e della libertà. Inoltre è un animale paziente: se vuole una cosa insiste fin che non la ottiene; e sa attendere ore e ore senza stancarsi mai. L'ultimo con cui abbiamo avuto a che fare, è capitato da noi, nella nostra villa chi sa da dove.  E' comparso qui una mattina di inizio estate 2010. già con l'intenzione di rimanervi. Il posto era bello; in piena campagna, ricco di querce, di noci, di ulivi, di allori, di acacie, di cipressi; e abbellito da ogni qualità di fiori. Io ho tentato di cacciarlo via con il bastone, con la scopa, con l'urlo della voce: "Vattene, gattaccio!" (che poi un gattaccio non era: un pelame tutto grigio; una siluette piena di armonia, un musetto birichino, due occhi chiari, profondi che ogni volta guardavano stupiti le mie reazioni chiassose e scomposte per mandarlo via); ma lui non si moveva, non aveva paura del bastone né della scopa; anzi ne approfittava per afferrarne le estremità con le zampine anteriori e per giocarci. Tanto che invece di arrabbiarti poi lasciavi correre e invece di ulteriori sgarbatezze gli davi un po' di chitecat. Ora è padrone dell'ambiente: mi segue uvunque vada nel podere; mi disturba mentre lavoro, perché lui vuole giocare: mentre cammino, lui vuole camminare con me, mettendosi fra le mie gambe. Io cerco di cacciarlo via con il bastone: Mi fai cascare! Ma lui non capisce queste cose pratiche; Lui sente l'affetto e questo affetto lo vuol dimostrare facendoti lo sgambetto.Che fare, in questo mondo privo d'amore e ricco invece di follia, di crudeltà, di efferatezza? Anche l'amore di un gatto ti riconcilia con la vita.

   Comunque non è il solo gatto che vive da noi. C'è una gattina oramai anziana, che è qui da diversi anni. E c'è un certo numero di altri gatti, che passano nelle ore dei pasti: colazione, pranzo e cena. Dimenticavo di dire che il gatto sa essere anche un parassita eccezionale. Ma quando ti guardano fiduciosi oppure quando ti miagolano speranzosi, come fai a dire di no?

 

   Noi, io e mia moglie, vi ringraziamo della vostra bontà nei nostri confronti, e della frequenza con cui ospitate i nostri scritti nel Sentiero, vi auguriamo ogni bene e sempre maggior successo, Carlo e M.Giovanna Lorenzini.

Montepulciano 08.10.10.

 

 

 

 
 

  Lettera al “Sentiero”
di Paola G. Vitale


 
 
 

Lettera al “Sentiero”

 

         Cari amici,

il prof. Giuseppe “è” “Il Sentiero”, per questo ci è difficile accettare l’assenza dei suoi scritti. In tanti anni, anche io, che sono proprio nessuno, qua a Luni Mare, ne ho apprezzato le rare qualità, lo stile di tutta una vita, che traspare da ogni sua riga; figuriamoci come il suo amico, Walter, possa affrontare una sua possibile ‘defezione’.

         Oggi, 31 ottobre, piove spaventosamente ed ogni via è un lago; allora mio figlio mi ha accompagnato alla chiesa per preparare la Parola per la festa di Tutti i Santi. Uscendo tre copie de “Il Sentiero” di novembre da portare a casa e  leggere con calma. Ogni pagina è preziosa nel suo genere e altrettanto lo sono le notizie riguardanti le occasioni di incontro, sia di festa insieme, sia di preghiera. Di noi (Luni Mare) vi dico che domenica 7 novembre faremo la ‘castagnata’: momento di aggregazione per questa frazione che si incontra solitamente al bar-edicola, al panificio, al centro CONAD o al servizio farmaceutico. Avremo inoltre, dal 2 al 9 novembre, il Rosario e la Santa Messa alle ore 17 di ogni giorno. Questa buona occasione di preghiera ci sottrarrà a qualche momento di compartecipazione a San Martino, il 2 novembre, e anche alle letture presso il cimitero, presso le lapidi di Caduti, nel giorno 4. Perciò non considerateci assenti, bensì, associati nella preghiera. Rimane l’adorazione di giovedì 11, e a questa, a Dio piacendo, potremo partecipare tutti. Sentiremo vicino a noi, come l’abbiamo visto tante e tante volte, il prof Giuseppe Franciosi: saremo insieme, nell’affetto e nella fede.

         Anch’io comincio a sperimentare il tempo “del non fare” e dopo qualche ritrosia ho imparato ad offrire nella preghiera ogni occasione di aggregazione cui devo rinunciare.

         La vita è un dono, sempre e comunque; beato colui che l’accoglie nella fede in Cristo Gesù. Allora anche i momenti della rinuncia, del bruciante dolore, hanno il loro riscatto, ma soltanto volgendo lo sguardo al promesso, vittorioso traguardo, guadagnato per tutti dal Figlio di Dio.

         Con San Paolo apostolo diremo: “Ho conseguito il premio, il traguardo della vita, ho mantenuto la fede”. Non saranno proprio le esatte parole, ma è esatto il contenuto, per tutti i battezzati, per tutti i giusti, per tutti i credenti.

         Grandi auguri a tutti.

                                                                                       Paola G. Vitale

P.S.) Sabato 6, mattina, con tutti voi, col vescovo Francesco, a Sarzana. Grazie.

 

 
 

  Lettera al Sentiero
di Antonio Ratti


 

 

 

 

Caro “IL SENTIERO”,

                                      buon compleanno!    Gli auguri te li meriti tutti. 

Senza clamore, ti sei conquistato il tuo spazio nel tessuto sociale, ti sei fatto adulto senza invecchiare, anzi, con l’ ingresso su Internet, hai mostrato tutta la tua capacità di innovarti per raggiungere luoghi e lettori lontani e lontanissimi.

    In quel lontano mese di dicembre ti sei presentato in punta di piedi con pochi fogli e una veste modesta:

col tempo, pur mantenendo la tua semplicità, hai acquisito aspetto e contenuti di tutto rispetto.

   Piano, piano sei entrato, mettendo solide radici, nelle comunità del territorio di Ortonovo: ormai sei un punto fermo per i tanti lettori che ogni mese attendono la tua uscita.

   Ricordo il dott. Tarcisio, che, vedendomi in sala d’attesa leggere il primo numero, mi propose di partecipare e collaborare: da allora la mia presenza è stata senza interruzioni e spero, per me, che duri il più a lungo possibile.

   Un suggerimento: non dimenticare mai che sono stati i lettori a farti protagonista di una bellissima avventura ventennale, unica nella nostra Diocesi, pertanto ascoltali con attenzione e ricordati di essere uno strumento attento di dialogo e di raccordo tra le comunità alle quali ti rivolgi.

   Tanti collaboratori sono passati, alcuni hanno abbandonato, forse  - e me ne rammarico – per non aver colto il valore di testimonianza della fede che tu porti nella società civile.

    Ancora auguri e grazie per avermi accolto nella tua Redazione, prima come ospite, poi a pieno titolo: il non venir meno agli obiettivi che sono la tua ragione d’essere è per me un impegno costante e gratificante.


  Ciao, “Don”
di Doretto


 

 

 

Ciao, “Don”

 

         Mercoledì, 10 novembre . Le campane della chiesa di Caffaggiola spandono i loro rintocchi nella vallata. Sono rintocchi monotoni, portatori di mestizia infinita. Sono rintocchi di “campane a morto”. Un brivido attraversa il nostro corpo, che prende anche l’anima.

         Eccola, la notizia portata da quei rintocchi: don Lodovico ha alzato le vele ed è partito per la Casa del Padre. Sono le ore 10 di mattina. Eccola: “l’ora della nostra morte”. Anche se ho la netta certezza che il “Don” è  ancora vivo ed è insieme ai Santi. Il distacco umano è doloroso: anche Gesù ha pianto dinanzi alla tomba di Lazzaro morto, perché Lazzaro era un suo amico. E don Capellini era un amico, amico di tutti.

         Chiudo gli occhi e me lo vedo arrivare come quando, spesso, mi veniva a trovare e passavamo il tempo a raccontarci delle cose di Dio, di Maria, ed erano momenti di gioia, momenti di Paradiso futuro. E parlavamo anche della natura che tu amavi: parlavamo di piantine, di alberi, di olivi, di rose, di frutti; ricordo quella pianta di gelso che nel mio giardino era diventata troppo ingombrante e tu un giorno arrivasti con una ruspa ed un camion, l’abbiamo sradicata e trapiantata in mezzo al prato vicino alla tua chiesa. E’ diventata una pianta grande, meravigliosa, forte, sana: era come te, finché un microbo invisibile non ha colpito la tua forte fibra e ti ha spezzato. Ha spezzato il tuo corpo, ma non la tua anima. Sei rimasto come una roccia, ancorato al nostro Dio fino all’ultimo. Quel Dio a cui tu hai dedicato tutta la tua vita. Eri una roccia alla quale noi abbiamo potuto aggrapparci quando ne avevamo bisogno, sicuri di trovarti.

         E poi Dio ha voluto anche farti provare il peso della croce, quando negli ultimi mesi di vita ti sei ammalato e i dolori erano diventati insopportabili, e tu pregavi, pregavi…Sono sicuro che pregavi non per te, ma per tutti noi, per la tua Chiesa, per il mondo che desideravi più buono di com’è. Sarai d’esempio per i posteri.

         Ciao, “Don”, mi auguro che Gesù abbia pietà di noi e un giorno ci faccia partecipare al Banchetto del Cielo assieme a te e a tutti gli altri amici. Sto piangendo. Non mi vergogno. Proteggici da lassù! Fa che si realizzi il Disegno di Dio su ciascuno di noi. Questo tu volevi.

         E  ora puoi intercedere per noi affinché ciò avvenga.  Ciao, “Don!

        

        Sabato 13 novembre.  Oggi si sono svolti i funerali. Quanta gente! E quanti preti! Sembravano i funerali di un Papa! Ma tu per noi lo eri un papa, anzi, un papà!

         Il vescovo Francesco ha celebrato la Santa Messa e all’omelia ha detto cose meravigliose, confermando ciò che noi già sapevamo. L’affetto e il bene che tutti ti volevano si poteva toccare, era tangibile nell’aria che si respirava nella chiesa gremita all’inverosimile.

         Alla fine sei partito: te ne sei andato a Volastra dove ti aspettavano tua mamma e tuo padre in quel piccolo cimitero lassù, sopra i terrazzamenti delle 5 Terre, da dove si possono ammirare il mare e il cielo infinito.  Ciao, di nuovo!  

  PROGETTISTA DI CHIESE
di Padre Carlo Cencio Missionario Carmelitano


 
 

Quando mi mandarono a Baoro vi trovai una costruzione in mattoni cotti al sole coperta con lamiera ondulata. Era di pianta rettangolare e divisa in due parti: un grosso garage magazzino, che fungeva da chiesa, e tre stanzette, più un disimpegno per i missionari.

         Baoro fino a quel momento era stata solo una semplice stazione di brousse, pur essendo sede di sottoprefettura. Vi avevano già lavorato i missionari francesi e i padri cappuccini di Bouar, che mi avevano infine affidato la missione. Mi stava molto a cuore il centro di Baoro, che desideravo  trasformare in una missione stabile. Desideravo però che il cammino fosse fatto insieme alla comunità cristiana e il progresso fosse voluto e assimilato da tutti. Ora la mia presenza, la catechesi e la disponibilità erano già un segno. Così lo erano le riunioni dei catechisti e dei consiglieri, quelle dei vari movimenti degli adulti e dei giovani.  I cristiani cominciavano a sentirsi missione, a volte insistevano che qualcosa doveva cambiare. Alla domenica quel magazzino-chiesa era gremito; cantavano con entusiasmo e tutti erano emozionati per la festa.

         Dopo qualche settimana dal mio insediamento, avendo ormai percepito parecchi malumori, radunai tutta la popolazione cristiana. Era domenica e l’assemblea ebbe luogo dopo la Messa. Ormai mi conoscevano e sapevano che sarei stato stabilmente fra loro. Chiesi allora cosa si aspettavano che io facessi in mezzo a loro. Qualcuno, nelle prime file, prese la parola e mi disse: “Forse che tu non sai cosa devi fare in mezzo a noi?”. E un altro: “Ma non sei tu l’uomo di Dio?”. E un terzo: “Non sei venuto a farci conoscere la parola di Dio?”.

         “Sì, certo”, risposi, “credo proprio che questo sia il mio primo dovere, ma io voglio dirvi che sono qui con voi anche per aiutarvi a crescere e a migliorare materialmente. A questo scopo i cristiani italiani mi hanno inviato alcuni milioni da spendere per voi…e me ne daranno ancora. Io sono qui per chiedervi un parere, quali sono i vostri punti di vista e i vostri desideri più immediati. Io voglio venire incontro alle vostre necessità. Vi faccio alcuni esempi: volete che organizziamo una cooperativa agricola? Desiderate un villaggio più pulito con case più solide? Vorreste che qui alla missione ci fosse un dispensario per il pronto soccorso e per i lebbrosi? Volete che si faccia l’asilo per i bambini e il centro sociale?  Volete che costruiamo una chiesa per le celebrazioni della domenica? O preferite una falegnameria o un’officina meccanica?”.

         Dopo questa serie di esempi molto concreti, cominciò la discussione. Dopo aver valutato i pro e i contro di ogni proposta, tutte furono bocciate. Mi dissero: “Le case ce le sappiamo costruire dall’età di dodici anni: non si preoccupi, non è una cosa urgente. Dio ci fornisce la legna e di erba a ogni pioggia. In quanto al dispensario, sì, è una cosa buona, ma ci sono quello protestante e quello civile; non sono molto attrezzati, ma si può aspettare. Riguardo alla cooperativa…qui tutto è del governo e poi…se non se ne occupa lei, qui nessuno di noi è in grado di gestirla. Ecco, si potrebbe costruire l’asilo: quello che c’è è una capanna, ma…non ci sono maestre. Ci vorrebbero le suore come nelle altre missioni. Ma certo verrà col tempo…così come verrà la falegnameria…”.

         Fin qui il dialogo si era svolto a voce alta fra i notabili delle prime file e me. Le donne intervenivano poco, ma con precisione e proprietà di linguaggio. I giovani lasciavano parlare gli adulti. “Ma allora”, chiesi, “cosa devo fare innanzitutto?”. Il capo consigliere, guardando quelli che gli sedevano vicino e rivolgendosi a tutta l’assemblea, disse: “Il padre è qui tra noi per aiutarci, è qui come uomo di Dio, per la preghiera e per le nostre riunioni di cristiani. Ormai siamo tanti. Baoro deve diventare una vera missione e noi siamo ancora senza chiesa; io credo che sia giusto che prima di tutto il padre pensi alla chiesa”. Gli occhi di tutti si illuminarono dicendo: “Sì!”.  

         Il catechista prese la parola e ripeté quasi per filo e per segno quello che aveva detto il consigliere. Al termine tutta l’assemblea cominciò a battere le mani dicendo: “Vogliamo la chiesa, la chiesa, la chiesa!”. “Ho capito, ho capito… Ma guardate che la chiesa dovete costruirla voi, lavorando sodo. A voi toccherà ammucchiare le pietre, la sabbia…e lavorare ogni volta che ne avremo bisogno. Dovete capire che la chiesa non è mia, è vostra; io un giorno me ne andrò, ma la chiesa resterà”. “Certo, padre, questo lo sappiamo”, mi disse uno dei notabili, “terremo bene la chiesa…non è la casa di tutti? Sarà la nostra casa perché è la casa di Dio. Con la chiesa non ci sentiremo forse be-oko, cioè un cuore solo”.

         Queste ragioni mi convinsero e misi in moto tutto il necessario per passare all’opera. Avevo preparato un progetto a pianta ellittica e lo presentai subito per l’approvazione in sottoprefettura, dopo che il geometra Zedda l’aveva messo in scala. Questa chiesa consisteva in un grande vano ad ellisse con due entrate laterali, un pavimento con panche ad anfiteatro, leggermente degradanti verso l’altare. Il tetto in lamiera era sostenuto da capriate in legno rosso. Per evitare i grandi caldi si era pensato poi a un controsoffitto in perlinato. Sarebbe stato verniciato a colori vivaci sia fuori che dentro. Le finestre erano costituite da foratoni in cemento, disposti su piani alternati. Sul frontone si elevava un leggero campanile a triangolo. Sulla facciata, al centro, c’era una grossa croce a foratoni con le tre stelle dello stemma carmelitano. L’interno sarebbe poi stato dipinto con scene bibliche da padre Bernard, un cappuccino della Savoia.

         Costruimmo 25.000 mattoni di cemento, procurammo il ferro, il legname e il lavoro fu affidato a fratel Corrado di Berbérati. Egli venne con due carpentieri e due muratori. Io cercai altri muratori e manovali: in tutto una trentina di operai. Edificammo la chiesa e la casa delle suore. In quattro mesi posammo il tetto e in altri quattro mesi completammo le rifiniture. Il complesso venne inaugurato dal vescovo, monsignor Baud, e dal nunzio apostolico, monsignor Tagliaferro, il 9 marzo 1975. La chiesa, che misura 32 metri per 17, sembra una nave capovolta. Mi auguro che resti sempre a galla e non affondi mai, per la salvezza dei fratelli di Baoro.

 

 
 

  Don Giancarlo Gramolazzi,
di Romano Parodi


 

    Morto don Giancarlo Gramolazzi,

Presidente Internazionale degli Esorcisti
 

Martedì 9 novembre, la Radio Vaticana ha dato notizia della morte di don Giancarlo Gramolazzi.

            Giancarlo era nato a Ortonovo nel 1944 e già a 12 anni iniziò il suo cammino vocazionale, seguendo le orme del fratello Giorgio, nella famiglia fondata da S. Luigi Orione, dove, nel 1973, fu ordinato sacerdote. Veniva spesso, assieme al fratello, a trovare la vecchia madre (la Nita), morta nel 2005, all’età di 102 anni. Pochi mesi or sono, venuto a trovare i fratelli, abbiamo parlato a lungo sulla rotonda del Santuario, dove lui passeggiava leggendo il breviario. Era un amico, lo chiamavo semplicemente Giancarlo. Avevo letto sul settimanale “Oggi” un lungo articolo sulla sua attività di esorcista e gli chiesi delucidazioni. Questa, in sintesi, la  sua risposta: “Il catechismo della Chiesa ci ricorda che l’esistenza degli angeli e dei demoni è una verità di fede”. “San Paolo ci dice che dobbiamo combattere contro il male di Satana”. “Cristo era esorcista e il Vangelo documenta numerose liberazioni che egli ha operato a beneficio degli indemoniati, e ha dato agli apostoli il potere di cacciare i demoni”

            E’ scomparso dopo grave malattia ha detto Radio Vaticana; e io non sapevo nemmeno che fosse ammalato, e la sua morte mi ha gettato nello sconforto.  Sapevo che nel suo passato aveva superato gravi traumi: da bambino aveva perso un occhio; un  tumore, più di vent’anni fa, gli aveva devastato la faccia ed aveva, quindi, difficoltà di parola, ma nulla era riuscito a fermarlo.

            Don Giancarlo ha svolto l’incarico di assistente all’Istituto Orfani di Roma - Monte Mario. Nel 1990 è diventato direttore al Piccolo Cottolengo di Monteverde, sempre a Roma, e qui ha voluto passare gli ultimi giorni, nei momenti terminali della sua nuova grave malattia.

Eletto presidente degli Esorcisti nel 2000, fu confermato nel 2008 a Perugia, dove si è svolto il IX congresso Internazionale (vice il messicano padre Caro). La liturgia esequiale è avvenuta nella parrocchia romana di Ognissanti, presieduto dal suo confratello e amico monsignor Giovanni d’Ercole, vescovo ausiliare dell’Aquila; e concelebrata da una sessantina di sacerdoti alla presenza, oltre che dei familiari, e dai membri della Congregazione della Divina Provvidenza, anche da alcuni esorcisti e molti rappresentanti dell’Associazione “Famiglia dell’Immacolata”, fondata dallo stesso don Giancarlo. E proprio questa “famiglia” ne ha richiesto e ottenuto la salma.

            A Ortonovo, nella Messa di suffragio, il fratello don Giorgio, ne ha tracciato un ricordo indelebile. “ Il demonio mi ha combattuto fin dall’infanzia”, diceva don Giancarlo, “come se presagisse l’indomabile nemico”, dice don Giorgio. A un giornalista che gli chiedeva il perché della sua poca presenza sui media, così rispondeva: “Io sono solo una pedina di Dio, quello che ho costruito l’ho costruito su ordine Suo. A Lui tutto l’onore e la gloria”. Questo era don Giancarlo.                     

            Ciao, caro amico, non ci dimenticare. 

 

 
 

  Quando il Sentiero uscì in edizione straordinaria
di Elio Gentili


 
 

In occasione del 20° anniversario della nascita del “SENTIERO” voglio raccontare un fatto significativo delle condizioni in cui iniziò e le difficoltà che dovettero essere superate per il proseguimento delle pubblicazioni del nostro Giornalino.

          Leggendo gli atti delle visite pastorali che nel corso  del  secolo scorso  i Vescovi hanno compiuto nelle nostre parrocchie, emerge un dato inequivocabile: i cattolici a Ortonovo sono sempre stati minoranza. Una svolta significativa la si ebbe a partire dagli anni '70, in seguito alle novità introdotte dal  Concilio Vaticano II che suscitò itinerari di evangelizzazione raccogliendo consensi, specie tra i giovani.        Con l'arrivo dei nuovi parroci don Felice Giacometti, don Lodovico Capellini, don Giovanni Dalla Mora e don Mario Rinaldi fu possibile dar vita al “Gruppo Interparrocchiale”. Ecco, il bollettino interparrocchiale “Il Sentiero” nacque in questo periodo e subito si fece apprezzare per le pagine di cultura religiosa, per le catechesi,  per la valorizzazione del territorio e delle tradizioni religiose. La Redazione in quei primi anni era ubicata in una saletta del convento del Mirteto,  e proprio  il Santuario divenne il centro  di tutte le iniziative delle aggregazioni cattoliche ortonovesi.

         I problemi organizzativi e finanziari c'erano, e l'uscita mensile nelle parrocchie era sempre condizionata dai capricci del vecchio ciclostile che  spesso si inceppava, dai ritardi dei collaboratori parrocchiali nell'inviare gli articoli, ma nonostante le difficoltà  il bollettino veniva distribuito puntualmente in tutte le chiese.

          Solo una volta si rischiò di non poter tener fede agli impegni. Correva l'anno 1991 e nella parrocchia del Preziosissimo Sangue di Luni era in corso una battaglia pacifica per difendere dall’esproprio una parte del terreno adiacente alla chiesa per costruirvi una scuola. Fu chiesto alla Redazione del “Sentiero” di uscire per l'occasione con un'edizione straordinaria in 1000 copie per  mettere a disposizione della comunità tutta la documentazione relativa all'esproprio.  Subito  ci mettemmo al lavoro e, assemblate le pagine, disegnata una bella copertina, fu dato il via al cigolante ciclostile. Dopo aver stampato appena una cinquantina di copie il marchingegno si inceppò  senza possibilità di farlo ripartire. Provammo a smontare  il coperchio, poi il cilindro, poi il rullo, poi la boccetta dell'inchiostro, ma niente da fare.  Stavamo per rinunciare e tornare a valle quando, all'improvviso, comparve don Mario. Informato della situazione non si scompose: andò in cucina e di lì a poco tornò con un vassoio pieno di tazze di tè fumante e di amaretti di Sassello, e ci invitò a  fare una pausa. Terminato lo spuntino, si alzò con calma, si avvicinò al ciclostile, infilò una mano tra gli ingranaggi, armeggiò un pochino e la tirò fuori tutta inchiostrata, poi schiacciò il pulsante e come per incanto  la macchina partì  con un rumore sonante liscio, quasi musicale riprendendo a sfornare velocemente pagine su pagine  nitide e senza sbavature. Lavorammo  fino a notte fonda, e finalmente le 1000  copie furono pronte per essere distribuite.  Prima di salutarci  chiedemmo a don Mario: “Ma come ha fatto ad aggiustare il ciclostile?” E lui imperturbabile: Io? Niente! Ho messo la mano dentro l'ingranaggio, ho dato la benedizione con un ditino, e la macchina  è ripartita”.

 Grande don Mario!

Altri tempi, ma indimenticabili.

Ora disponiamo di una fotocopiatrice moderna, automatica e veloce.

Per le forniture dei materiali di consumo (inchiostri, carta  e quant’altro) siamo aiutati dalle generose offerte dei nostri lettori, ai quali va il nostro ringraziamento.

E’ ripresa la pubblicazione su Internet (interrotta per un certo periodo) e dalle E-mail ricevute possiamo dire che il servizio è gradito ed ha ampliato la platea dei nostri lettori.

Un “Grazie” quindi ai lettori del “Sentiero”, ed ai Volontari impegnati nella pubblicazione un incoraggiante “Buon proseguimento”

 

 

 
 

  Cara mamma,
di I figli Carla, Silvana, Giuliana, Mauro.


 
 
 

Cara mamma,

sono i tuoi figli che ti scrivono queste parole.

Sei stata una mamma esemplare che tutti avrebbero voluto avere.

 Ci hai sempre tenuto uniti, e così continueremo a esserlo.

Grazie, mamma, per tutto quello che ci hai saputo dare!

Sarai sempre con noi, nei nostri cuori.

 

 

 

  ALL’OMBRA DI UN CAMPANILE
di Angelo Brizzi


 

 

 

            E’ una primavera già ben inoltrata; il sole del meriggio è invitante per un percorso a ritroso lungo le rive della “Iara” (Parmignola), in un tempo lontano, ricordando una giovinezza spensierata, una vita posata, ed ora un presente che guarda a quel che non c’è più.

         Però ho vivo un ricordo: il mio nome cantato a mezza voce da una coetanea vestita di un “sacco”  color carta da zucchero, la moda di quella primavera. Un ponte a protezione da sguardi curiosi, all’ombra di un campanile, là, dove la Iara formava una “ria” ai piedi di un salice piangente. Ti tenevano lontano i moschini le sue fronde mosse da un lieve venticello che, salendo dal piano e arruffando i tuoi capelli, ci asciugava la fronte e il viso bagnati dagli schizzi d’acqua. Guardavo  il torrente che saliva su verso la sorgente e vedevo l’ombra del tricorno  (il cappello del parroco d’allora) che compariva e scompariva all’intercalare dei quarti dell’orologio del campanile che ci adombrava.

         Non c’è più il salice, non ci sono più i due nomi intagliati nel suo tronco. Dove le acque della Iara avevano formato quella amena “ria” c’è ora un ammasso di rovi e rifiuti di ogni genere. Vicini uno all’altro, seduti sulla sabbia, felici del trascorrere di quel tempo da un sogno all’altro, pur in compagnia del “tricorno”, lieti momenti volati via con l’incrociarsi dei nostri pensieri, con parole pronunciate a fil di voce; le nostre guance si imporporavano i nostri cuori si avvicinavano. Noi due, in unisono, con parole e pensieri di infinita dolcezza a progettare un futuro roseo, affidandoli al vento e allo sciabordio dell’acqua contro una pietra messa lì a bella posta  per noi.      Come ricordo avrai ancora quelle parole chi ti facevano arrossire ad ogni mio allusivo scherzoso addio. Non ci sono parole di speranza per un addio così lontano, né di conforto per una inesistente attesa in ricordo di innocenti baci.

         I rintocchi dell’Ave Maria, allora come ora, mi portano dal mondo dei sogni sulla “montata” per il ritorno.


  Dai "Pensieri" di un parrocchiano di Casano - S. Giuseppe
di Giuseppe Franciosi


 
 

Venerdì, 12.11.2010.

         Oggi, come spesso succede, è venuto a trovarmi Walter. La sua visita, per me, è un dono di Dio; mentre io non mi muovo mai da casa, lui, invece, è sempre in movimento. Mi ha parlato di Milano, dove nei giorni scorsi si è recato per un controllo: ha dei disturbi alle gambe e anche altri; un medico dei nostri posti che però presta servizio lassù lo segue con molta scienza e coscienza; poi mi ha parlato di tante altre cose che riguardano noi ortonovesi cattolici.

         In questi giorni ci ha lasciato uno dei nostri parroci, don Lodovico. Aveva la mia età, anni 88. La sua parrocchia era la più importante del nostro Comune ed ora bisognerà provvedere alla sua sostituzione. Fino a poco tempo fa noi, qui a Ortonovo, non avevamo problemi di parroci: al Santuario del Mirteto c’erano tre giovani missionari del Guatemala, ma uno ritornerà presto definitivamente al suo Paese; al piano don Lodovico e don Andrea. Ora, in poco tempo, da 5 sacerdoti scendiamo a 3. Don Andrea, vicario foraneo, col Vescovo gestirà la situazione nel migliore dei modi.

         Walter mi ha portato alcune copie del “Sentiero”, le prime uscite venti anni fa. Ho riletto alcuni articoli e rivissuto vicende di allora: ho rivissuto la nascita del “Sentiero”. Era un pomeriggio d’agosto del 1989; io, con altri amici, mi trovavo a Serravalletta, impegnato per la “Festa dell’Amicizia”. Le donne, compresa la mia Giulia, erano in cucina a preparare la cena; noi uomini, all’ombra, si chiacchierava. Ricordo che io feci questo discorso: dal 1° settembre sarò in pensione e quindi avrò tanto tempo da dedicare alle nostre attività, attività del mondo cristiano, cattolico. C’era, fra noi, anche Elio Gentili; io dissi: “Voi, di Nicola, durante l’anno, distribuite alcune volte una pubblicazione intitolata “Il Sentiero”. Se siete d’accordo potremmo farla nostra; impegnarci tutti a farne una pubblicazione mensile che consentirà a noi cattolici di tenerci in comunione, di informarci ed essere presenti. Tutti furono d’accordo e così è nato “Il Sentiero”, una pubblicazione che da vent’anni è presente a Ortonovo. Molti di quelli che quel pomeriggio erano presenti hanno collaborato e ancora collaborano per “Il Sentiero”; qualcuno invece se n’è andato: niente di strano. Quando ci si butta in qualche iniziativa succede sempre così: qualcuno continua a collaborare e qualcuno invece se ne va. Comunque “Il Sentiero” è ancora in piena salute e spero che dopo i vent’anni possa raggiungere altri luminosi traguardi. Possiamo già essere soddisfatti di quello che abbiamo fatto: nella nostra diocesi nessun’altra comunità ha fatto meglio di noi. Anche il nostro Vescovo ci sostiene e ci invita ad andare avanti.

         Walter oggi mi ha parlato anche di un altro problema: il Premio annuale “Il Sentiero”. L’anno scorso era stato assegnato a me, sebbene io fossi contrario; quest’anno doveva andare a Walter, ma l’interessato propone un’altra destinazione: in questi giorni è scomparso don Lodovico: assegniamolo a lui, alla  memoria. Credo che il parroco di Caffaggiola (la parrocchia più importante del nostro Comune) meriti questo riconoscimento. Il premio annuale del “Sentiero” vuole dare un riconoscimento a chi si è impegnato per la comunità ortonovese. E nessuno può disconoscere quello che don Lodovico ha fatto, ha costruito materialmente e spiritualmente. Non mi dilungo su questo tema perché ci sono, in questo numero del “Sentiero”, alcuni articoli che rendono viva testimonianza del magnifico lavoro svolto, in varie parrocchie del nostro Comune, da don Lodovico. Al suo funerale, in una chiesa strapiena di gente, c’era un numero incredibile di sacerdoti. Una signora seduta vicino a me ha detto: “Io ne ho contati 70!”. A me non era mai capitato di incontrarne così tanti né nella nostra, né nelle altre chiese della nostra diocesi. Evidentemente don Lodovico era molto conosciuto, molto stimato. Durante il funerale hanno parlato il nostro Vescovo, il nostro Sindaco e una parrocchiana.

         Capita spesso di sentire criticare la Chiesa, i preti in particolare; ma il funerale di don Lodovico ci conforta: i preti sono ancora, e speriamo per sempre, nel cuore della gente.

 

 
 

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