N° 8 - Ottobre 2009
Storie dei lettori
  Il pallore del Corso
di Dal Ceccardo di Lorenzo Viani


 

 

Il pallore del Córso

 

(dal "Ceccardo" di Lorenzo Viani).

 

 

            Le apuanate si erano susseguite in quei giorni, “una tocca l’altra” ma il Generale era abbattutissimo. Una mattina andai a trovarlo (eravamo stati fuori fin quasi all’alba) e lo trovai che leggeva Tacito. L’ampia fronte, chiomata di capelli arruffati, emergeva col suo pallore sul rimanente del viso un po’ più scuro. Gli occhi ceruli erano tuttavia folgoranti: Ceccardo doveva soffrire tremendamente; sudava ghiaccio, le dita ceree tambureggiavano convulse la fronte: - Ceccardo - gli dissi - tu soffri, stamane –.   - No, è qualche asse riscaldato –. Si avvicinò ad uno specchio e disse. - Non vedi? Vado assumendo il pallore del Corso -. Partì per Genova ed appena uscì dall’ospedale, per un terribile attacco di poliartrite si recò in convalescenza a Lavagna dall’amico Sanguineti. Di là, mi scrisse: - Lo Generale d’Apua è finito, sono qui da giovedì sera e mi pare un secolo. Delle gambe sto benino, delle braccia meno, ma come vedi, scrivo un po’ meglio di prima. Solo il braccio sinistro ho ancora ingessato e fermo all’omero. L’umore è nero d’inchiostro. Il nero è nell’anima mia, e più miglioro e più mi vien fuori senza pietà, come certi animaletti di mare. Temo che questa malattia sarà senza rimedio. Di qui mi ricondurrò a Sant’Andrea -.

            Il 3 febbraio 1915 l’Apua era in festa, Ceccardo tornava nella “sua terra”. Man mano che il treno s’inoltrava nella pianura versiliese, in ogni stazione salivano i fidi apuani, avvertiti del passaggio del Generale. Quando giunse a Viareggio il poeta era in compagnia di un buon manipoletto di fidi. La guardia di Viareggio attendeva schierata al completo. Sorretto da venti braccia fraterne fu trasportato su una carrozza. Fu quella una delle rare volte che ho visto sul suo volto l’emozione dell’accoglienza. Ma sotto quella maschera cerea, illuminata dallo schiarito azzurro degli occhi, noi intravedemmo la fine. Salimmo sulla carrozza e a gran corsa si attraversò il paese. La gente si scansava: - E’ tornato Ceccardo: ritornano le apuanate!-

            Si fece sosta all’osteria del “Buon amico”, molta gente era sull’uscio ad aspettare il poeta con fiori e palloncini colorati. Il “Buon Amico” ci aveva preparato un tavolone lungo e nel mezzo un enorme mazzo di garofani rossi. Il poeta aveva scritto che non poteva mangiare altro che carne bianca e i pescatori avevano portato ogni qualità di pesce che sapeva ancora di mare. Sul tavolo un doppio ordine di fiaschi.

- Mescete amici, un bicchiere al Generale, poi ‘andrà come andrà’! - Quando il poeta diceva ‘andrà come andrà’, diceva una cosa fatale. Si batteva in duello, diceva ‘andrà come andrà!’ Si avventurava nell’aria da un diretto in corsa ‘andrà come andrà’, ecc, ecc. Il più vicino versò un calice di vino ed egli lo alzò e gridò: “Il villico t’insidia alber dei miti”. Gli apuani si tacquero; il poeta voleva farci dono di una nuova poesia. - O amici, miei fidi compagni, nel  tedio di una corsia d’ospedale, ho terminato il sonetto a Carot che cominciai vent’anni fa a Venezia, quando quel grande vi esponeva una collezione delle sue opere immortali –.

            Nella declamazione del sonetto, gli si infiammava il sangue e il poeta sembrò riessere quello di una volta. Ma nella chiusa sembrò crollare ed esclamò: “Il gladiatore morente”. Due giorni dopo lo riaccompagnai a Sant’Andrea Pelago, dove mi presentò a sua moglie, una signora esile e pallida; mangiammo in silenzio: la cena fu triste.

             (Ma Ceccardo vivrà intensamente ancora tre lunghi anni, meritandosi, come dice la lapide sulla facciata della casa natia, a Genova, l’appellativo di “PATRIOTA”. Perché a differenza degli amici, non partì volontario? Ve lo spiegherò la prossima volta).

                                                                                           

                                                                                           a cura di Romano Parodi

 

 

  L'Apua
di Romano Parodi


 

 

L’APUA

 

L’ “Apua" è stata una “Compagnia” uccisa dalla guerra. Anche se il poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, che ne fu il Generale, non avesse trovato nella morte la quiete ai lunghi travagli della sua tragica vita, l’”Apua”, manipoletto di gente eroica, sarebbe finita egualmente. Perché oggi, al gelo di questo realismo, non poteva più vivere un pugno di uomini che di continuo corresse dietro a fantasie di eroismo, di poesia e di gloria.

Negli ultimi giorni della sua vita il poeta scriveva: “La nostra è stata una grande illusione eroica. Io, quietato il mio spirito, salirò sul cavalbianco, il fatale, e me ne trapasserò di là, nel paese degli immortali”. Il poeta sul declinare della vita, era rimasto solo. Il turbine aveva disperso tutti, ovunque e comunque, i suoi fidi apuani. Morì in Lavagna il 1 gennaio 1919. Noi che fummo di lui “devoti senza mutamento”, fermiamo su queste carte le sue avventure eroiche. Nessuno può arrestarci sull’uscio della sua stanza taciturna; solo per noi egli spezzò il capace involucro dei suoi sdegni e della sua ira per donarci tutto lo splendore della sua anima materiata di sogni immortali. 

Le “apuanate” a cui sarà legato il nome di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi passavano come le antiche favole o le vecchie leggende, di bocca in bocca;  taluno dimenticava un particolare, tal’altro ne aggiungeva un altro, e le apuanate perdevano così il loro carattere tragico e grottesco, nobile ed alto sempre, perché nobile ed alto era l’uomo che le creava o le ispirava.        Racconterò le più caratteristiche, precisate su documenti, completate dalla memoria, inquadrate dall’affetto. Alcune sono deliberatamente tralasciate. Non diremo il nome di alcune canaglie di mendicanti statali i quali si scandalizzarono, chiudendo le loro borse, gonfie come il sacco della loro bile, allorché alcuni amici dettero il viatico del loro amore al poeta ammalato. Se queste anime vili che noi non additiamo ma che vigiliamo, trovassero in queste pagine argomento di facile riso, noi giuriamo che strapperemo loro i denti falsi rilegati con l’oro che negarono al poeta.

Nel libro ricorrono spesso i titoli di personaggi della Repubblica di Apua. E’ necessario pertanto che si riporti qui le “Dignità del libro d’oro di Apua”:

Ordine equestre; Ceccardo Roccatagliata Ceccardi - Generale; Lorenzo Viani - Grande Aiutante; Luigi Salvatore - Grande Cancelliere; Italo Sottini - Sergente dei Fucilieri; Ubaldo Formentini - Ammiraglio; Alceste de Ambris - Condottiero; Manfredo Giuliani - Generale dei frombolieri della morte; Torquato Pocai - Cavaliere della gloria; Peppino Chimico - Aereo titano; Vico Fiaschi - Investito dei pieni poteri per tutto il carrarese; Luigi Campolonghi - Grande console di Francia; Giuseppe Ungaretti - Console d’ Egitto; Giorgio Brissimisakis - Console dell’isola di Creta; Moses Levy - Console di Tunisi; Mario Bachini - Difensore delle colline Cerbaie; Spartaco Carlini - Duce del manipoletto pisano; Enrico Pea - Sacerdote degli scongiuri.

(tutti questi personaggi, al seguito di Ceccardo, diventeranno “famosi” e potrete studiarli tutti su Internet” .

 

 

 

  Dal "Diario" di un parrocchiano di Casano-San Giuseppe
di Giuseppe Franciosi


 

Dal “diario” di un parrocchiano di Casano – San Giuseppe

 

Lunedì, 7.9.09.

 

Questa mattina sono stato da Tarcisio, il mio medico. Mi ha fatto fare delle analisi e gli ho portato i risultati. Gli ho chiesto: “Come vanno le cose?”. La risposta è stata lusinghiera; mi ha detto: “Se anch’io arriverò agli 87 anni, auspico di arrivarci con le condizioni di salute che lei, caro prof., oggi ha”. Grazie, Tarci; prego Dio perché questo tuo auspicio si realizzi e le tue condizioni di salute siano anche migliori delle mie attuali.

Domani, 8 settembre, andrò al Santuario; partenza alle 10 da piazza XXIX novembre. Fino a pochi anni fa: andata e ritorno, sempre a piedi; se vai a un Santuario, un po’ di sacrificio lo devi fare. Nel 2006, l’ultimo 8 settembre vissuto con la Giulia, eravamo partiti a piedi intenzionati ad arrivare così al Santuario, ma a metà strada la Giulia mi ha detto: “Fermiamoci: non ce la faccio più”. E siamo ritornati prima a pregare un po’ nella chiesa di S. Martino e poi a casa. La Giulia era una grande camminatrice: a Gressoney quando ci dividevamo in gruppi per accontentare tutti, lei sceglieva sempre il gruppo di quelli che facevano l’escursione a piedi, sia all’andata, sia al ritorno. E come era contenta di andare a piedi, e come si dava da fare per convincere i ragazzi a fare questa scelta: che gioia, Giulia, se domani tu fossi qui e insieme potessimo fare questa breve camminata. Sogni, soltanto sogni; domani io andrò al Santuario da solo; andrò su col bus: di sicuro all’andata; non so come farò per il ritorno. Tu sola a S. Martino e io solo in via Castagno 27, solo per moltissime ore, nella nostra casa; piccola all’inizio, ma poi sempre più grande. Ti ricordi che cosa disse l’ingegner Colvara di Sarzana, quando venne qui per certi calcoli sul cemento armato: “ Ma che cosa volete fare qui: un monastero?”. Verso le ore 22, fuochi d’artificio: bellissimi, ma costosi: saranno confermati per il 2010?

 

Martedì, 8. 9. 09.

 

Verso le ore 10 mi sono messo in cammino verso il Santuario; in piazza XXIX novembre ho fatto il biglietto per il bus: ormai sono anni che vado su col bus (ho 87 anni): ritorno invece sempre a piedi (anche questa è una tradizione). Arrivato al Santuario, sono entrato in chiesa: stava celebrando don Capellini; vicino a lui una persona che indossava una candida tunica; mi sono detto: sarà un diacono. Ho aguzzato la vista e ho scoperto che invece era Tarcisio: l’ho ammirato: ieri tutta la mattina all’ambulatorio; oggi, tutta la mattina (fa parte anche dalla corale) qui al Santuario. Un’altra persona, con tonaca altrettanto candida è passata poi per raccogliere le offerte. Alle 11, Messa solenne celebrata da monsignor Sanguineti, già vescovo di La Spezia , trasferito poi a Brescia. La diocesi di Brescia è sicuramente una delle più prestigiose in Italia: chi vi arriva è certamente un personaggio. Di monsignor Sanguineti io ricordo un particolare. Una domenica sera ero a Isola per la Cresima ai ragazzi. Finito tutto stava dirigendosi verso il parcheggio dove era atteso. Io ed altri stavamo seduti e chiacchieravamo; io gli ho fatto, senza muovermi, un gesto di saluto: il Vescovo non si è limitato a contraccambiarlo, ma ha cambiato direzione ed è venuto verso di noi. Mi sono alzato subito, gli sono andato incontro: gli ho baciato l’anello: questo è monsignor Sanguineti.

Questa mattina, nei pressi del Santuario, ho saputo che per la nostra festa , dal Belgio, è venuto Pierino Falsone. Da tanti anni è in Belgio; lassù è sepolta la moglie (era di Ortonovo paese); lassù lavorano i figli; lassù passa il suo tempo anche leggendo “Il Sentiero” e per questo lo voglio ricordare. Quando frequentavo seconda e terza elementare abitavo a Serravalle: tra la mia abitazione e la sua c’erano 200 metri. Al mattino andavamo tutti a scuola ma di pomeriggio tutti a giocare. Oggi i ragazzi si spostano con estrema facilità; ma a quei tempi si andava a piedi e quelli di Serravalle si trovavano tra loro: quelli di Casano tra loro; quelli di Isola tra loro. Io, Pierino ed altri eravamo quelli di Serravalle; giocavamo insieme . Pierino viveva con la nonna, la Matì; me la ricordo bene la Matì: lei viveva per Pierino; tutti i suoi pensieri erano per lui. Aveva paura che noi gli facessimo dei dispetti, stava all’erta, ma non credo che noi abusassimo di lui: tra ragazzi a volte si bisticcia, ma fra tutti, non in particolare con qualcuno. Da quei lontani anni della mia infanzia, le occasioni di incontro sono state assai rare Ne ricordo una: la Paola aveva organizzato una gita in Belgio; io e la Giulia vi avevamo partecipato e in quella occasione ho passato parecchio tempo con Pierino; ho conosciuto i suoi figli; siamo andati al cimitero a fare una visita alla tomba di sua moglie, la Iolanda. Questa mattina speravo di poterlo incontrare; Roberto Felici mi ha aiutato per rintracciarlo ma non ce l’abbiamo fatta. Caro Pierino mi piacerebbe incontrarti, parlare con te anche della nonna Matì.

 

                                            Giuseppe Franciosi

 

 

 

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