N° 11 - Dicembre 2018
CONCILIO VATICANO II (21° ecumenico)
di Antonio Ratti

            CONCILIO VATICANO II (21° ecumenico)

                                                                  (4° parte)

Alla riapertura dei lavori, il 29 settembre 1963, Paolo VI nel suo discorso, facendo propria la volontà del predecessore Giovanni XXIII che voleva un Concilio pastorale e di aggiornamento, indica in quattro punti gli obiettivi su cui invita i padri conciliari a lavorare e a proporre risposte concrete:

1      Definire più precisamente il concetto di Chiesa;

2      Il rinnovamento della Chiesa cattolica;

3      La ricomposizione dell’unità fra tutti i cristiani;

4      Il dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo.
I quattro punti hanno un evidente filo logico: avere chiaro il concetto di Chiesa per ricercare strumenti nuovi adeguati ai tempi al fine di poter instaurare un dialogo proficuo con le molteplici realtà del mondo contemporaneo.
Dopo 4 sessioni di lavoro, durate due anni e mezzo, l’8 dicembre 1965 Paolo VI chiude il Concilio con un discorso di ringraziamento ai padri conciliari per il lavoro svolto, affermando che il Concilio ha orientato “la mente della Chiesa verso la direzione antropocentrica ( l’uomo al centro ) della cultura moderna”, tenendo stretto il legame di questo orientamento con “l’interesse religioso più autentico,”  perché è insostituibile e senza alternative il “collegamento  dei valori umani e temporali con quelli propriamente spirituali, religiosi ed eterni: la Chiesa sull’uomo e sulla terra si piega, ma al regno di Dio si solleva.”
La cerimonia di chiusura si svolge sul sagrato della basilica di san Pietro. E’ una fredda mattina di sole splendente durante la quale Paolo VI invia otto messaggi: ai padri conciliari, al mondo, ai governanti, agli uomini di pensiero e di scienza ( simbolicamente consegnato al teologo Jaques Maritain, amico e guida del Papa ), agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri ai malati ai sofferenti, ai giovani, con l’invito a meditare sui contenuti del Concilio appena concluso e sui riflessi concreti e positivi che ne possono scaturire per il bene della società umana.
L’andamento dei lavori ha non pochi momenti di difficoltà e tensione per diverse e comprensibili ragioni: il numero e la complessità dei temi all’ordine del giorno che interessano la vita della Chiesa e la sua organizzazione, i fratelli separati, le religioni non cristiane, l’umanità in genere, alcuni temi  affrontati per la prima volta in un consesso così ampio numericamente, la presenza di chi frena e di chi spinge, la discussione che pone a confronto persone di culture, esperienze, formazione e sensibilità differenti; difatti la diversità non è più rappresentata dalle Chiese di rito orientale, ma anche dalle Chiese latino-americane e africane che chiedono visibilità e maggiore considerazione per la loro “diversità”.
Nella sua vera ecumenicità il dibattito non poteva che essere vivace nei toni, ma mai viene meno la volontà di ricercare la verità ed esprimerla nella forma più idonea e utile al magistero ecclesiale.
Come in un coro polifonico le diverse voci si fondono  producendo vera armonia, così le diversità culturali arricchiscono e forniscono una sintesi proficua, in parte ancora da scoprire e attuare dopo  oltre mezzo secolo.
Non mi stanco di sottolineare che l’obiettivo del Vaticano II è la pastoralità intesa come studio ed approfondimento della dottrina, senza toccare temi teologici e dogmatici, per poterla proporre ed esporre in modo da essere meglio conosciuta, accettata ed amata.
Con la voce della carità pastorale il Concilio propone il suo insegnamento su molte questioni che ai nostri giorni impegnano la coscienza e l’attività dell’uomo. In altri termini, la voce della carità pastorale non si rivolge solo all’intelligenza speculativa, ma intende parlare all’uomo di oggi così com’è con un linguaggio a lui più comprensibile.
La grande mole di lavoro è raccolta in 4 Costituzioni, 9 Decreti e 3 Dichiarazioni, dei quali parleremo in seguito.  
(4 continua )

 


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