N° 4 - Aprile 2021
L A G R A Z I A
di Antonio Ratti

 

 L A    G R A Z I A

1.     Nel numero scorso del Sentiero ho brevemente esaminato il significato e il valore delle virtù cardinali e teologali, conseguenza logica è parlare anche della grazia, loro stretta parente.

   Fede, Speranza, Carità = Grazia

Questa è un’espressione palindroma, cioè, si può leggere da sinistra verso destra e da destra verso sinistra, infatti fede, speranza e carità rappresentano la grazia, mentre la grazia si esprime con la fede, la speranza e la carità. Non è un gioco di parole, basta riflettere un attimo: la grazia in cosa consiste e come si manifesta se non con la fede nella verità rivelata da Dio-Creatore, se non con la speranza del nostro futuro eterno avvolti nella luce divina, e, se non con la carità-amore del Padre verso di noi e la nostra verso i fratelli, in particolare, quelli più deboli e fragili o avversi?  Ecco perché la grazia non è un concetto astratto che si esaurisce nelle parole di quell’espressione palindroma. La grazia è un percorso di vita con un obiettivo finale chiaro e preciso che prevede atti e gesti concreti indicati dalle virtù cardinali; infatti queste ultime suggeriscono come dare esecutività alle virtù teologali, che a loro volta, come detto, indicano la grazia. Come si può notare è un circolo virtuoso che giustifica appieno e dà valore al vivere quotidiano di ciascuno, se accolto e fatto proprio. “La grazia si chiama grazia perché è gratis, altrimenti si chiamerebbe premio, ma la grazia suppone la gratitudine altrimenti si estingue. Questo vale davanti a Dio e davanti agli uomini.” (Adolfo L’Arco).
Tentiamo di dare una definizione semplice: la grazia è  dono gratuito di Dio, messo in opera attraverso l’incarnazione del Figlio Unigenito e un perdono che rigenera spiritualmente la creatura umana che può tornare a dialogare con il suo Creatore.
Spesso si tende a contrapporre giudaismo e cristianesimo, Legge e amore, il Dio dell’Antico Testamento (A.T.) come il Dio della Legge, giudice severo che impone sudditanza piena e totale e il Dio di Gesù ( Nuovo Testamento ) che è il Padre buono, il Dio dell’amore che abolisce ogni distanza e si fa prossimo a ogni persona in una reciproca ricerca. Alcune espressioni presenti nella primissima letteratura cristiana sembrano confermare questa tesi.
Un esempio per tutte. Nella lettera ai Romani (6,14–16) si afferma che l’accesso a godere la gloria di Dio non dipende più dall’osservanza della Legge, ma si basa ormai tutto sulla speranza e sulla fiducia nell’opera salvatrice compiuta da Gesù. Questa interpretazione dell’A.T. non è corretta come lo dimostra la realtà delle Scritture, ma ha una sua giustificazione: forte era il contrasto tra chi riteneva necessaria la circoncisione e chi invece la riteneva un’indebita imposizione prima del battesimo ai non ebrei che intendevano convertirsi. In pratica era la contrapposizione tra chi intendeva il cristianesimo una costola diretta dell’ebraismo e chi ne rivendicava la sua piena autonomia teologica. La lettera ai Romani, che non sono ebrei, sotto questo aspetto è significativa.  Nella storia d’Israele Dio si manifesta con l’iniziativa di liberazione e di alleanza, di ricostruzione di un rapporto dialogante e amicale. Infatti Dio libera il suo popolo dalla schiavitù e lo educa progressivamente ad affidarsi a Lui, attraverso il Decalogo, inteso come indirizzo e guida al fine di trovare la propria vera identità. E Israele, a poco a poco, impara a riconoscere il suo Dio come un amico, alleato e salvatore con cui dialogare. Il modo di manifestarsi può sembrare diverso, perché il non apparire mai lo fa sentire lontano e un po’ freddo, ma l’agire di Dio è sempre improntato sull’amore: “Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora benevolenza.” (Ger31,3) Questo amore è assolutamente libero e volontario – “farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia.” (Es 33,19) – e, in modo particolare, non presenta nessuna logica di scambio (do ut des), ma è la gratuita volontà di Dio: “il Signore si è legato a voi e vi ha scelti perché vi ama.” (Dt 7, 7-8). Da quanto detto si evince che Dio ha instaurato con il suo popolo un dialogo di amicizia e di amore forte e delicato: “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno, se dovrai passare in mezzo al fuoco non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare, perché io sono il Signore tuo Dio (…. ); tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo.” (Is 43, 2-4) I vocaboli fondamentali per comprendere il modo di operare e di essere di Dio sono bontà e fedeltà, grazia e verità; infatti “I sentieri del Signore sono verità e grazia”, ribadisce il Salmo 25,10.
Sicuramente nei secoli si è stratificata un’idea dicotomica tra il Dio dell’A.T. e quello del N.T.  Forse l’approccio del mondo ebraico al divino e al Decalogo
(Legge mosaica), inteso come legge da obbedire, quasi subendola come un obbligo, per potersi meritare ed essere il solo popolo eletto e protetto, mentre la presenza fisico-corporea del Figlio Unigenito, Gesù, inviato per essere, con la sua predicazione e morte, testimone diretto della volontà divina e della vicinanza del Padre verso la sua creatura umana, ha portato a pensare due aspetti diversi della stessa divinità. Gesù non è venuto a smentire il Padre, bensì a confermare e a sigillare la testimonianza concreta della volontà del Padre e del suo amore.   (Continua, 1)



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