N° 11 - Dicembre 2018
SANTO NATALE 2018
di Antonio Ratti

                                                                                                            

 Caro Gesù Bambino,

è dal 1992 che, approfittando della tua infinita disponibilità all’ascolto, parlo con Te attraverso una lettera aperta. Mi sono accorto, con una certa sofferenza, che solo la prima aveva, nel confronto con le altre, un tono leggero, affrontando il tema del tuo laicissimo e nordico “concorrente”, Babbo Natale. Ricordo di quello sfortunato scolaretto al quale nessuno, né in famiglia, né a scuola, né al catechismo, aveva spiegato con chiarezza che Tu non sei suo figlio, cioè quello che porta i regali, e che le cose sono ben diverse. Catalogai l’episodio come un “errore di gioventù”, però indotto dagli adulti dimentichi per incapacità, impreparazione e, peggio, per menefreghismo, di spiegare la verità.
Da allora non ho fatto che mugognare sulle storture mentali e i comportamenti, talvolta demenziali, dell’uomo in un crescendo, anno dopo anno, senza individuare la prospettiva di  un po’ di ottimismo per il futuro. E la situazione è così degradata che uno dei più autorevoli psichiatri italiani, il prof. Vittorino Andreoli, ha avvertito il bisogno di scrivere e pubblicare un libro dal titolo “Homo stupidus stupidus L’agonia di una civiltà” ed un noto imprenditore di suggerire al suo partito, come segretario politico, il presidente della Società italiana di psichiatria.
Ma le follie umane non finiscono qui, perché non pochi di coloro che si autodefiniscono “chiamati” da Te, ne combinano anche di peggiori. Per fortuna sono una minoranza, ma chi in silenzio porta avanti con totale dedizione la sua missione è trasparente e passa inosservato, mentre le “mele pomposamente marce” fanno pruriginosa notizia e gossip, cioè offrono pane e companatico di lusso a TV, giornali e quant’altro in modo virale. Quante volte ci è capitato di sentire: perché devo andare a dire le mie cose più intime ad uno che, magari, fa peggio di me? Ecco spiegato come la credibilità del sacramento essenziale per tenere aperto il dialogo con Te, insieme alla preghiera, viene demolita irreparabilmente. Ciò che è più tragicamente amaro del fiele e che apre voragini di diffidenza, è che i protagonisti sono sia quelli così bravi da aver fatto carriera, di avere la pienezza del sacerdozio, che ricoprono incarichi importanti nella casa di Pietro o la rappresentano nel mondo, sia semplici, frustrati, stonati e, talvolta, coperti “burocrati funzionari del sacro” come li chiama papa Francesco.
Sinceramente in questa società mondiale mi sento quasi un immigrato clandestino senza permesso di soggiorno, tanto avverto di essere sorpreso e fuori posto. Tu avevi previsto tutto e lo hai descritto con precisione fotografica quando con una corda nodosa hai preso a frustate i numerosi che nella casa di tuo Padre facevano i mercanti simoniaci o quando a scribi e farisei hai sentenziato con severità: “Bene ha profetato Isaìa di voi, come sta scritto:
Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.
” E hai continuato davanti ad una folla di uditori: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro.” E perché le tue parole non apparissero generiche, hai specificato l’elenco completo dei propositi di male: “Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.” (Marco,7)
Ai protagonisti in negativo, specie ai “chiamati”che dovrebbero aver letto queste parole, ma scivolate via come la goccia d’acqua sul vetro inclinato, tanto reiterano il loro malcostume e libertinaggio etico, vorrei chiedere perché ritengono di non ritrovarsi in questo elenco. E come fanno a sentirsi nel giusto, tanto da essere certi di poter predicare il bene, mentre operano razzolando in modo immondo? Sono così certi di poter sostenere le loro tesi, i loro atteggiamenti contro il magistero della Chiesa e del Papa e contro il prossimo, le loro invidiose smanie di carriera e di potere e le altre penose, nonché devastanti, devianze, che hanno destabilizzato intere comunità, anche quando si troveranno davanti a Te per il giudizio imparziale e giusto che impartirai? O, interpretando male e a proprio favore e beneficio la parabola del vignaiolo che paga nella stessa misura chi ha lavorato otto ore e chi solo una, pensano che tre giorni di ritiri spirituali con annesso digiuno e, aggiungiamo, due ore di Adorazione, “misticamente” in ginocchio, possano bastare a rimediare a tutto il male fatto a se stessi, alla Chiesa e alla società civile?  Forse ti paragonano alla giustizia umana che a volte in 1° appello condanna all’ergastolo ed in 2° appello assolve per non aver commesso il fatto, pur avendo letto le stesse carte.
Caro Gesù, forse non ho capito niente nella mia ormai lunga esistenza, ma credo fermamente che la vita sia una cosa seria e che la tua proposta di vita terrena,  in preparazione di quella eterna, sia insuperabile se accettata così come ci hai indicato. Il sommelier per esprimere il suo giudizio insindacabile assaggia il vino schietto, non annacquato. Da mio padre questo ho imparato: se è sbagliato, aiutami.
Il laico Foscolo diceva che la speranza è l’ultima a morire, ma non ha capito che la speranza che ci hai insegnato e donato, non può morire, perché è il passaporto  che ci porta fuori dal tempo. 
“A livella “ di Totò sarebbe un’ottima lettura per riflettere  sulla dimensione umana stoltamente trascurata per correre dietro all’effimero che è sempre più accattivante, ma che alla fine lascia immancabilmente l’amaro della definitiva delusione per aver buttato via il dono della vita con  comportamenti che puzzano di  egocentrismo edonistico e malsano.   Ma allora sarà troppo tardi.
Avevo bisogno di sfogare la mia amarezza con chi non rifiuta mai di ascoltare, al contrario dell’“infallibile” uomo, specie quando si ritiene “ diversamente superiore”, quindi di “altro lignaggio”.

  Grazie…. Con l’affetto che so dare.                

                                                                           Antonio


‘A LIVELLA.  Dialogo notturno in un cimitero tra due morti vicini di tomba, uno spazzino e un presuntuoso marchese che lo vorrebbe far traslocare. Questa la conclusione dello spazzino: “Sti pagliacciate è fanno sulo ‘e vive: 

                  nuje simmo serie...appartenimmo à morte"  

 Questi discorsi banali sull'effimero della nobiltà li fanno solo i vivi: noi siamo seri, apparteniamo alla morte.                                                                                                               

           

                                                                                   

                                                                                 
                                                                             
                                                                                              





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