N° 7 - Luglio 2015
24 maggio 1915
di Giovanni Cereti

 

Sono esattamente cento anni dall’entrata dell’Italia in quella che è stata definita la Grande Guerra. Lo ricordiamo senza retorica. In questi giorni noi vivremo solo il ricordo di sofferenze immani vissute dal popolo italiano e che hanno segnato la vita dei nostri padri o dei nostri nonni. Sarà anche il ricordo delle centinaia di migliaia di soldati (e anche di civili) che hanno perso la vita, per lo più giovanissimi, in quella atroce carneficina.
Sarà oltre a tutto il ricordo di una guerra in cui la responsabilità e la leggerezza dei capi militari e politici è stata gravissima, per avere inviato a morire, in maniera che oggi ci appare cinica, tanta gioventù. Una guerra oscura nel suo sorgere, e che ha lasciato conseguenze nefaste per tutto un secolo: le dittature, la seconda guerra mondiale, la Shoah, non ci sarebbero state se non ci fosse stata questa prima “inutile strage”, nella quale popoli che credevamo cristiani si sono combattuti con estrema determinazione e ferocia.
Mio padre ha fatto tutta la prima guerra, ed è quasi un miracolo che le sia sopravissuto. Ha sempre poi ricordato l’incubo degli anni trenta, quando anno dopo anno vedeva addensarsi le nubi che preannunciavano la seconda guerra mondiale. Ed anche per quella è stato richiamato, e dopo l’otto settembre era in una lista di coloro che dovevano essere deportati in Germania. E’ la storia dei genitori e dei nonni di quasi tutte le nostre famiglie.
Le generazioni che sono venute dopo sono state molto più fortunate. Nonostante tutte le prove, tutti i conflitti, tutti i vertiginosi mutamenti che si sono succeduti, almeno in Europa abbiamo vissuto settanta anni di pace. Onore a coloro che hanno saputo gettare le basi di un’Europa unita. E’ vero che avevamo sognato un’Europa federale, ha potuto essere creata un’unione europea molto più imperfetta e più fragile. Ma i popoli europei a poco alla volta si sentono davvero cittadini europei. E ricordo come la prima volta in cui ho passato la frontiera far l’Italia e l’Austria, ormai aperta con il trattato di Schengen, sono stato sopraffatto dalla commozione al pensiero di quanti sono morti su quella frontiera e su quelle montagne per una guerra che, a partire dall’Europa, ha coinvolto l’intera umanità.
In uno scritto del tempo di guerra, Teilhard de Chardin, che partecipava alla guerra e che a Verdun era obbligato al assistere a quella carneficina in cui avrebbero perso la vita sui due fronti forse un milione di giovani, descriveva il suo sogno. “Sogno un’umanità non più divisa da due fronti, impegnati allo spasimo per sopraffare il nemico; sogno un’umanità capace di far fronte unico per avanzare nella storia, per combattere tutti uniti le malattie, la fame, la povertà che esistono nel mondo”.
E’ il sogno che accompagna ognuno di noi. E’ il sogno che possiamo leggere già nell’enciclica Pacem Dei munus, del 26 maggio 1920, in cui Benedetto XV, all’epoca in cui si redigevano i trattati di Versailles, chiedeva una pace giusta, perché non avesse a scoppiare una guerra di rivincita nei successivi venti anni, e si univa a coloro che proponevano la creazione di una Società delle Nazioni capace di dare vita a un mondo pacificato e più giusto. E’ il sogno ripreso da innumerevoli persone nei decenni successivi, e ancora presente nella Pacem in terris di Giovanni XXIII e nella Gaudium et Spes del concilio Vaticano II.
Da molti anni riteniamo che non ci sia alternativa alla pace, alla nonviolenza, al dialogo. Quali che siano le differenze religiose e culturali, quali che siano le minacce che ci sovrastano, la soluzione non può essere nelle armi. Occorre dare vita a comunità, anche multireligiose, che si impegnano per convincere alla pace e alla nonviolenza le loro rispettive comunità di fede, come facciamo da anni nell’ambito di Religioni per la Pace; occorre educare a una nonviolenza attiva, a una autentica fraternità e armonia fra le persone e con la natura.
E’ questo il disegno di Dio sulla nostra umanità, per il quale da parte nostra preghiamo e operiamo proprio in questo centenario dall’inizio di quella drammatica guerra. Non ci interessa proclamare le radici cristiane dell’Europa, radici insanguinate dalle guerre, dallo schiavismo, dal colonialismo e dalle tante dittature che abbiamo ricordato. Ciò che dobbiamo operare è un futuro cristiano, per l’Europa e per il mondo.

            E’ questo il mio augurio a voi tutti.

                                                                                 


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