N° 1 - Gennaio 2012
UN MONDO AL TRAMONTO
di Carlo Lorenzini

 

                           

            Ma anche altre attività erano al tramonto.

Tramontavano l’ombrellaio, lo stracciaio, l’arrotino, il puntapiatti, lo spazzacamino… Erano per lo più artigiani ambulanti; giravano di villaggio in villaggio, portando ai poveri l’ausilio della loro professionalità: un ombrello fuori uso, un piatto in più pezzi, una pentola divisa in due, il coltello oramai inservibile; non si buttavano; si aspettava l’arrivo dell’artigiano appropriato, che con l’arte  delle sue mani ripristinava l’oggetto all’antica funzionalità di nuovo.

Entrati in paese, essi annunciavano la loro presenza percorrendone le vie e rivolgendosi alle donne (le sagge custodi e amministratrici della casa!) con voce stentorea e nella frase un andamento modulato, quasi di poesia, ricco di clausole assonanti e cantilenate. Poi, con i loro poveri strumenti del mestiere,  si posizionavano in un luogo ben determinato del paese e aspettavano la processione delle massaie, che arrivavano con i loro utensili disastrati. E noi ragazzi, se non eravamo a scuola, eravamo lì, attorno al nostro artigiano (o artista?) di turno, a contemplare in silenzio l’esibizione di quelle sue mani, abili e realizzatrici. E ci incantavamo a vedere, per esempio, ogni tipo di coltelli, oramai non più buoni nemmeno per il pane quotidiano, grazie all’arte dell’arrotino e al veloce giro della sua mola al bacio della goccia d’acqua, riacquistare la lucentezza e il filo di quando erano nuovi.

Oppure a vedere con occhi increduli frammenti di coccio ridiventare piatto buono per mangiarci ancora dentro; o pentola, adatta per fare ancora lungamente il suo dovere sopra l’ardore dei fornelli accesi. O a osservare con meraviglia la metamorfosi di un ombrello, che in poco momento da anchilosato e sghembo ridiventava facile ed elegante, morbido e scorrevole nell’andirivieni della sua funzione di para acqua.

E se in paese arrivava lo spazzacamino, allora noi ragazzi maliziosamente cantavamo in coro la nota canzone dai chiari doppi sensi e la cantavamo strizzandoci l’occhio come se fossimo stati esperti conoscitori delle avventure e dell’amore.

Perché, a volte (oramai sei grande e poi voi ragazzi di oggi avete molti punti in più, in quanto a conoscenza del mondo e degli uomini, rispetto ai ragazzi che eravamo noi allora), a volte proprio di amore e di avventura si trattava. Ma si trattava anche, e più spesso, di tempi tristi e socialmente ingiusti, perché si trattava di disoccupazione, di disagio economico, di miseria, di emigrazione, di abbandono... E allora poteva capitare che lo spazzacamino, uomo nel pieno della sua virile maturità, arrivasse nella casa, in cui c’era solo la giovane sposa con il figlioletto piccolo e i vecchi genitori, oramai malandati; e il marito era lontano al lavoro, a volte anche per lunghi periodi e a volte anche in paese straniero... E allora, la tentazione, la solitudine, il bisogno d’amore e di intimità... Allora poteva capitare che, dopo nove mesi, quella casa fosse allietata dalla nascita di un nuovo bambino, che era un amore e che (diceva la canzone) rassomigliava tutto allo spazzacamino.

Ogni mestiere, te ne sarai accorto, era per noi motivo di divertimento.

Ma era anche occasione di insegnamento. Questi professionisti dell’intelligenza, della genialità e della manualità, ci insegnavano a crescere, perché ci insegnavano il senso della vita, il quale senso è nella religione delle cose: nel conservarle, nell’averne cura, nell’aumentarle, in conservandis rebus, in adiuvandis atque in augendis eis, uso gli stessi verbi che Cicerone usa riferendosi alla maestà della patria.

            Oggi c’è la moda dell’usa e getta: un piatto si getta anche solo perché è da troppo tempo che si usa; una pentola si dismette perché c’è quella di fattura più elegante e di materiale più resistente; il coltello appena il suo filo incomincia a cedere si butta nella pattumiera; e così per le altre cose: oggi non si riaggiusta, si compra nuovo. Mentre allora, mio caro, ogni oggetto era prezioso e si cercava di tenerne di conto. Nell’eredità si litigava anche per una sola pentola. E quando si apparecchiava, un unico piatto serviva per primo e secondo (ma il secondo non sempre c’era); e in tavola un unico coltello doveva bastare per tutti i commensali.

 

                                                                                              

 




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