N° 3 - Marzo 2011
25 MARZO: MEMORIA LITURGICA DELL’ANNUNCIAZIONE A MARIA
di Antonio Ratti

 

 

 

La prima data certa della celebrazione “canonica” del Natale il 25 dicembre è del 335 a Roma. Si dirà: “ che c‘entra il Natale con l’annunciazione?” Il nesso c’è. Nei primi secoli la maggiore attenzione era riservata al ciclo della passione e della risurrezione di Gesù: era fondamentale testimoniare e garantire che Cristo era morto e risorto, oltre ogni possibile dubbio della ragione umana; subito dopo veniva l’annunciazione e l’incarnazione del Messia promesso, quali eventi indispensabili e direttamente collegati alla passione.  Quindi, elementi fondanti da focalizzare al massimo, erano l’incarnazione attraverso Maria e la risurrezione, il resto costituiva fatti accessori, seppure rilevanti. Questo spiega perché la Pasqua, fin da subito, fu il vero fulcro della liturgia e del calendario delle festività. A conferma che il giorno della nascita fisica di Gesù era un evento importante, ma comunque da ritenersi secondario anche all’annunciazione dell’Angelo a Maria, inizialmente dell’annunciazione-incarnazione e della nascita si faceva memoria nello stesso giorno in una data vicina all’equinozio di primavera (22 – 28 marzo). Soltanto in un secondo momento si valuta più aderente al vero far rispettare i tempi fisiologici tra concepimento e nascita, spostando quest’ultima di nove mesi, cioè il 25 di dicembre ( durante il solstizio d’inverno). Per inciso, l’aver operato il corretto distinguo tra concepimento e nascita, sottolinea un concetto essenziale: era chiaro fin d’allora, senza adeguate conoscenze fisiologiche e senza strumenti ecografici, che la vita ha la sua origine con il concepimento e non con il parto, quindi il feto non può essere ritenuto un grumo di materiale biologico privo d’identità. Ma torniamo al nostro tema. I primi cristiani, come detto, avvertono forte l’esigenza di puntualizzare quale realtà incontrovertibile e pienamente documentata da avvenimenti pubblici, l’incarnazione e la risurrezione. Nella sua Prima Lettera Giovanni dice: “Ciò che era fin da principio, il Verbo della vita, noi l’abbiamo udito, l’abbiamo veduto coi nostri occhi, l’abbiamo contemplato, le nostre mani l’hanno toccato: la Vita, infatti, si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò ne rendiamo testimonianza.” (1, 1-2) Come un leit motive insiste: “Ogni spirito che riconosce che Gesù è venuto nella carne, è da Dio.” Nel senso biblico il vocabolo carne  sta per esistenza umana nelle sue varie accezioni storiche, quotidiane, vitali. Anche i Vangeli, che attestano in modo storicamente e geograficamente documentabile come Gesù di Nazaret parli, agisca, soffra, gioisca, conosca il tradimento, incontri il male e la solitudine dell’incomprensione, subisca la tortura e la morte, rappresentano la testimonianza costante dell’Incarnazione. Appare ora comprensibile come, quanto più si cerca di dare certezza della fisicità di Gesù, acquisti importanza conoscere e approfondire ciò che ha permesso alla natura divina di declassarsi fino ad assumere anche quella umana, colpevole e caduca. Finalmente siamo arrivati al capolinea della redenzione dell’uomo: l’annunciazione a Maria. Siamo a Nazaret nella semplice abitazione dei genitori di Maria che attende il momento del suo matrimonio col promesso sposo, Giuseppe. L’angelo le appare con un saluto particolare: “Ave, o piena di grazia, il Signore è con te.” Placato lo stupore di Maria l’angelo prosegue: “Ecco, tu concepirai nel tuo seno e darai alla luce un figlio che chiamerai Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo.”  E conclude: “Lo Spirito Santo verrà sopra di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà della sua ombra: per questo il bambino santo che nascerà, sarà chiamato Figlio di Dio.” ( Lc 1, 28-35 ) Nei Vangeli e nella predicazione cristiana primitiva, concentrata sull’annuncio fondamentale di Cristo morto e risorto, si parla poco di Maria, anche se traspare un ruolo attivo e consapevole a sostegno della missione del figlio Gesù; basta rammentare il suo intervento risolutivo durante lo sposalizio di Cana di Galilea, quando  sollecita Gesù a porre rimedio alla carenza di vino. Nel corso dei secoli si assiste a un progressivo sviluppo del ruolo di riferimento di Maria e a una continua integrazione della sua figura nella cultura delle diverse epoche.  Il periodo patristico ( II – X sec.) fissa la sua immagine dogmatica: il Concilio di Efeso (431) la proclama Theotokòs, Madre di Dio. L’approfondimento teologico sul ruolo di Maria porta il Concilio Lateranense del 689 a definirla “sempre vergine”, mentre il II° Concilio di Nicea (787) stabilisce che Maria sia da onorare con il culto di dulìa (dal greco,dulèia) o venerazione, non di latrìa (dal greco latrèia = culto riservato solo all’Ente Supremo) o adorazione. Contemporaneamente a livello popolare, soprattutto per opera dei vangeli apocrifi nei cicli dell’infanzia e della dormizione (non morte), emerge la funzione di Maria quale protagonista di salvezza. Il Medioevo interpreta la figura di Maria come gloriosa regina, madre di misericordia, quindi, la mediatrice tra Cristo e la Chiesa alla quale i fedeli si affidano pieni di fiducia nella sua protezione. Nell’800, dopo consultazione scritta dei vescovi, Pio IX la definisce dogmaticamente Immacolata Concezione (1854). Infine, Pio XII nel 1950 completa il quadro delle virtù di Maria con la definizione dogmatica dell’Assunzione corporea in cielo. Si completa così l’iter dogmatico logico nella logica della fede. Maria ha tutte le virtù, sommariamente descritte, perché Gesù esercita per lei il massimo grado di mediazione, non attende, infatti, di liberarla dal peccato originale, come accade per ogni uomo, ma impedisce che lo contragga. Questa è l’unica condizione possibile perché possa prendere il via il progetto di salvezza che prevede l’incarnazione del Figlio di Dio attraverso una creatura umana. Non sorprende la grande espansione e diffusione del culto a Maria e la sua costante continuità nei secoli passati e nei tempi presenti, perché da sempre è palese il ruolo primario che riveste nella storia della salvezza. Fin da quando si cominciano a edificare luoghi di culto, diventa sequenziale dedicarli anche a Maria. In questo contesto è tutt’altro che raro trovare chiese intitolate all’Annunciazione, dette, nel gergo popolare, dell’Annunziata (participio passato sostantivato del verbo annunciare), cioè consacrate a Colei che ha ricevuto il dono dell’annuncio dell’ evento che ha cambiato il destino dell’uomo. L’avvenimento straordinario è entrato in ogni tempo tanto prepotentemente nel cuore della gente e nella cultura che non c’è pittore, più o meno grande e talentuoso, che non abbia dipinto la sua annunciazione. Infine, specialmente in alcune regioni d’Italia, la devozione all’Annunciazione è sempre stata così profonda e radicata nella popolazione, che ha dato origine a un nome  femminile molto diffuso, Annunziata e alle sue varianti, Nunziata e Nunziatina; più raro, ma è presente, anche Nunzio.    

                                                                                                     

 


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